Le lotte francesi sono destinate a durare

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DI STATHIS KOUVELAKIS

jacobinitalia.it

Gli scioperi contro la riforma delle pensioni del governo Macron proseguono. La partita è decisiva, per il destino del presidente neoliberista ma anche per i movimenti sociali. La differenza la faranno le spinte dal basso

Come gli avversari della riforma pensionistica di Emmanuel Macron avevano previsto, le mobilitazioni del 5 dicembre hanno dato il via alla più grande ondata di scioperi e manifestazioni cui la Francia abbia assistito in più di un decennio. Nell’ultima settimana e mezza le ferrovie in tutto il paese e i trasporti pubblici a Parigi e dintorni si sono fermati.

Sebbene siano solo questi due settori ad avere proclamato uno sciopero a tempo indeterminato, anche lavoratori di altri comparti hanno intrapreso azioni in numero significativo per un giorno o più. Quelli del’istruzione, delle raffinerie di petrolio e degli altri operatori energetici hanno preso l’iniziativa proprio come i vigili del fuoco, i lavoratori portuali e gli operatori sanitari: il 5 dicembre, non meno di 3500 luoghi di lavoro del settore privato sono stati colpiti da scioperi o interruzioni della produzione.

Sia in quel primo giorno di azione che il 10 dicembre, centinaia di migliaia di persone sono scese in strada (1 un milione  e mezzo il 5 e 800 mila il 10), dimostrando forte determinazione di lottare. Anche gli studenti hanno aderito alle manifestazioni, sebbene la mobilitazione sia stata irregolare e discontinua in diversi campus.

La maggior parte dei lavoratori non ha ancora aderito agli scioperi, soprattutto nel settore privato. Ma una solida maggioranza dell’opinione pubblica (dal 54% al 68%, secondo i sondaggi) sostiene la protesta. Nonostante le difficoltà derivanti dalla mancanza di trasporto pubblico e dall’ostilità dei media, il sostegno popolare al movimento è in crescita. La questione cruciale per i giorni a venire è se questo sentimento di supporto può assumere una forma attiva.

Sebbene siano solo questi due settori ad avere proclamato uno sciopero a tempo indeterminato, anche lavoratori di altri comparti hanno intrapreso azioni in numero significativo per un giorno o più. Quelli del’istruzione, delle raffinerie di petrolio e degli altri operatori energetici hanno preso l’iniziativa proprio come i vigili del fuoco, i lavoratori portuali e gli operatori sanitari: il 5 dicembre, non meno di 3500 luoghi di lavoro del settore privato sono stati colpiti da scioperi o interruzioni della produzione.

Sia in quel primo giorno di azione che il 10 dicembre, centinaia di migliaia di persone sono scese in strada (1 un milione  e mezzo il 5 e 800 mila il 10), dimostrando forte determinazione di lottare. Anche gli studenti hanno aderito alle manifestazioni, sebbene la mobilitazione sia stata irregolare e discontinua in diversi campus.

La maggior parte dei lavoratori non ha ancora aderito agli scioperi, soprattutto nel settore privato. Ma una solida maggioranza dell’opinione pubblica (dal 54% al 68%, secondo i sondaggi) sostiene la protesta. Nonostante le difficoltà derivanti dalla mancanza di trasporto pubblico e dall’ostilità dei media, il sostegno popolare al movimento è in crescita. La questione cruciale per i giorni a venire è se questo sentimento di supporto può assumere una forma attiva.

Il governo in difficoltà

All’inizio, il governo pensava di poter circoscrivere lo sciopero al solo settore dei trasporti. L’idea era di renderlo impopolare presentandolo come una lotta a difesa dei «privilegi corporativi» e al contempo parlare il meno possibile del contenuto effettivo della riforma pensionistica. Tuttavia, questo progetto è chiaramente fallito, e l’esecutivo è stato costretto a reagire.

Da una parte, il suo approccio è stato puramente repressivo: ha inviato la polizia a rompere i picchetti in molti depositi di autobus e nei porti. Ma l’11 dicembre anche il primo ministro Édouard Philippe è stato inviato a fornire una versione più dettagliata della prevista riforma pensionistica. Ha fatto un discorso dai toni morbidi, ma la riforma, nel merito, si è rivelata persino più pesante del previsto.

Philippe ha confermato che il sistema esistente dovrebbe essere sostituito da un sistema presumibilmente «universale» basato su punti, paragonabile al modello svedese e italiano, con la conseguenza che tutti i regimi pensionistici settoriali esistenti (come quelli dei lavoratori ferroviari e dei trasporti pubblici) sarebbero stati aboliti . Questa modifica significherebbe che l’attuale regime pensionistico a benefici definiti, fondato sul principio di ridistribuzione tra tutti coloro che contribuiscono, sarebbe sostituito da uno variabile, basato su contributi individualizzati. Il livello pensionistico è attualmente calcolato sulla media dei venticinque migliori anni di reddito, con la riforma invece corrisponderebbe alla media dell’intero periodo lavorativo. Ciò ridurrebbe automaticamente le pensioni, in particolare per tutti coloro che hanno attraversato periodi di disoccupazione e lavoro precario. Philippe ha insistito sul fatto che queste modifiche non sono oggetto di trattativa.

Ma è andato anche oltre: formalmente l’età pensionabile legale rimarrebbe a sessantadue anni, ma per ottenere una pensione completa bisognerà lavorare altri due anni. Ha poi fatto dichiarazioni contorte cercando di presentare la riforma come vantaggiosa per la maggior parte delle categorie, in particolare per le donne. Inoltre, contraddicendo la sua stessa affermazione secondo cui il nuovo schema sarebbe «universale», è stato solerte nel rassicurare i militari e la polizia che poco o nulla cambierà per le loro pensioni.

Il minimo che si può dire è che Philippe non sia riuscito a convincere la Francia dei meriti della riforma. Secondo sondaggi di opinione, il 61% di coloro che hanno ascoltato il suo intervento lo ha trovato poco convincente. Ancora peggio, annunciando una proroga di due anni della soglia di età per una pensione completa, il governo ha perso il suo interlocutore unico nel movimento sindacale, la «moderata» Confederazione democratica del lavoro francese (Cdft) che sostiene il principio di una riforma delle pensioni basata sul sistema a punti.

Commentando gli annunci di Philippe, il segretario generale Cfdt Laurent Berger ha annunciato che «la linea rossa [era] stata superata» e ha invitato il suo sindacato a unirsi alle mobilitazioni del 17 dicembre. In altre parole, Macron e Philippe sono riusciti nell’impresa di ristabilire l’unità del notoriamente frammentato movimento sindacale francese. Berger ha rapidamente espresso le sue buone intenzioni nel raggiungere un compromesso e ha sottolineato la sua opposizione a scioperi permanenti come quelli che attualmente colpiscono le ferrovie e il trasporto pubblico. Tuttavia ha ripetuto che non avrebbe accettato niente che non prevedesse il ritiro della proroga di due anni per il pensionamento a pieno titolo.

Le cattive notizie per Macron non fermano qui. Da una tempesta mediatica è venuto fuori che Jean-Paul Delevoye – il ministro incaricato della riforma delle pensioni – ha «dimenticato» di includere nella sua dichiarazione di interesse di essere coinvolto nei think tank e nei consigli di amministrazione di circa otto aziende. Molte di queste sono dirette beneficiarie della riforma proposta, ad esempio l’istituto di formazione della confederazione delle compagnie di assicurazione o la fondazione della compagnia ferroviaria nazionale. Di conseguenza, il 16 dicembre, Delevoye – figura chiave nell’elaborazione delle politiche del governo e nell’intera configurazione del partito di Macrion La République En Marche! – è stato costretto a dimettersi. Ciò ha inferto un duro colpo al presidente francese proprio nel momento più difficile del suo mandato.

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