Big Serge
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Gli esperti e i pensatori militari riconoscono da tempo che la battaglia è un’impresa unica, soggetta a dinamiche e logiche proprie e bizzarre. In effetti, la logica della battaglia sembra spesso essere intrinsecamente paradossale. Il grande storico della strategia, Edward Luttwak, preferisce il semplice esempio di un esercito che sceglie tra due strade per avanzare verso un obiettivo: una asfaltata e diretta, l’altra tortuosa e fangosa. Come dice Luttwak, “solo nel regno paradossale della strategia esiste questa scelta, perché solo in guerra una cattiva strada può essere buona proprio perché è cattiva.” Il vantaggio di prendere la strada sbagliata, ovviamente, può risiedere nel fatto che è improbabile che il nemico se lo aspetti, permettendo così alla forza che avanza di aggirare le difese avversarie.
Cominciamo dall’inizio. Tutti temono quando gli autori definiscono i loro termini, ma credo che in questo caso sia davvero appropriato. Definiamo la battaglia come segue: gruppi organizzati di uomini che schierano forze armate l’uno contro l’altro allo scopo di distruggere la capacità dell’altro di opporre resistenza armata. Questo scopo, ovviamente, può essere raggiunto uccidendo il nemico, catturandolo, allontanandolo dal campo o interrompendo la sua capacità di resistenza distruggendo la sua volontà di combattere.
Quando si parla di “gruppi organizzati di uomini,” lo si intende solo nel senso più crudo di differenziare l’amico dal nemico. Senza dubbio, le battaglie più arcaiche, combattute quando l’umanità era passata dalla caccia e dalla raccolta alle prime forme di organizzazione politica, erano poco più che folle organizzate – ma la forma politica, l’identificazione di “noi” e “loro” con una questione politica in gioco, è ciò che fa di una battaglia una battaglia, piuttosto che una violenza cruda e animalesca.
La forma più rozza e basilare di battaglia consisterebbe in due gruppi di uomini di uguali dimensioni e armati con armi equivalenti che si affrontano in una mischia disorganizzata. Questo tipo di scena è istruttiva: immaginando questa come la forma più primitiva di battaglia, possiamo vedere che nessuna delle due parti ha un vantaggio o una leva. L’esito della battaglia sarebbe semplicemente il risultato composto di numerosi scontri ravvicinati tra uomini armati in modo simile, che combattono uno contro uno. In linea di massima, il risultato di una battaglia di questo tipo sarebbe quasi interamente affidato al caso: il leader non potrebbe fare altro che pregare per il meglio.
Clausewitz riteneva che la battaglia fosse un’interazione tra tre forze dinamiche: l’emozione violenta (paura della morte, odio per il nemico e sete di sangue), il calcolo razionale e la pianificazione e il puro caso e la casualità. La nostra ipotetica battaglia primitiva – la mischia disorganizzata – è una battaglia in cui l’influenza del calcolo razionale è inesistente. Il vincitore sarà deciso interamente dal caso e dall’interazione tra la paura, l’odio e il coraggio dei guerrieri.
La storia militare, in quanto tale, è la storia di uomini che cercano di controllare la battaglia massimizzando l’influenza del calcolo razionale e minimizzando l’influenza delle emozioni violente e del caso.
Il modo in cui i militari ottengono questo risultato è sviluppare e sfruttare quelle che chiameremo le asimmetrie sul campo di battaglia, che rappresentano la fonte del vantaggio. Un’asimmetria può essere tecnologica – un esercito possiede una nuova forma di armamento che l’altro non possiede – o numerica, sia nel numero di uomini che nella loro potenza di fuoco. Un’asimmetria può essere geografica – forse una delle due parti ha un migliore accesso all’acqua, al cibo o al carburante – o può derivare dalla modifica del campo di battaglia tramite opere difensive.
In questa serie esamineremo come gli eserciti generano asimmetrie con la manovra.
La manovra è il movimento organizzato e intenzionale di grandi unità volto a creare intenzionalmente un’asimmetria sul campo di battaglia. Queste asimmetrie, e i vantaggi che ne derivano, risiedono in ultima analisi nel modo in cui la guerra di manovra trasforma la forza di manovra in combattente proattivo, dettando il tempo e il punto focale della battaglia e costringendo il nemico a diventare reattivo.
Il colonnello John Boyd (che avevamo citato in un precedente articolo) aveva identificato il vantaggio chiave della manovra nell’interruzione del “ciclo OODA” del nemico. Il ciclo OODA (Observe, Orient, Decide, Act) è un tipico gergo tecno-burocratico, in quanto è semplicemente un modo eccessivamente complicato per dire “processo decisionale.” La manovra mira a frustrare il processo decisionale del nemico creando situazioni inaspettate sul campo di battaglia tali che lo costringono a diventare reattivo. Idealmente, una manovra creativa mette il nemico in difficoltà per tutto il resto della battaglia, lasciandolo intrappolato in un ciclo di costante di reazione ai movimenti proattivi della forza di manovra, piuttosto che avviare una propria azione proattiva.
La guerra di manovra è generalmente vista come l’opposto della guerra tradizionale. La guerra tradizionale mira a degradare costantemente il potere di combattimento del nemico con l’applicazione prolungata e costante di forze superiori; la guerra di manovra mira a distruggere rapidamente il potere di combattimento del nemico guadagnando e sfruttando un’asimmetria sul campo di battaglia. Sebbene il vantaggio della manovra sembri ovvio – cercando un impegno decisivo, la manovra offre la possibilità di una vittoria rapida e decisiva – essa comporta anche la possibilità di una sconfitta rapida e decisiva.
Di conseguenza, la guerra di manovra è tradizionalmente associata ad eserciti che andrebbero incontro ad un chiaro svantaggio in una guerra di logoramento – eserciti più piccoli con capacità materiali o logistiche più deboli. Dovendo affrontare un’asimmetria sfavorevole in una battaglia convenzionale, cercano di scambiarla con un’asimmetria positiva attraverso la manovra. Questa forma di guerra è associata in modo particolare ai Prussiani.
Terminologia della manovra
La Prussia conviveva con una realtà costante e sgradevole: si trovava in una posizione di svantaggio significativo in ogni possibile guerra contro una grande potenza di pari livello. La debolezza della Prussia era totale, sia dal punto di vista geografico (il Paese era incuneato al centro del continente senza barriere difensive naturali) che demografico (la sua popolazione era di gran lunga la più piccola tra le grandi potenze). Pertanto, qualsiasi governante prussiano doveva fare i conti con l’innegabile fatto che avrebbe inevitabilmente perso, e probabilmente perso in modo spettacolare, in qualsiasi tipo di guerra prolungata. Questa è quella che chiamiamo asimmetria.
Per compensare le asimmetrie negative, la Prussia aveva messo a punto un approccio alla guerra in grado di creare asimmetrie positive sul campo di battaglia. Questo stile di guerra, in tedesco, si chiamava Bewegungskrieg, letteralmente “guerra di movimento.” Si contrapponeva alla Stellungskrieg – “guerra di posizione” o combattimento attitudinale. Con la sua popolazione ridotta e i suoi confini vulnerabili, la Prussia avrebbe perso una guerra di posizione e quindi non aveva altra scelta che combattere una guerra di movimento.
Ora, i Prussiani (e successivamente i Tedeschi) non erano certamente gli unici praticanti della guerra di manovra, e nemmeno i migliori. Tuttavia, sono stati il primo establishment militare a trasformare la manovra in scienza e quindi molta della loro terminologia è diventata standard. Gli scritti di Clausewitz hanno inoltre contribuito a standardizzare l’uso del lessico prussiano sulla manovra.
Due termini in particolare sono importanti per noi. Il primo è il termine tedesco “Schwerpunkt,” letteralmente “punto focale.” Si riferisce al fatto di dover concentrare la potenza di combattimento dell’esercito in un punto decisivo sul campo di battaglia, invece di distribuirla uniformemente. L’obiettivo della guerra, nel pensiero prussiano, era piuttosto semplice: identificare un punto della formazione nemica che fosse vitale e debolmente difeso, manovrare lo schwerpunkt dell’esercito verso quel punto e attaccare immediatamente prima che il nemico potesse rispondere.
Antoine-Henri Jomini – il famoso teorico militare svizzero di cui abbiamo parlato in un precedente articolo – lo ha riassunto in modo pittoresco. Secondo lui, il “principio fondamentale della guerra” è “operare con la maggior massa delle proprie forze, uno sforzo combinato, su un punto decisivo.”
Un altro commentatore, molto meno noto ma forse ancora più interessante, era giunto a conclusioni simili. Emil Schalk è un enigma: di lui non si sa praticamente nulla, se non che, durante la Guerra Civile Americana, aveva vissuto a Filadelfia dove aveva scritto diversi libri, tra cui alcune analisi della guerra e un vivace volume intitolato “Riassunto dell’arte della guerra – Scritto espressamente e dedicato all’esercito volontario degli Stati Uniti.” Inoltre, in modo del tutto singolare, aveva pubblicato diversi articoli sui giornali per commentare la condotta operativa della Guerra Civile (cosa che, a sua volta, aveva provocato lamentele da parte di alcuni lettori che lo ritenevano troppo generoso nell’elogiare la condotta generale di Robert E. Lee). Quest’uomo altrimenti misterioso è stato, dobbiamo concludere, il primo blogger militare. Non esiste una sua foto, ma lo ritengo uno spirito affine.
In ogni caso, Schalk riassumeva i principi di manovra come segue:
Ci sono tre grandi massime comuni a tutta la scienza della guerra; esse sono:
1° – Concentrate la vostra forza e utilizzatela tutta contro una sola parte della forza nemica.
2° -Agite contro la parte più debole del nemico: il suo centro, se è disperso; il suo fianco o le sue retrovie, se è concentrato. Agite contro le sue comunicazioni senza mettere in pericolo le vostre.
3° – Qualunque cosa facciate, non appena avrete elaborato il vostro piano e preso la decisione di agire in base ad esso, agite con la massima rapidità, in modo da ottenere il vostro obiettivo prima che il nemico sospetti quello che state facendo.
In altre parole, create uno schwerpunkt e lanciatelo il più rapidamente possibile contro il punto vitale di relativa debolezza del nemico. Qualsiasi teorico prussiano avrebbe approvato.
La creazione di uno schwerpunkt, o concentrazione di forze, ha l’ovvio vantaggio di produrre un’asimmetria in un punto ben preciso – ma crea anche asimmetrie negative in altre parti dello spazio di battaglia, perché la concentrazione di forze nello schwerpunkt comporta necessariamente una rarefazione di forze nel resto del teatro di battaglia. Come vedremo più avanti, quando lo sforzo dello schwerpunkt viene meno, l’intero spazio di battaglia può collassare.
La seconda terminologia chiave che possiamo prendere in prestito dai prussiani è la nozione di attacchi concentrici. Questo si riferisce ad uno degli obiettivi chiave della guerra di manovra. Un attacco concentrico significa semplicemente avvolgere parzialmente o completamente le unità nemiche in modo che possano essere attaccate da più direzioni. Clausewitz, nel suo caratteristico stile aforistico,aveva semplicemente osservato che le forze che affrontano un attacco concentrico “soffrono di più e si disordinano.” A livello operativo, l’attacco concentrico taglia fuori le forze dalle linee di rifornimento e, a livello tattico, è estremamente difficile per una forza difendersi da più linee di attacco. Il vantaggio più importante, tuttavia, è che, ostacolando le linee di ritirata, diventa possibile per la forza di manovra tentare una battaglia di annientamento, che si verifica quando la forza avversaria non viene semplicemente limitata, ma liquidata in massa attraverso la resa o la completa distruzione, perché una forza avvolta non può semplicemente ritirarsi quando l’esito finale non è più a suo favore.
Questo era il quadro di guerra idealizzato dai Prussiani: movimento rapido e decisivo di grandi unità per avvolgere il nemico e distruggere la sua forza combattente con attacchi concentrici. Nel linguaggio prussiano, questo permette alle guerre di essere “brevi e vivaci,” decise da un’unica battaglia definitiva, piuttosto che lentamente, nel corso del tempo. Sebbene la terminologia descrittiva prussiana rimanga popolare, i Prussiani non erano stati gli inventori di questo approccio alla guerra, ma solo i primi a descriverlo con un lessico ampiamente utilizzato. Lo schwerpunkt, a quanto pare, è molto più antico.
Distruggere Sparta
Pochi guerrieri antichi hanno accumulato un’eredità così duratura e conosciuta come gli Spartani. Dalla rivisitazione cinematografica (con tanto di addominali scintillanti e potenzialmente generati al computer di Gerard Butler), ai supersoldati fantascientifici della serie Halo, fino all’uso della stessa parola Spartano come sinonimo di ardua e ascetica robustezza, gli Spartani sono, per molti, l’archetipo del guerriero. La maggior parte di coloro che hanno una conoscenza almeno sommaria della storia antica sanno che gli Spartani erano stati acclamati come i migliori guerrieri di tutta la Grecia.
È vero che gli Spartani schieravano eserciti assai competenti e potenti. Questo, ovviamente, non aveva tanto a che fare con una sorta di predisposizione genetica al combattimento, quanto piuttosto con la struttura della società spartana. In epoca classica, la maggior parte delle città-stato greche schierava eserciti di cittadini – letteralmente la popolazione maschile adulta in armi, con contadini e artigiani che si mobilitavano in una milizia. Al contrario, la società spartana era decisamente più marziale, anche in tempo di pace. Sparta aveva una grande forza lavoro di schiavi (iloti) che costituivano la maggioranza della popolazione – Erodoto sostiene che ci fossero qualcosa come sette iloti per ogni Spartano. La presenza di una forza lavoro così numerosa e servile consentiva agli uomini di Sparta di partecipare a rigorose istituzioni militari e sociali, tra cui un regolare addestramento alle armi e un’accademia militare per i giovani. Così, mentre il soldato ateniese medio era probabilmente un contadino che afferrava lo scudo, la lancia e l’elmo di famiglia quando veniva chiamato alle armi, uno Spartano era più simile a un soldato professionista che aveva a disposizione degli iloti che aravano i campi per lui.
La peculiare struttura sociale e le istituzioni marziali di Sparta avevano dato i frutti sperati. Dal 431 al 404 a.C. circa, gli Spartani avevano combattuto un lungo conflitto con Atene (la Guerra del Peloponneso) che aveva distrutto la preminenza ateniese nella Grecia meridionale e affermato Sparta come potenza greca dominante. Questa lotta aveva visto molte vittorie spartane decisive, tra cui la famosa battaglia di Siracusa, con un esercito ateniese interamente schiacciato da Sparta e dai suoi alleati.
La battaglia di Leuttra aveva posto fine in modo improvviso, inaspettato e spettacolare all’era dell’egemonia spartana.
Atene e Sparta sono di gran lunga le due città-stato greche più conosciute: Atene per i suoi filosofi e Sparta per i suoi guerrieri. Molto meno famosa è Tebe, la terza città della Grecia. Eppure era stata proprio questa Tebe, non celebrata, ad ottenere una vittoria decisiva contro gli Spartani, nonostante fosse in forte inferiorità numerica, schiacciando l’esercito spartano e spezzando il suo potere. Nel 371 a.C., Tebe e Sparta si erano ritrovate in guerra tra loro (i dettagli della politica della Beozia e del Peloponneso sono abbastanza poco interessanti) e gli Spartani erano riusciti a cogliere di sorpresa i Tebani con una rapida avanzata nella Grecia centrale, schierandosi in battaglia davanti all’esercito tebano presso il villaggio di Leuttra.
I comandanti tebani erano inizialmente divisi sull’opportunità di affrontare uno scontro con gli Spartani in quelle condizioni. Gli Spartani li superavano in numero, probabilmente qualcosa come 10.000 a 7.000 e, dopo tutto, erano Spartani. Un generale tebano di nome Epaminonda aveva sostenuto a gran voce la necessità di affrontare la battaglia e, alla fine, aveva ottenuto ciò che desiderava.
I guerrieri greci erano quasi esclusivamente equipaggiati da fanteria pesante, chiamata oplita (dal nome del loro equipaggiamento, denominato hoplon). Il corredo caratteristico dell’oplita era costituito da un grande scudo e da una lancia, lunga da 8 a 14 piedi [2,4 – 4,2 metri]. I film di Hollywood in genere non fanno un buon lavoro nel rappresentare in modo storicamente accurato i vari generi di combattimento, ma pochi guerrieri sono stati rappresentati così male come gli opliti. I film ritraggono quasi sempre in modo errato gli opliti che sollevano scudi metallici mostruosamente pesanti. Gli scudi greci erano invece solitamente di legno. Se il guerriero era ricco, lo scudo poteva essere bordato o addirittura ricoperto di bronzo, ma non era una pratica comune. Controintuitivamente, i legni preferiti per gli scudi tendevano a essere a bassa densità e morbidi, come il salice. Questo non solo rendeva lo scudo più leggero di un materiale pesante come la quercia (o, Dio non voglia, il metallo), ma i legni morbidi tendevano ad ammaccarsi quando venivano colpiti, anziché a scheggiarsi.
Inoltre, le dinamiche reali del combattimento degli opliti tendono ad essere distorte, in parte perché non abbiamo un quadro preciso del loro attuale funzionamento. Lo scudo degli opliti proteggeva preferibilmente un lato del guerriero. Questo fatto aveva dato origine alle formazioni compatte che sono caratteristiche delle rappresentazioni di battaglia greche, anche se gli storici continuano a discutere sull’origine di queste formazioni. Era stato un comandante greco intraprendente a concepire la falange e ad attuarla d’autorità? O era il risultato del naturale istinto di autoconservazione degli uomini? Un oplita che teneva lo scudo nella mano sinistra si accalcava intuitivamente più vicino al suo vicino di destra per proteggere il suo lato esposto. Era stato l’affollamento inconscio a portare col tempo all’adozione di massa della falange come metodo standard? Forse non lo sapremo mai.
L’altra domanda cruciale che rimane senza risposta è cosa succedeva quando le masse di opliti si scontravano tra loro. Alcuni storici insistono sul fatto che le falangi si scontravano davvero: due blocchi di uomini, tutti con 30 kg di armatura ed equipaggiamento, che si scontravano ad una velocità combinata di dieci miglia all’ora. Altri sostengono che una collisione a tutta velocità avrebbe causato un terribile disordine e che, probabilmente, gli eserciti rallentavano quando raggiungevano il punto di contatto. Rimane poi la questione di quanto, esattamente, queste masse di uomini fossero in grado di mantenere la formazione mentre si affrontavano: le distanze rimanevano strette o si allontanavano leggermente? Tutte queste questioni vengono dibattute all’infinito dai classicisti, e ogni esperto insiste nel dire di sapere con assoluta certezza come funzionava la battaglia arcaica.
Possiamo tuttavia fare alcune affermazioni definitive.
La guerra oplitica dell’epoca si concentrava in modo maniacale su quella che potremmo definire la “continuità del campo di battaglia.” Ciò si manifestava in due preoccupazioni primarie. La prima e più importante era quella di bilanciare correttamente la larghezza e la profondità della linea: se la profondità era troppo ridotta, il nemico poteva sfondare; se era la larghezza ad essere troppo ridotta, il nemico poteva aggirare la linea. La seconda preoccupazione era garantire che la linea avanzasse in modo fluido e coeso, con un ritmo costante, in modo che un’estremità non si trovasse davanti all’altra, compromettendo la struttura della formazione. Questa sembra essere stata una preoccupazione costante. Il leggendario generale e storico ateniese Tucidide aveva scritto nella sua Storia della guerra del Peloponneso:
È vero per tutti gli eserciti che, quando entrano in azione, l’ala destra tende ad allungarsi eccessivamente e ogni schieramento si sovrappone alla sinistra del nemico con la propria destra. Questo perché la paura spinge ogni uomo a fare del suo meglio per trovare protezione per il suo fianco disarmato nello scudo dell’uomo accanto a lui sulla destra, pensando che quanto più gli scudi sono chiusi insieme, tanto più sarà al sicuro.
A Leuttra, gli Spartani si erano schierati in formazione standard, con le loro linee di battaglia formate da 8 a 12 file. Questa era considerata la formazione corretta per garantire una profondità e una larghezza adeguate. In breve, la “pratica migliore” era quella di mantenere una formazione adeguatamente bilanciata, con la minor dispersione possibile, per evitare che la formazione si rompesse del tutto. Una formazione spezzata voleva dire la morte. Si stima che, nelle battaglie degli opliti greci, gli eserciti sconfitti perdessero in media quasi il triplo degli uomini rispetto agli eserciti vincitori. Questo era il prezzo da pagare per una falange in frantumi.
A Leuttra, Epaminonda e i Tebani avevano gettato alle ortiche tutta la saggezza convenzionale.
Invece di una formazione equilibrata e rettangolare, i Tebani si erano schierati in una formazione sbilenca e appesantita, con l’ala sinistra molto più profonda e con le loro truppe migliori. Mentre gli Spartani avevano seguito lo schema convenzionale e si erano schierati con una profondità costante su tutta la linea, i Tebani avevano assemblato un pacchetto massiccio, profondo cinquanta file, sulla sinistra (di fronte alla destra spartana).
Formando il grosso delle loro forze nell’ala sinistra (in una formazione da 4 a 5 volte più profonda di una massa oplita tradizionale), i Tebani avevano già deviato da una pratica standard dell’epoca. Avevano poi abbandonato una seconda procedura operativa standard quando avevano fatto avanzare l’ala sinistra molto più avanti del resto della loro linea. Mentre a sinistra una massa profonda 50 file si abbatteva sulla destra spartana, il centro e la destra tebani erano rimasti molto indietro. Di conseguenza, la massa dirompente della sinistra tebana aveva sfondato l’ala destra spartana e iniziato l’accerchiamento prima ancora che il resto della linea spartana si impegnasse in battaglia. La maggior parte dell’esercito spartano non era mai riuscito ad entrare in battaglia, la massa tebana era arrivata nelle retrovie e aveva iniziato ad attaccare in modo concentrico l’esercito spartano, provocando in breve tempo una disfatta totale.
1. Sparta si schiera in una formazione informe con una profondità costante in tutto il campo.
2. Tebe si schiera con una destra e un centro poco profondi, che ritardano la loro avanzata per evitare di impegnare la massa spartana.
3. Tebe ammassa una grossa forza sulla sinistra e avanza a tutta velocità verso la destra spartana, impreparata e in inferiorità numerica.
4. La sinistra tebana schiaccia la destra spartana e si dirige verso le retrovie spartane. Il centro e la sinistra spartani vengono messi in fuga senza aver mai ingaggiato battaglia.
Leuttra era stata una vittoria titanica con enormi implicazioni geopolitiche. La perdita di un esercito a favore di un nemico numericamente inferiore e sottovalutato aveva scosso sia la forza materiale di Sparta sia la sua percezione come principale potenza militare in Grecia e aveva dato il via ad una sconfitta strategica che l’aveva definitivamente relegata al rango di potenza di secondo piano all’interno della Grecia.
La battaglia di Leuttra era stata anche l’inizio della fine della guerra hoplite della Grecia classica, incentrata su formazioni di fanteria pesante uniformi e tatticamente semplificate. Per un lettore moderno, la strategia adottata dai Tebani a Leuttra, finalizzata ad un’azione decisiva per penetrare e sfruttare la linea nemica, sembra abbastanza ovvia. Tuttavia, per riuscirci, i Tebani avevano dovuto infrangere tutta una serie di “regole” della guerra oplitica, ammassando le loro forze in quella che, sicuramente, gli Spartani consideravano un’ala sinistra ingombrante, squilibrata ed eccessivamente profonda.
L’innovazione raramente appare come tale a chi ha il beneficio del senno di poi, ma i Tebani avevano, in una parola, scoperto il potere dello schwerpunkt. Tebe stessa sarebbe stata presto sopraffatta da un’altra potenza greca che schierava formazioni di falange altrettanto flessibili, ma ancora più potenti: la Macedonia.
Le tattiche di Epaminonda a Leuttra rappresentano uno dei primi esempi documentati di manovra coordinata e pianificata sul campo di battaglia. Epaminonda aveva introdotto una primitiva manovra nella guerra degli opliti, che, fino ad allora, era stata ossessivamente anti-manovra. In un senso molto concreto, l’obiettivo della guerra oplitica tradizionale era quello di manovrare il meno possibile: lo schieramento doveva avanzare in modo uniforme e regolare, senza girare o scaglionare. I Tebani, in un solo giorno a Leuttra, avevano ribaltato questa convenzione e dimostrato il potenziale di una rapida avanzata verso le retrovie nemiche.
Per quanto riguarda gli Spartani sconfitti, anche se non si erano mai ripresi dalla sconfitta di Leuttra, forse si sarebbero consolati se avessero saputo che, più di 2.000 anni dopo, sarebbero stati ancora loro, e non i Tebani, le icone della guerra antica.
L’opera magna di Rommel
2300 anni dopo Leuttra, la fanteria pesante con lancia e scudo non era più il sistema d’arma dominante. L’umanità era da tempo progredita verso forme sempre più elevate di armamento e complessità organizzativa, in una ricerca plurimillenaria di asimmetrie e vantaggi. Nel XX secolo, l’establishment militare prussiano-tedesco era all’apice della sua prodezza e cercava ancora di usare l’arte della manovra per abbattere nemici molto più grandi e capaci.
Molte operazioni tedesche saranno prese in considerazione nei prossimi capitoli, ma, per ora, consideriamo un esempio idealizzato di manovra da manuale – ideale perché non solo illustra la potenza degli attacchi concentrici, ma anche perché accenna ai potenziali pericoli di uno schema di manovra audace. Questo particolare esempio è anche il capolavoro operativo di uno dei più famosi comandanti tedeschi: Erwin Rommel.
Rommel, notoriamente, era stato il generale incaricato di gestire la campagna tedesca in Nord Africa. Sia l’uomo che la campagna sono ormai stati pesantemente mitizzati. Nella memoria popolare, Rommel viene spesso presentato come un uomo brillante, affascinante e, soprattutto, non nazista. Purtroppo, ciò riflette un travisamento del carattere di Rommel. Rommel aveva mostrato per anni una doverosa lealtà nei confronti di Hitler; il suo successivo e timido sostegno da un complotto del 1944 per deporre Hitler era stato motivato dalla convinzione che il Fuhrer stesse sbagliando la conduzione della guerra, piuttosto che da un rifiuto del nazismo in quanto tale. L’eredità di Rommel come figura affascinante è in gran parte radicata nella sua campagna in Africa, dove aveva goduto di un comando per lo più indipendente in un teatro assai ampio. Mentre il resto dei generali tedeschi si affannava nel fango e nel freddo dell’Unione Sovietica, Rommel correva libero e godeva di una quasi totale autonomia operativa nel deserto. Anche l’aspetto era quello giusto: il magro e muscoloso comandante di carri armati, con i suoi occhiali, il binocolo e le mappe, che si muoveva come un cavalleggero della vecchia scuola. È sicuramente una storia avvincente.
Lo stesso Nord Africa, come teatro militare, è parimenti mitizzato. Sulla carta, il deserto sembra offrire la promessa di una totale mobilità e libertà operativa – un ampio spazio aperto che può essere trattato come una scacchiera. Sfortunatamente, questa mobilità promessa era ostacolata dalla principale complicazione dei combattimenti nel deserto: la totale dipendenza dalle linee di rifornimento. Nel deserto, non solo ogni proiettile, ma anche ogni caloria, ogni goccia d’acqua e ogni litro di carburante per i carri armati dovevano essere trasportati da camion o da cavalli, rendendo la guerra nel deserto il più delle volte una fastidiosa fatica logistica.
Nonostante queste complicazioni, Rommel era riuscito a dare una superba dimostrazione da manuale della capacità di manovra.
La fase iniziale della guerra nel deserto era stata caratterizzata da una sfrenata esuberanza operativa, mentre sia gli eserciti britannici che quelli dell’Asse lottavano per adattarsi alla difficoltà dei rifornimenti a lungo raggio nel deserto. Il fronte si spostava in modo drammatico su vaste distanze. Nel marzo 1941, dopo il suo arrivo in Africa, Rommel era passato rapidamente all’attacco: dopo una serie di piccole schermaglie, aveva sfondato ad est in Cirenaica (l’odierna Libia) e percorso 600 miglia in due settimane. Una distanza impressionante, ma per nulla utile. Nessuna forza britannica significativa era stata battuta (le loro prime linee si ritiravano semplicemente davanti a lui) ed ora era bloccato al confine con l’Egitto, con una linea di rifornimento da incubo. La cosa peggiore è che aveva aggirato la fortezza britannica di Tobruk, dando loro un punto di partenza da cui poter interrompere suoi rifornimenti. In breve tempo, Rommel aveva dovuto ripiegare ad ovest, accorciando le sue linee, mentre gli Inglesi gli stavano alle costole, allungando di conseguenza le loro linee di rifornimento.
La questione centrale era che le distanze in gioco, combinate con la scarsità del deserto, rendevano molto difficile per entrambi gli eserciti combattere efficacemente alle estremità del teatro, alle porte delle basi di rifornimento dell’avversario. Non sorprende, quindi, che il fronte si stabilizzasse in una posizione di equilibrio, con il rapido movimento avanti e indietro che si era esaurito in prossimità di una posizione che sarebbe stata nota come Linea di Gazala.
In netto contrasto con la mobilità stereotipata della guerra nel deserto, la linea di Gazala si era trasformata in breve tempo in un pantano fortificato che ricordava la guerra di trincea della Prima Guerra Mondiale. I Britannici, in particolare, avevano costruito una cintura difensiva davvero imponente, completa di trincee, nidi di mitragliatrici, postazioni di mortaio, matasse di filo spinato, campi minati e – tocco distintivo – “scatole” difensive che racchiudevano le unità britanniche in una cintura completamente fortificata, a 360 gradi, costituita da ostacoli anticarro e mine, e che offrivano protezione da attacchi provenienti da qualsiasi direzione.
Mentre i due eserciti si guardavano l’un l’altro attraverso la linea di Gazala, riorganizzandosi, rinforzandosi e rifornendosi diligentemente, Rommel si era trovato di fronte ad un problema tipicamente prussiano. Doveva affrontare un’operazione prolungata contro un esercito britannico che, se avesse avuto tempo a sufficienza, lo avrebbe annientato. Gli Inglesi erano già più numerosi e più armati di lui. La loro 8a Armata contava ormai ben 100.000 uomini supportati da oltre 900 carri armati, tra cui l’americano M-3 Grant, all’epoca il miglior carro armato in azione nel teatro africano. Per eguagliare tutto ciò, Rommel poteva contare sulla “Armata Panzer Africa” – una denominazione generosa, con forse 90.000 uomini e appena 561 carri armati – 200 dei quali erano pessimi modelli italiani. In breve, gli Inglesi avevano più uomini, carri armati superiori sia in numero che in qualità, una linea difensiva apparentemente inespugnabile e, a differenza di Rommel, potevano aspettarsi di rafforzarsi nel tempo con ancora più uomini e materiali.
Questo è il classico enigma militare. Rommel si era trovato di fronte ad una prevedibile asimmetria negativa di numeri e di potenza di fuoco. Era quindi ricorso alla manovra per creare un’asimmetria a suo favore. Era nata così l’Operazione Teseo.
L’ordine di battaglia di Rommel conteneva un numero inquietante di divisioni italiane, tra cui cinque divisioni di fanteria (la maggior parte con nomi di città italiane) e due divisioni motorizzate (“Trieste” e “Ariete”). Rommel disponeva anche di due vere e proprie divisioni panzer tedesche (la 15ª e la 21ª) e della 90ª Divisione leggera. Le divisioni di fanteria italiane erano, senza mezzi termini, inutili per qualsiasi operazione significativa, per cui Rommel le aveva utilizzate per condurre un attacco diversivo, destinato a tenere impegnato il nemico facendo il maggior rumore possibile – sull’ala settentrionale (destra) della linea britannica. Con l’attenzione britannica debitamente fissata, Rommel aveva lanciato le sue cinque divisioni mobili in un’epica manovra di aggiramento, con l’intenzione di aggirare il fianco meridionale (sinistro) della Linea Gazala e di dirigersi poi verso il mare – catturando diverse divisioni britanniche e brigate di carri armati, con una manovra di accerchiamento completo. Era il 27 maggio 1942, l’inizio delle tre settimane più importanti della carriera di Rommel.
1. L’ala sinistra di Rommel, composta da cinque divisioni di fanteria italiane, inizia un attacco dimostrativo contro la Linea Gazala.
2. Le unità mobili di Rommel (Divisioni italiane Ariete e Trieste, 15a e 21a Panzer e 90a Divisione leggera tedesca) iniziano un’ampia manovra di aggiramento sul fianco destro della Linea Gazala. Le divisioni italiane vengono inaspettatamente bloccate dalla brigata della Francia Libera.
3. Le unità tedesche motorizzate e di panzer attraversano il fianco britannico e irrompono nella zona posteriore.
Il piano, infatti, non era andato molto bene. Le due divisioni motorizzate italiane di Rommel avevano sbagliato la direzione di attacco. La Divisione Trieste, invece di aggirare i campi minati britannici, vi era finita dentro. La divisione gemella, Ariete, non aveva fatto di meglio, incappando in una “scatola” difensiva strenuamente difesa da una brigata francofona che operava con l’8ª Armata britannica.
Rimanevano solo le tre divisioni tedesche di Rommel, che, com’era prevedibile, si erano comportate molto meglio degli Italiani, ma che, in ogni caso, non erano riuscite a raggiungere gli obiettivi ambiziosi di Rommel. La 90a Divisione Leggera si era spinta molto ad est, dove i panzer non potevano sostenerla, e il pugno di Rommel – il suo schwerpunkt, composto dalle due divisioni panzer – aveva scoperto che i progressi erano semplicemente troppo lenti e dolorosi, data la superiorità britannica in carri armati e nelle difese a strati.
Dopo essersi spinto molto lontano nelle retrovie britanniche, ma non essendo riuscito a completare l’accerchiamento e a raggiungere alcun obiettivo importante, il 28 maggio Rommel aveva preso la dolorosa decisione di portare le sue unità in posizione difensiva, rintanandole in tasche nascoste nei campi minati britannici. Il tentativo di accerchiamento gli si era ritorto contro e ora era lo stesso schwerpunkt di Rommel a trovarsi nelle retrovie nemiche, tagliato fuori dai propri rifornimenti. Gli Inglesi sapevano di avere Rommel in trappola e chiamavano la sua posizione “il calderone.”
1. Non riuscendo a raggiungere gli obiettivi a causa delle rigide difese britanniche, Rommel fa arretrare le sue forze di fiancheggiamento in una posizione difensiva protetta dai campi minati britannici – “Il Calderone.”
2. Gli inglesi contrattaccano, ma le loro unità di carri armati sono alimentate in modo frammentario e vengono polverizzate dai cannoni anticarro tedeschi nel Calderone.
3. Le linee di rifornimento di Rommel sono minacciate dalle forze leggere britanniche. Le unità Panzer sono ormai praticamente senza carburante.
La situazione era innegabilmente disastrosa. Tagliate fuori dai rifornimenti dai campi minati, le forze di Rommel si trovavano a dover affrontare l’incombente esaurimento delle scorte di carburante. Nel frattempo, gli Inglesi – che godevano ancora di una forza superiore in mezzi blindati – si stavano preparando a fare a pezzi Rommel nel calderone. Lo stesso Rommel, se fosse stato nei panni degli Inglesi, avrebbe ammassato tutti i suoi corazzati e li avrebbe lanciati in un unico massiccio pacchetto d’attacco per distruggere il nemico accerchiato.
Questo, però, non è quello che avevano fatto gli Inglesi. L’attacco in massa non era mai arrivato. Invece, stranamente, avevano lanciato una serie di attacchi a ondate non coordinate costituite da singole brigate di carri armati. Si trattava comunque di unità formidabili e le forze di Rommel avevano subito perdite dolorose per respingerle, ma mancavano della massa consolidata necessaria per distruggere completamente la posizione tedesca. In seguito Rommel aveva detto ad un ufficiale britannico catturato: “Che differenza fa se voi avete due carri armati contro il mio, quando li sparpagliate e me li lasciate distruggere ad uno ad uno?”
Apparentemente lasciato libero dagli Inglesi, Rommel era entrato in azione. Aveva bisogno di rimettere in moto i suoi panzer e per farlo aveva bisogno di carburante. Il 29 maggio, aveva personalmente scortato un convoglio di rifornimenti attraverso un piccolo varco nel campo minato britannico, facendo entrare nei suoi carri armati il carburante sufficiente a farli muovere per un po’ e lavorando ad una soluzione definitiva. Mentre le divioni corazzate britanniche si stavano riorganizzando dopo i disastrosi attacchi frammentari del giorno precedente, Rommel aveva lanciato un attacco verso ovest, cioè verso la sua posizione di partenza. Lo scopo non era quello di fuggire, ma di creare un varco sufficientemente ampio nelle linee difensive britanniche per consentire ai rifornimenti, soprattutto di carburante, di passare liberamente, riportando i suoi panzer alla piena mobilità.
Con il problema dei rifornimenti risolto e con il sistema di comando e controllo britannico apparentemente incapace di mettere insieme una massa sufficiente, Rommel aveva rifornito i suoi mezzi e sferrato il colpo di grazia, uscendo dal Calderone e facendo ripiegare verso est le unità britanniche battute, almeno quelle che erano riuscite a scappare. Più 30.000 soldati britannici sarebbero state catturati a Tobruk, che, alla fine, era caduta a metà giugno.
1. Con le unità motorizzate a corto di carburante, Rommel fa liberare una striscia di terreno attraverso i campi minati per permettere finalmente ai rifornimenti di affluire nel Calderone. Ai panzer viene restituita la mobilità.
2. Con la maggior parte dei loro carri armati sprecati in inutili attacchi a ondate contro il Calderone, gli Inglesi vengono distrutti dall’attacco di Rommel. Le unità rimanenti iniziano a ritirarsi verso est.
3. Le unità britanniche intatte a nord (1a Divisione sudafricana e 50a Fanteria) evacuano la Linea Gazala.
La battaglia di Gazala è una delle battaglie più istruttive da studiare, in quanto dimostra l’intera gamma di considerazioni legate alla guerra di manovra – sia le sue promesse che i suoi pericoli.
Di fronte ad un nemico numericamente e materialmente superiore che combatteva dietro una linea difensiva ben preparata, l’unico modo possibile per Rommel di uscire vittorioso era concentrare la sua potenza di combattimento e combattere una battaglia mobile. Lanciare le sue unità motorizzate contro le retrovie britanniche era l’unica soluzione possibile, ma rischiava anche di distruggere il suo esercito. Lo schwerpunkt è uno strumento potente, ma se fa cilecca o si impantana nelle retrovie nemiche – come era successo a quello di Rommel – può essere tagliato fuori e distrutto. In altre parole, la manovra offre il potenziale per una vittoria decisiva e rapida, ma comporta anche la possibilità di una sconfitta altrettanto decisiva e rapida.
Gli Inglesi, tuttavia, non erano stati in grado di approfittare della situazione disastrosa di Rommel e non erano riusciti a distruggere le sue forze corazzate una volta intrappolate nel calderone. I problemi del comando e del controllo britannico in questo periodo erano molti – decisioni prese da comitati, scarso coordinamento tra le unità, indecisione ed esitazione generale – ma il risultato sul campo di battaglia di tutti questi problemi era stato un’asimmetria di base:
In ogni momento dei giorni cruciali della battaglia, Rommel aveva mantenuto la sua potenza di fuoco – in particolare i carri armati e i cannoni anticarro – consolidata in un’unica massa, mentre gli Inglesi avevano lasciato che la loro si disperdesse. Invece di essere schiacciato da un colpo mortale di più divisioni, Rommel era stato in grado di parare una sequenza di attacchi portati da singole brigate. In breve, Rommel aveva mantenuto uno schwerpunkt – un centro di massa – mentre gli Inglesi non lo avevano fatto. Da questo dipendeva l’intera battaglia.
Nei capitoli successivi vedremo cosa succede quando la forza di difesa, a differenza degli Inglesi a Gazala, è in grado di reagire rapidamente e con forza concentrata allo schwerpunkt nemico – e vedremo il terribile rischio insito nelle manovre di attacco aggressive. Rommel era stato fortunato con i suoi nemici, ma non tutti i comandanti sono così fortunati.
La caccia all’otarda
La guerra nazi-sovietica è stata la più grande guerra della storia dell’umanità, sia per le dimensioni degli eserciti, sia per le perdite, sia per la portata geografica del fronte. Eserciti di molti milioni di uomini si sono affrontati su campi di battaglia che si estendevano per oltre 1300 miglia da Berlino, a ovest, al Volga, a est, e per oltre 1200 miglia da Leningrado, a nord, al Caucaso, a sud. Eppure, nonostante le vaste distanze che avrebbero ospitato la ferocia di questa guerra, alcuni dei combattimenti più intensi e drammatici si erano svolti in uno spazio ristretto, appena cinquanta miglia per trenta, circondato dal mare.
La Crimea è una penisola che sporge dalla Russia meridionale nel Mar Nero e, sul suo lato orientale, si trova un’altra penisola più piccola, quella di Kerch. Caratterizzata da campi pianeggianti e piccole città, la penisola di Kerch misura 56 miglia da est a ovest e appena 32 miglia nel suo punto più largo. Tre dei suoi lati sono in mare aperto, mentre il margine occidentale – il “collo”, dove si collega alla Crimea – è largo appena dieci miglia. Per gli standard della guerra nazi-sovietica, si trattava di un campo di battaglia insolitamente piccolo e limitato e di un punto di strozzatura naturale che non lasciava praticamente alcuno spazio di manovra.
Nel 1941, mentre la Wehrmacht si abbatteva sulle regioni occidentali dell’Unione Sovietica, la battaglia era stata rapidamente portata in profondità nell’Ucraina sovietica e, a settembre, l’11a Armata tedesca – comandata dal giovane generale Erich von Manstein – si era fatta strada in Crimea, infliggendo una cocente sconfitta alle forze dell’Armata Rossa che tentavano di difendere la penisola. Il problema per l’esercito tedesco, tuttavia, era che i confini della Crimea impedivano la manovra aperta, che era alla base del loro approccio alla guerra: l’unico modo per penetrare era un brutale assalto frontale. Inoltre, in Crimea c’era un numero di divisioni sovietiche più che doppio rispetto a quello previsto – il tipo di fallimento dell’intelligence tedesca che ormai stava diventando una routine. La lotta per conquistare la Crimea era stata brutale e prolungata, ma, il 16 novembre, tutta la Crimea – compresa la penisola di Kerch – era stata conquistata dai Tedeschi, a parte l’imponente fortezza di Sebastopoli.
A questo punto le cose avevano iniziato ad andare male per Manstein e l’11ª Armata. A dicembre, un assalto a Sebastopoli era fallito e, mentre Manstein rifletteva su come conquistare la fortezza, l’Armata Rossa aveva effettuato un audace sbarco anfibio nella penisola di Kerch. L’operazione era stata un colpo brillante che aveva colto di sorpresa i Tedeschi: dopo aver liberato Kerch, era rimasta una sola divisione a presidiarla. Manstein, e tutti gli altri, probabilmente non avevano pensato che l’Armata Rossa sarebbe tornata in forze. Entro la fine di dicembre, i Tedeschi si erano ritirati completamente da Kerch e l’Armata Rossa era in procinto di sbarcare sulla penisola tre armate complete: la 51ª, la 47ª e la 44ª. La conquista di Sebastopoli era ormai l’ultima delle preoccupazioni di Manstein: l’Armata Rossa era chiaramente intenzionata a riprendersi tutta la Crimea.
Il problema per l’Armata Rossa a Kerch era il fatto, relativamente semplice, che il suo comandante, Dimitri Kozlov, era surclassato da Manstein sotto ogni aspetto. Avvertendo il nuovo pericolo che si stava formando nelle retrovie, Manstein aveva lasciato una forza d’assedio per tenere impegnata Sebastopoli e aveva rapidamente spostato il grosso dell’11a Armata attraverso la Crimea, lanciando un rapido attacco per imbottigliare i sovietici a Kerch, assicurandosi che la Germania mantenesse il controllo di quel cruciale collo di bottiglia largo appena dieci miglia. Con oltre 200.000 uomini da una parte e dall’altra che si fronteggiavano in uno spazio ristretto, era ovvio che si prospettava un sostanziale spargimento di sangue.
Entrambi i comandanti stavano pianificando offensive, ma Kozlov era riuscito a lanciare la prima. Il 27 febbraio, l’Armata Rossa aveva lanciato il suo primo attacco per uscire dalla penisola di Kerch, attacco che era stato immediatamente respinto. Il suo fallimento sarebbe stato aggravato da altri due tentativi di sfondamento, con conseguenti perdite terribili prima che, il 15 aprile, Kozlov si ritirasse finalmente sulle posizioni di partenza.
L’aspetto più preoccupante di questa operazione, a parte l’incompetenza sistemica che ancora affliggeva gran parte del corpo ufficiali sovietico a questo punto della guerra, era che le dimensioni limitate dello spazio di battaglia creavano naturalmente concentrazioni molto dense di unità sovietiche, che diventavano facili bersagli per l’artiglieria e l’aviazione tedesche, ormai presenti in abbondanza. Manstein aveva chiesto – e ottenuto – un sostanzioso supporto aereo. I famosi bombardieri in picchiata Stuka della Germania avevano trovato a Kerch le condizioni ideali, con colonne sovraccariche di carri armati e camion che arrancavano su strade fangose. In un solo giorno di marzo, le armate di Kozlov avevano perso 93 carri armati a causa degli attacchi degli Stuka e un corrispondente di guerra sovietico si era lamentato del fatto che la maggior parte delle perdite non si era verificata durante l’attacco vero e proprio, ma era dovuta all’incessante bombardamento delle retrovie e dei punti di raccolta da parte dell’artiglieria e degli aerei tedeschi. Si trattava fondamentalmente di uno spazio di battaglia confinato e piatto, che non offriva né spazi per fuggire né per nascondersi: un campo di battaglia ideale per l’artiglieria e la potenza aerea.
Tutto ciò era ideale per la difensiva, ma le dimensioni ristrette del campo di battaglia rappresentavano un problema anche per Manstein per la pianificazione della sua offensiva. La guerra di manovra tedesca, di cui Manstein era un praticante per eccellenza, mirava a trovare e attaccare i fianchi del nemico – per circondare, disorientare e distruggerlo. Ciò a cui Manstein aspirava era esattamente la manovra che Rommel aveva usato per sconfiggere gli Inglesi a Gazala. La differenza era che Rommel aveva un deserto ampio e aperto sul fianco che poteva usare per aggirare l’ala britannica. In Crimea, l’Armata Rossa non aveva alcun fianco: era semplicemente schierata in un fronte continuo e densamente compatto per tutta la larghezza della penisola di Kerch, da mare a mare. La manovra sembrava geometricamente impossibile: non potendo attaccare un fianco che non esisteva, sembrava che un sanguinoso assalto frontale fosse l’unico tipo di operazione possibile. Ma Manstein aveva trovato una via d’uscita: senza un fianco naturale disponibile, avrebbe usato lo Schwerpunkt per crearne uno.
L’8 maggio, Manstein e l’11ª Armata avevano lanciato l’operazione Trappenjagd “Caccia all’otarda.” L’11a Armata era composta da due corpi d’armata: il 42°, che era stato ridotto ad una sola divisione di fanteria tedesca (potenziata con forze alleate rumene), e il 30°, anch’esso rafforzato per includere tre divisioni di fanteria e l’unità più formidabile di Manstein, la 22a Panzer. Con il peso dell’11a Armata concentrato nel 30° Corpo, l’attacco sarebbe stato fortemente asimmetrico.
L’operazione era iniziata con il 42° Corpo, a ranghi ridotti, che aveva compiuto mosse diversive e finte d’attacco verso il settore settentrionale della linea sovietica. Nel frattempo, il 30° Corpo rafforzato si preparava a lanciare un attacco di sfondamento nella parte meridionale del fronte. Sostenuto da una colossale concentrazione di aerei da attacco al suolo della Luftwaffe e da un feroce bombardamento di artiglieria, il 30° Corpo aveva sfondato la linea del fronte sovietico e la 22° Divisione Panzer si era riversata nel varco. Manstein aveva creato il suo fianco.
Dopo aver superato il varco nel settore meridionale dello schieramento sovietico, ai Panzer non era restato che una breve strada da percorrere. Un breve tragitto verso le retrovie sovietiche, una svolta a sinistra e pochi chilometri a nord verso il Mar d’Azov: l’intera 51a Armata sovietica era ormai accerchiata. I Tedeschi avevano accerchiato le unità sovietiche molte volte nel 1941, ma mai un esercito era stato intrappolato in un’area così ristretta, totalmente priva di copertura. Il 51° sovietico accerchiato era rimasto intrappolato in una sacca di fuoco, sottoposto al fuoco catastrofico dell’artiglieria e agli attacchi aerei della Luftwaffe, che aveva effettuato centinaia di missioni. Nel giro di pochi giorni, i soldati sovietici si erano arresi a migliaia.
A questo punto non restava che sfruttare il successo. La 51ª Armata sovietica era stata completamente annientata, insieme alla maggior parte della 47ª, e i resti della 47ª e della 44ª si erano ritirati in tutta fretta verso la città di Kerch, sulla punta orientale della penisola. Lungo il percorso, avevano continuato ad essere martellati dalla Luftwaffe e dall’implacabile fuoco dell’artiglieria tedesca. La natura dello spazio di battaglia aveva reso banale per Manstein accerchiare i sopravvissuti; l’Armata Rossa si era ritirata in un angolo contro il mare, come gli inglesi a Dunkerque – ma, questa volta, i Tedeschi non si erano tirati indietro. Con i sopravvissuti sovietici intrappolati contro il mare, che tentavano disperatamente di evacuare, Manstein aveva potuto portare la sua artiglieria direttamente sulla spiaggia e colpire i Sovietici in fuga da distanza ravvicinata.
La “caccia all’otarda” di Manstein aveva fruttato alla Germania una delle vittorie più complete e perfette della guerra. Di fronte ad un gruppo di armate sovietiche che superava l’11a Armata in un rapporto di quasi 2 a 1, Manstein era riuscito ad organizzare con successo una classica battaglia di annientamento manovrata. Circa 160.000 soldati sovietici erano stati uccisi o catturati nella penisola di Kerch, in un’operazione che era costata ai Tedeschi solo 7.500 vittime, di cui appena 1.700 caduti. Manstein aveva ottenuto questo risultato applicando tutte le caratteristiche della manovra tedesca – accerchiamento, attacco sul fianco e sfruttamento del vantaggio – ma lo aveva fatto su un campo di battaglia dove non esistevano fianchi naturali e dove il nemico poteva presidiare una linea difensiva ininterrotta da mare a mare.
1. Il 42° Corpo tedesco (ridotto ad una sola divisione di fanteria tedesca e con divisioni rumene ausiliarie) effettua dimostrazioni diversive verso il settore nord della linea sovietica.
2. Il 30° Corpo tedesco (sovraccarico di divisioni di fanteria e di forze corazzate) sfonda il settore meridionale sovietico con l’aiuto di una potenza aerea e di artiglieria concentrata. La divisione Panzer tedesca attraversa il varco e si dirige a sinistra verso la costa del Mare di Azov, intrappolando la 51ª e la 47ª Armata sovietiche. Le forze sovietiche vengono liquidate.
3. Le forze superstiti dell’Armata Rossa si ritirano a est verso il porto di Kerch, con l’obiettivo di evacuare via mare. Manstein insegue, intrappolando i Sovietici sulla spiaggia. L’artiglieria bombarda i Sovietici sopravvissuti all’evacuazione.
La campagna di Crimea di Manstein illustra un’importante applicazione della potenza di fuoco sul campo di battaglia: un esercito con sufficiente potenza di fuoco e forza d’attacco ha sempre la possibilità di creare il proprio fianco facendo un buco nella linea nemica e poi girando a destra o a sinistra una volta effettuato lo sfondamento. In questo caso, la natura circoscritta del campo di battaglia, unita alla colossale concentrazione di potenza aerea della Germania, aveva permesso a Manstein di saturare con la sua potenza di fuoco una stretta sezione del fronte e ai Panzer era rimasta solo una breve distanza da percorrere per portare a termine un accerchiamento perfetto.
Tuttavia, l’operazione aveva anche fatto capire che il grande successo di Manstein non sarebbe stato replicabile su una scala bellica più ampia, proprio perché [a Kerch] le condizioni erano uniche. Sul fronte orientale era difficile ottenere uno spazio ristretto e il vantaggio di Manstein in termini di potenza di fuoco era stato reso possibile dalla concentrazione in un piccolo settore di una parte sostanziale delle risorse della Luftwaffe: questa sarebbe stata una delle ultime volte in cui la Germania avrebbe goduto della superiorità aerea. Sempre più spesso, i Tedeschi si sarebbero trovati in inferiorità numerica e in una situazione di sostanziale squilibrio di potenza di fuoco, rendendo la Caccia all’otarda di Manstein una mera nota a piè di pagina in uno sforzo perdente. Per i discepoli delle arti operative, tuttavia, l’11a Armata in Crimea rimane un potente esempio di approccio operativo e dimostra che anche un’armata arroccata in una posizione apparentemente inattaccabile può trovarsi accerchiata da un’abile manovra.
Sommario: Inviluppo singolo e attacco concentrico
Leuttra, Gazala, Kerch.
Tre esempi dello stesso concetto di manovra fondamentale, ma con circostanze radicalmente diverse che ne dimostrano l’ampia applicabilità. Lo schema di base, il concetto operativo fondamentale della manovra, è quello che noi chiamiamo “inviluppo singolo,” ovvero l’accerchiamento di una parte o di tutta la forza nemica con un unico elemento di manovra, un unico pacchetto d’attacco massiccio, che colpisce le retrovie nemiche e compie una brusca virata per catturare la forza nemica, consentendone la liquidazione tramite un attacco concentrico.
A Leuttra, i Tebani avevano ottenuto un inviluppo singolo con uno schwerpunkt composto interamente da fanteria in armatura pesante – lento come si vuole, dimostrando però che la manovra è un fenomeno trascendente, che non dipende in alcun modo dalla tecnologia moderna, come carri armati e camion. In Crimea, Manstein aveva dimostrato che uno schema di avvolgimento è possibile anche in assenza di un fianco naturale. Anche se il nemico è trincerato da mare a mare, se la forza d’attacco è adeguatamente dotata di potenza di fuoco è sempre possibile creare un’opportunità di fiancheggiamento.
È interessante notare che era stato Rommel ad aver avuto le circostanze ideali per una manovra di accerchiamento a Gazala, eppure era stato lui ad aver corso i maggiori pericoli e il rischio che comporta un tentativo di accerchiamento. Rommel aveva un deserto aperto sul fianco che avrebbe potuto utilizzare per eseguire la sua manovra di avvolgimento, ma si era comunque impantanato e una forza avvolgente che non riesce a raggiungere il suo obiettivo diventa davvero molto vulnerabile, come vedremo presto.
Big Serge
Fonte: bigserge.substack.com
Link: https://bigserge.substack.com/p/the-history-of-battle-maneuver-part
04.11.2022
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org