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La Redazione

 

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La rubrica dell’Economist, ovvero come le élite non vivano nella realtà

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A cura di Davide
Il 24 Agosto 2017
210 Views

FONTE: GEFIRA.ORG

Le élite globaliste occidentali non hanno ancòra digerito la Brexit e la vittoria di Trump. Non sopportano che le proprie ideologie vengano rigettate. Ma quando la realtà non corrisponde ai loro sogni, basta creare online un mondo parallelo. Il portale dell’Economist, chiamato “what if”, un’echo chamber neo-liberale, ne è appunto un esempio.

Il suo ultimo pezzo attribuisce poteri magici al nuovo eroe delle élite, Emmanuel Macron, che ha sconfitto con forza il “male” Marine Le Pen a maggio. Per l’Economist, Macron è praticamente Cristo, e così è stato rappresentato sulla copertina del mensile, mentre cammina sull’acqua.

Lo scenario ipotetico del successo di Macron si basa su magiche riforme che in qualche modo dovrebbero creare grandi quantità di posti di lavoro e ripianare un bilancio statale ormai fuori controllo. Come esattamente tutto ciò verrà fatto non viene neanche accennato. Le previsioni rosee però non si fermano qui. Il miracolo Macron trasformerebbe la Francia in una nuova Silicon Valley, un paradiso per le start-up. Non viene in mente la bolla di Internet degli anni ’90? Dopo aver “fatto di nuovo grande la Francia” e dopo aver sconfitto Marion Maréchal-Le Pen, la nipote di Marine (che peraltro si è ritirata dalla politica, ma non ditelo all’Economist, se no rovinererebbe la narrazione), la magia di Macron renderà di nuovo grande anche l’Europa. Documenti accademici sul “Rinascimento francese” stanno già cominciando ad apparire, dice l’autore dell’articolo, un intellettuale liberale lui stesso. Parla di “operazioni militari finanziate dall’UE nel Sahel”, come se fosse una priorità europea. Perché destabilizzare i paesi circostanti ha funzionato così bene fino ad ora, no? Il terrorismo islamico non è neanche menzionato nell’articolo, per cui presumiamo che scomparirà magicamente, così come i problemi delle banlieu. Anche qui non viene offerta alcuna soluzione, solo magia.

Un altro articolo, “Se i confini fossero aperti”, affronta l’immigrazione. Il mondo diverrebbe improvvisamente più ricco di 78 miliardi di dollari perché “i messicani negli Stati Uniti potrebbero rendere il 150% in più, i nigeriani il 1000%”. Ovviamente non teniamo in conto la basilare regola economica per la quale un infinito aumento dell’offerta di lavoro fa scendere i salari a zero. Vi si afferma inoltre che “un nigeriano negli Stati Uniti non potrà essere arruolato da Boko Haram” perché, è evidente, l’immigrazione di massa in Occidente finora non ha portato ad eventi legati al terrorismo. Tutti i problemi su bassi salari e sicurezza vengono liquidati come “poco più che congetture senza prove”. L’intero articolo è uno spudorato esercizio di disonestà intellettuale, che ignora o minimizza prove evidenti mentre evidenzia i potenziali e piuttosto illusori benefìci. Menziona il problema della sostituzione di popoli, ma non ne trae alcuna conclusione. Dovrebbe farlo, dato che un fallimento nella creazione di un Brave New World potrebbe comportare un conflitto etnico. Ma questa non è una risposta politicamente corretta, per cui deve essere ignorata. Quel che conta sono i presunti 78 miliardi di dollari, che peraltro non si concretizzerebbero mai se i conflitti etnici esplodessero. La prima riga dell’articolo dice: “i potenziali guadagni sono così vasti che gli oppositori potrebbero essere corrotti per farlo succedere”: questo risponde alla domanda “chi otterrebbe quei 78 miliardi di dollari?”. Le élite, che successivamente corromperebbero accademici ed intellettuali per pubblicare articoli come questo. Infatti l’Economist è di proprietà dei Rothschild, la famiglia più elitaria del mondo. Proprio come il loro burattino, Macron, che ha lavorato per una delle loro varie banche. Quest’infatuazione è una mera coincidenza?

Siamo sopravvissuti a precedenti articoli dell’Economist. Nessuno di loro ha effettivamente azzeccato le proprie previsioni. Per il 2015 c’era lo scenario di una disaggregazione russa, una fantasia simile a quella fatta dall’ormai defunto Brzezinski in The Grand Chessboard. Poi c’erano “I primi 100 giorni” della Clinton.

La previsione della vittoria di Trump è l’unica cosa giusta dell’articolo. Le conclusioni tratte sono tutte sbagliate. Il sottotitolo dice che l’inesperienza di The Donald provocherà una “crisi mondiale”. Ancora una volta, è ovvio che le policy della Clinton in Libia (“we came, we saw, he died”) non abbiano causato una guerra civile, una società collassata ed una devastante ondata di immigrati nel Mediterraneo. Conseguenze molto simili all’approccio “Assad se ne deve andare” di Obama ed Hollande verso la Siria. L’articolo diceva che la sua prima visita internazionale sarebbe stata in Russia: ovviamente è stata in Polonia.

Hillary Clinton  è stata presumibilmente rovesciata dagli “hacker russi”, fantasia poi inculcata nelle menti dei suoi sostenitori. Peccato. La narrazione si è ora spostata sulla “collusione”. Mosca starebbe anche “colpendo elicotteri estoni” perché i russi sono malvagi. La russofobia è il leitmotiv ricorrente dell’Economist.

Un’altra predizione riguardava il Messico, che sarebbe una “superpotenza” umanitaria “perché accoglie i minori non accompagnati”, noti anche come immigrati clandestini. Ah no, aspettate, il Messico sta ora pensando di costruire un muro lungo il confine col Guatemala. Che altro avevano previsto?

Trump non passerà il suo “muslim ban”: passato. Ci sarà una guerra commerciale con la Cina: nessuna. I clandestini non verranno deportati: arresti aumentati del 40%.

In pratica, nessuna delle previsioni fatte si è avverata. Dev’essere colpa dei russi.

Gli intellettuali liberal vivono in un mondo parallelo, non si accorgono neanche delle proprie analisi sballate. Vale la pena di starli a sentire?

 

Fonte: https://gefira.org

Link: https://gefira.org/en/2017/08/16/how-the-elites-are-divorcing-from-reality-the-economist-what-if/

16.08.2017

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di HMG

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