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La Redazione

 

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LA MAPPA DEI COSTI REALI DEL PETROLIO:IL MONDO

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A cura di Truman
Il 9 Novembre 2004
187 Views
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da Ecology Center


Non esiste angolo al mondo che non sia stato colpito dagli effetti dell’estrazione e dell’uso del petrolio. Molti effetti negativi sono ben documentati, come il riscaldamento globale, la distruzione dell’habitat naturale e i conflitti politici per l’approvvigionamento di petrolio. Ma l’economia petrolifera si estende spesso in modo poco evidente a molti altri aspetti della vita del nostro pianeta.

La Leggenda
C’è una leggenda che dice che uno sviluppo infinito, persino proficuo,
è possibile, che come società e come individui possiamo consumare
più di quanto il nostro ambiente produce, che possiamo estrarre lavoro
e risorse “altrove”.
I nostri esempi su come utilizzare il petrolio derivano da questa leggenda.
La maggior parte degli americani usa energia e crea inquinamento a un ritmo
che le nostre comunità e il nostro pianeta non sono in grado di sostenere.
Gli “altrove” dai quali dipendiamo per estrarre risorse e disfarci
dell’inquinamento sono posti reali sulla mappa– per la maggior parte
comunità di minoranze etniche a basso reddito in questo paese e all’estero.
Ma il vero costo del petrolio è troppo alto da sostenere. Dai costi politici,
sociali e umani per cercare terra e forza lavoro economiche, ai costi ambientali
e sanitari dell’estrazione e della combustione di un combustibile tossico,
non rinnovabile, alla distruzione causata dalla guerra e dal militarismo –
il prezzo che paghiamo per avere un’economia satura di petrolio è
più di quanto nessuno di noi possa permettersi. Un mondo migliore è
possibile!

Non esiste angolo al mondo che non sia stato colpito dagli
effetti dell’estrazione e dell’uso del petrolio. Molti effetti negativi
sono ben documentati, come il riscaldamento globale, la distruzione dell’habitat
naturale e i conflitti politici per l’approvvigionamento di petrolio.
Ma l’economia petrolifera si estende spesso in modo poco evidente in molti
altri aspetti della vita del nostro pianeta. Il petrolio, usato per il trasporto,
l’industria e l’agricoltura meccanizzata, è la spina dorsale
della globalizzazione. Le istituzioni per il commercio globale, come l’OMC
(Organizzazione Mondiale per il Commercio), lavorano in stretta collaborazione
con le compagnie petrolifere, mentre le forze armate procurano il sostegno per
proteggere questi interessi. Esaminate questa mappa per scoprire i legami tra
la militarizzazione mondiale, il razzismo ambientale e la dislocazione delle
popolazioni indigene, come anche le conseguenze tossiche dell’estrazione,
l’uso e l’eliminazione delle materie plastiche e petrolchimiche.

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1. Alaska – Il malfamato versamento di petrolio della
Exxon Valdez nel 1989 contaminò oltre 700 miglia di litorale e, come
conseguenza, devastò l’ecosistema. Il versamento della Valdez può
essere svanito dalla memoria pubblica, ma rimane il fatto che alcune specie
naturali non si sono ancora ristabilite. Dagli anni ‘70, l’estrazione
di petrolio greggio dal North Slope in Alaska si è risolta in una miriade
di problemi ambientali, tra cui una media di almeno un versamento di petrolio
al giorno, l’emissione di circa 24.000 tonnellate di gas metano (che contribuisce
al riscaldamento globale), il frastuono derivante dall’indagine sismica
che ha causato migrazioni di balene polari, e la costruzione di strade e industrie
minerarie che interrompono il corso dei fiumi, avendo un impatto negativo sui
pesci e la natura. Come le popolazioni indigene di tutto il mondo, i Gwich’in
si sono opposti a questa distruzione dei sistemi naturali dai quali dipendono.
Oltre a dover sopportare gli effetti delle attuali attività, il North
Slope affronta la costante minaccia di una futura espansione, inclusi i tentativi
di aprire l’Alaska National Wildlife Refuge alla trivellazione. Fonte:
Alaska Wilderness League, www.alaskawild.org.

2. Washington D.C. – Gli effetti dell’industria
petrolifera sulla politica statunitense sono difficili da ignorare. Il presidente
Bush II fondò la propria compagnia petrolifera negli anni ‘70,
e lui e la sua famiglia hanno legami con numerose imprese petrolifere del Texas.
Questi legami fruttano in politica. Nelle elezioni del 2000 Bush ricevette importanti
contributi finanziari dalle compagnie energetiche e dal settore automobilistico.
Il governo di Bush contiene un numero record di “persone del petrolio”.
Il vice presidente Cheney lasciò l’amministrazione di Bush Sr.
per andare a dirigere a Dallas, in Texas, la più grande compagnia di
servizi petroliferi del mondo, la Halliburton. Dal 1992, la Halliburton ha contribuito
con 1,6 miliardi di dollari americani alle campagne dei politici legati a Washington.
Il consigliere alla sicurezza nazionale Condoleezza Rice ha passato un decennio
nella Commissione del gigante petrolifero Chevron Corporation, un servizio che
le ha fatto guadagnare l’onore di avere su una delle sue superpetroliere
il nome “Condoleezza”. Nel frattempo, Gail Norton, segretario degli
interni, ha sostituito i quadri dell’ufficio rappresentanti i parchi nazionali
con una foto di una torre di trivellazione petrolifera al largo della costa
americana. Fonte: Project Underground.

3. Cancer Alley – “Il viale del cancro” è
una zona tossica che si estende per 80 miglia lungo il Mississippi tra New Orleans
e Baton Rouge, dove oltre 100 raffinerie petrolifere, stabilimenti petrolchimici
e altre industrie inquinano l’aria, la terra e l’acqua. La produzione
di PVC, la fabbricazione di vinile e la lavorazione agricola con prodotti petrolchimici
sono aspetti dell’industria petrolifera mondiale che vengono spesso ignorati.
Come per l’estrazione di petrolio e le industrie navali, sono le minoranze
etniche e le comunità a basso reddito che sostengono l’urto dell’inquinamento
tossico. Uno studio ha dimostrato che l’80% dei residenti di Cancer Alley
ha problemi respiratori. Ma i residenti – spesso guidati dalle donne più
anziane – si stanno organizzando per opporsi al razzismo ambientale. Dai
piccoli gruppi rurali che presentano cause contro gli inquinatori, ai programmi
studio universitari, alla prima agenzia governamentale su scala statale che
ha a che fare con problemi di giustizia ambientale, tutti chiedono che l’industria
petrolchimica sia ritenuta responsabile verso le comunità che avvelena.
Fonte: Chatham
College, Women’s Environmental Leadership and Legacy.

4. Messico – Quando la NAFTA (Il Trattato di Libero Commercio
del Nordamerica) entrò in vigore nel 1994, le norme ambientali, quelle
sulla sicurezza e sul lavoro sono diventate argomento di sfida quando interferiscono
col “libero commercio”. L’accordo contemplava l’apertura
della frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti all’attraversamento dei
tir, ma le norme statunitensi per lo scarico del diesel non potevano essere
applicate alle società di trasporto messicane. Gli Stati Uniti ritardarono
l’apertura della loro frontiera e una controversia NAFTA tra il Messico
e gli Stati Uniti è persistita fino a quando il presidente Bush non ha
firmato un ordine esecutivo che permetteva ai trasporti internazionali di partire
senza tenere in considerazione le norme ambientali. Fonte: www.worldtradelaw.net,
www.latimes.com.

5. Ecuador – In Ecuador, come in molti paesi, l’estrazione
di risorse viene promossa da prestatori internazionali come soluzione al debito
estero. L’Ecuador copre l’80% dei pagamenti per il debito estero
con le entrate del petrolio. Per tenere alte queste entrate, il governo sta
spingendo verso nuove frontiere petrolifere nelle terre indigene, causando la
distruzione di ecosistemi e la sofferenza delle comunità che vi abitano.
Le compagnie petrolifere sfruttano le risorse senza pagare le tasse, estraendo
petrolio e profitti per gli investitori stranieri e lasciando l’Ecuador
inquinato. Tra il 1971 e il 1991, la Texaco ha estratto più di 1,5 miliardi
di barili di petrolio dal Rio delle Amazzoni ecuadoriano. Per risparmiare milioni
di dollari, la Texaco ha semplicemente scaricato i rifiuti tossici delle sue
attività nei fiumi fino ad allora incontaminati, nei ruscelli e nei terreni
paludosi, ignorando le norme industriali. Le attività petrolifere della
Texaco hanno devastato uno dei posti più fragili dal punto di visto biologico
sulla terra; 2,5 milioni di acri di foresta pluviale sono andati perduti. Adesso
gli attivisti ecuadoriani si sono uniti alle persone colpite dalle attività
della Chevron-Texaco in Nigeria e a Richmond, in California, in una campagna
internazionale per chiedere che la compagnia ripulisca la zona e paghi i danni.
Fonte: Amazon Watch,
Project Underground

6. Colombia – Per decenni la Colombia è stata
tormentata da guerre che spesso si intrecciano con le ricerche di petrolio.
Ecco un esempio: nel 1996, la British Petroleum (BP) ha pagato 60 milioni di
dollari americani al Ministero della Difesa della Colombia. In cambio, l’esercito
era d’accordo nel fornire soldati per monitorare la costruzione di un
oleodotto che avrebbe accelerato il trasferimento del petrolio greggio (e enormi
profitti) sulla costa. La BP fornì l’addestramento per i soldati
attraverso una società privata di “sicurezza” inglese chiamata
Defense Systems Limited. Secondo un rapporto commissionato dal governo colombiano,
la BP ha collaborato anche con i soldati locali in rapimenti, torture e omicidi.
La BP ha raccolto foto e video di popolazioni locali che protestano contro le
attività legate al petrolio, da consegnare poi alle forze armate colombiane,
che quindi arrestavano o rapivano i dimostranti. La “Guerra alla Droga”
del governo americano ha anche facilitato la ricerca e l’estrazione di
petrolio in Colombia. La nebulizzazione aerea di vaste aeree con sostanze chimiche
defolianti altamente tossiche, loro stesse prodotto dell’industria petrolchimica,
distrugge i raccolti di cocaina, ma libera anche ampie aree per la ricerca del
petrolio. Gli abitanti si stanno opponendo a questa distruzione. Gli indigeni
U’wa recentemente hanno conseguito diversi successi nella lotta non violenta
che hanno condotto per 10 anni al fine di proteggere la loro terra dalla gigante
multinazionale Shell Oil. Fonte: Project
Underground

7. Antartide – Numerosi studi scientifici hanno dimostrato
che l’accelerato cambiamento climatico del mondo – risultato della
combustione di combustibili come il petrolio e degli scarichi industriali associati
all’estrazione e alla raffinatura del petrolio – ha già cominciato
a verificarsi. Un risultato di questa tendenza è lo scioglimento e la
rottura delle calotte polari. Questo, successivamente, porta a un innalzamento
del livello del mare, che può inondare città ed ecosistemi nelle
zone costiere. Gli scienziati dell’Intergovernmental Panel on Climate
Change (IPCC), l’organismo delle Nazioni Unite che studia i cambiamenti
climatici, chiamano questa tendenza “un non intenzionale, incontrollato,
globalmente diffuso esperimento le cui massime conseguenze potrebbero essere
seconde solo a una guerra nucleare mondiale”. Una soluzione a lungo termine
per il problema del cambiamento climatico richiederà una transizione
globale lontana dai combustibili fossili. Fonte: Greenpeace,
Rainforest Action Network.

8. Spagna – Il 19 novembre 2002, la petroliera Prestige
si spaccò in due e affondò al largo della costa spagnola. La nave
trasportava 77.000 tonnellate di carburante. Gli ecologisti temono che la ventiseienne
Prestige sia una bomba ad orologeria ambientale a riposo a circa 130 miglia
dalla costa spagnola e a 2 miglia sotto la superficie. Il disastro non solo
minaccia la natura e la salute pubblica, ma devasta anche i pescatori locali.
E’ improbabile che le compagnie petrolifere se ne assumano la responsabilità.
“L’industria petrolifera non trascura nessuna opportunità
di nascondersi dietro una struttura legale così complessa che la responsabilità
delle loro azioni diventa quasi impossibile da far osservare” dice Ian
Wilmore dei Friends of the Earth. Fonte: Earthjustice,
Project Underground.

9. Nigeria – Dagli anni ‘60, le trivellazioni nel
delta del Niger hanno causato centinaia di versamenti di petrolio all’anno,
come anche grosse eruzioni di gas provenienti dalle attività di estrazione.
Migliaia di Ogoni e altre popolazioni indigene del delta del Niger sono stati
massacrati dall’esercito e dalla polizia nigeriana dopo aver protestato
contro la distruzione causata dalle estrazioni petrolifere. Le compagnie petrolifere
come la Shell e la ChevronTexaco sono strettamente collegate col brutale regime
del governo. Le compagnie pagano al governo una certa somma per ottenere i diritti
di trivellazione, in cambio forniscono all’esercito armi, addestramento
e braccia. Ciononostante, la resistenza è forte. Nel 2002, migliaia di
donne delle comunità dello Itsekiri, Ilaje e Ijaw si unirono per chiedere
giustizia economica e ambientale. Occuparono le strutture della ChevronTexaco
e chiesero di porre fine all’inquinamento, di ottenere il risarcimento
economico dei danni, il sostegno per lo sviluppo economico del loro paese e
posti di lavoro per i propri figli. Le donne incontrarono una violenta repressione,
ma riuscirono a ritardare le attività della ChervronTexaco, arrivando
a negoziazioni e concessioni da parte della compagnia. Fonte: Project
Underground

10. Il centro dell’agricoltura – Dai fertilizzanti
derivanti dal petrolio, pesticidi e buste di plastica fino al trasporto e alla
refrigerazione, il nostro sistema alimentare dipende dall’enorme consumo
di combustibili fossili, soprattutto petrolio. Circa il 17% di tutta l’energia
utilizzata ogni anno in questo paese, va nella coltivazione, lavorazione e distribuzione
di cibo. Per soddisfare i bisogni alimentari primari degli undici miliardi di
persone che dovrebbero vivere nel 2040, avremo bisogno di triplicare l’approvvigionamento
alimentare mondiale. Facendo questo con gli odierni metodi convenzionali, gli
esperti stimano che ci vorrà un aumento del 1.000 per cento dell’energia
totale utilizzata nella produzione alimentare. Anche se riuscissimo a tollerare
il riscaldamento globale e l’inquinamento che ne deriverebbe, semplicemente
questo non può accadere – non c’è nessun posto al
mondo in cui ci sia abbastanza petrolio da permetterlo. I metodi dell’agricoltura
sostenibile, compresa la produzione locale e organica, insieme a cambiamenti
in un alimentazione non più basata sullo sfruttamento delle risorse e
su cibi altamente proteici, costituiscono l’unica reale soluzione.

11. Afghanistan – Nel nord dell’Afghanistan, sulle
coste orientali del mar Caspio, si trovano alcuni dei più ricchi giacimenti
naturali di gas e petrolio del mondo. Nel 1996, un consorzio guidato dall’Unocal
avviò delle negoziazioni col governo Talebano per costruire un gasdotto
naturale attraverso il paese, ma non riuscirono a raggiungere un accordo. Abbastanza
convenienti per le compagnie petrolifere statunitensi, gli attacchi USA sull’Afghanistan
nel 2002 hanno portato a un cambiamento nella direzione del paese. Il nuovo
presidente afgano, Hamid Karzai, un ex consulente dell’Unopal, da allora
fa pressioni per ciò che lui chiama il “gasdotto per la pace”.
Fonte: EurasiaNet.org,
HiPakistan.com.

12. Arabia Saudita – Essendo il paese con le più
grandi riserve petrolifere del mondo, le lotte interne dell’Arabia Saudita
riflettono le pressioni conflittuali dell’economia petrolifera. Dato che
l’industria petrolifera richiede enormi investimenti iniziali di capitale,
e dato che l’estrazione petrolifera è troppo costosa per essere
redditizia se la terra e la forza lavoro venissero pagati onestamente, le economie
basate sul petrolio come quella dell’Arabia Saudita tendono a essere costruite
su immense disuguaglianze. Mentre le elite locali si associano con società
multinazionali e governi stranieri, “l’imperialismo culturale”
tende a sostituire le tradizionali abitudini di vita con altre modellate su
uno stile di vita occidentale e consumistico. Nel tentativo di mantenere il
potere, l’istituzione saudita, bloccata tra la pressione statunitense
e una popolazione ribelle, ha diretto i propri investimenti fuori degli Stati
Uniti e si è mostrata indecisa nell’accettare la guerra in Iraq.
Fonte: Project Underground

13. Iraq – Questa nazione di 24 milioni
di abitanti è seconda al mondo per le sue riserve petrolifere. Chiunque
controlli l’accesso alle riserve irachene non solo guadagna enormi profitti,
ma possiede anche la chiave per il mondo politico. L’attuale guerra in
Iraq, considerata da molti come una lotta per controllare le vaste riserve petrolifere,
costerà ai contribuenti americani un minimo di 75 miliardi di dollari
per l’indefinita lunghezza della guerra, e sarà seguita da una
“presenza militare americana” che durerà dai dieci ai venti
anni, secondo il segretario della difesa Donald Rumsfeld. Mentre l’intera
infrastruttura civile irachena viene ricostruita, il petrolio – una volta
regolato dal governo iracheno – sarà aperto alla proprietà
di multinazionali straniere. Il governo statunitense e i leader corporativi
stanno già compilando dei piani per realizzare degli utili sulla ricostruzione
dell’Iraq, compresa l’idea di lasciare le attività di ricostruzione
alle multinazionali “logistiche”, come la Halliburton, la più
grande società di servizi petroliferi e di gas del mondo, un tempo diretta
dal vicepresidente Dick Cheney. Fonte: Project
Underground

14. Kuwait – Sito dell’ultima guerra di Bush contro
l’Iraq, questa minuscola nazione ci offre una vaga idea degli orrori ambientali
della guerra. Chiazze di petrolio, incendi incontrollati, inquinamento tossico
dell’aria e distruzione degli habitat naturali sono il risultato del sabotaggio
iracheno e dei bombardamenti americani. L’inquinamento derivante dalle
centinaia di incendi di pozzi petroliferi superava le emissioni giornaliere
di tutte le strutture industriali e gli stabilimenti energetici americani messi
insieme. Non si è riusciti a estinguere completamente questi incendi
prima di otto mesi dalla fine della guerra. Le bombe FAE (bombe “a vuoto”)
– armi convenzionali di distruzione di massa usate nella Guerra del Golfo
e in Afghanistan – bruciano grosse quantità di combustibile quando
esplodono sui loro bersagli. Anche le forze armate consumano enormi quantità
di carburante nelle loro normali attività – 100.000 galloni al
giorno per una singola portaerei. Proprio il petrolio per il quale si combatte
alimenta la macchina da guerra, e viene usato anch’esso come arma. Fonte:
Project Underground

15. La trivellazione al largo delle coste della California
– Le attività di trivellazione al largo della costa producono un
flusso continuo di inquinamento; l’industria è stata segnata da
versamenti sfrenati ed emanazioni tossiche. Piombo, cromo e mercurio, insieme
a potenti carcinogeni come il toluene, il benzene e lo xilene, circolano nell’oceano.
Le attività di trivellazione distruggono anche strati di macrocistidi,
scogliere e zone paludose costiere. Durante gli anni ‘80 e ‘90,
le comunità costiere vinsero molte lotte a livello locale per la regolamentazione
e la restrizione delle trivellazioni. Nel 1994, la California vietò un
nuovo sfruttamento del petrolio al largo della costa. Ma nel 1999, un’agenzia
federale rinnovò i contratti di trivellazione a 36 siti precedentemente
non trivellati lungo la costa. I funzionari statali e i gruppi ambientalisti
la citarono in giudizio e il tribunale decise che il prolungamento della durata
dell’’affitto era illegale. Ma l’industria e i loro alleati
governamentali non hanno rinunciato e la lotta per la trivellazione al largo
continua sia a livello rurale che legislativo. Fonte: Environment
California

16. Pacific Rim – I rifiuti plastici, un aspetto spesso
ignorato dell’economia petrolifera, si stanno accumulando nei paesi del
Pacific Rim, dando vita a catastrofi ambientali e lavorative. Nonostante la
maggior parte dei rifiuti sia costituita da buste di plastica utilizzate negli
Stati Uniti, essa viene trasportata oltremare a causa di più negligenti
norme sull’inquinamento, insieme a salari più bassi e protezioni
per la salute dei lavoratori. Molti di questi rifiuti, inclusa la plastica selezionata
per il “riciclaggio”, viene alla fine buttata via o incenerita –
più del 50% di quella che viene trasportata, secondo Greenpeace. I lavoratori
che trattano questi materiali ricevono salari al di sotto della norma e vengono
spesso esposti direttamente al mucchio di tossine che vengono rilasciate quando
i prodotti petroliferi vengono raffinati. Fonte: Ecology
Center
, Greenpeace

17. Filippine – Nelle Filippine, la popolazione sta cercando
modi creativi ed efficaci per proteggere la propria salute dagli inquinatori
petroliferi. A Manila, i residenti che vivono vicino a una struttura per l’immagazzinamento
del petrolio di una gigante multi società hanno formato una “brigata
del secchio”. Utilizzando secchi da 5 galloni, essi raccolgono campioni
d’aria per documentarne l’inquinamento. Nelle ex basi militari statunitensi,
gli abitanti si sono alleati con la Coalizione filippino-americana per le Soluzioni
Ambientali per spingere le forze armate americane a ripulire le ex basi che
sono contaminate dai prodotti petrolchimici e altre tossine. Anche nelle Filippine,
come in altri paesi del mondo, la popolazione si sta organizzando per vietare
l’incenerimento di prodotti plastici e altri rifiuti. Bruciare la plastica
e altri prodotti petroliferi produce inquinanti persistenti come la diossina
che ha impatti molto gravi sulla salute delle persone. La GAIA
(Global Alliance for Incinerator Alternatives), un’organizzazione con
membri provenienti da 60 paesi del mondo, è stata estremamente attiva
nelle Filippine, le quali diventano quest’anno il primo paese ad attuare
un divieto su scala nazionale per l’incenerimento dei rifiuti. Fonte:
Filipino American Coalition
for Environmental Solutions.

18. Kyoto Oilwatch Declaration – La produzione di combustibili
fossili ha conseguenze distruttive in ogni sua fase, dall’estrazione all’inquinamento
atmosferico. Se vogliamo proteggere la salute pubblica, mantenere la diversità
biologica e culturale e stabilizzare il clima globale, dobbiamo liberarci dell’abitudine
a utilizzare i combustibili fossili. Durante le negoziazioni di Kyoto, una coalizione
di più di 200 tra le più importanti organizzazioni provenienti
da 52 paesi hanno redatto la Oilwatch Declaration, la quale impone un’immediata
moratoria su tutte le nuove ricerche di combustibili fossili (vedi http:/www.ran.org/oilreport/kyoto.html).
Di solito, il più grande ostacolo a tali soluzioni internazionali sono
gli Stati Uniti, che spesso si rifiutano di firmare o attuare tali trattati.
Fonte: Rainforest Action Network

19. Siberia – Nel Khant-Mansy Autonomous District della
Siberia occidentale, ogni anno si verificano 1.000 versamenti di petrolio, secondo
il Comitato Ecologico Regionale. Molte famiglie indigene hanno perso l’accesso
a pascoli adeguati per accudire le renne, un fondamento del loro benessere economico
e culturale. La situazione in Siberia fa parte della “violazione sistematica
da parte dell’industria petrolifera del diritto delle popolazioni indigene
a creare il proprio percorso di sviluppo sui propri termini culturali”.
Fonte: Project Underground

Fonte: http://www.ecologycenter.org/erc/petroleum/world.html

Traduzione di Giorgia Capelli per Nuovi Mondi Media
8 novembre 2004
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