di THIERRY MEYSSAN
L’11 settembre 1990, George Bush padre presentava al Congresso la sua visione di un «nuovo ordine mondiale» dominato unicamente dagli Stati Uniti. Poco dopo, lasciava nelle mani di Dick Cheney e Paul Wolfowitz il compito di teorizzare su questa dottrina e di determinare le sue conseguenze diplomatiche e militari. Questo processo ideologico, interrotto dalla parentesi del mandato Clinton, riprese dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 e si completò con la pubblicazione della Strategia di Sicurezza Nazionale da parte di George Bush figlio, l’11 settembre 2002.
L’11 settembre del 1990, vale a dire pochi giorni dopo l’invasione Irachena del Kuwait, il presidente George H. W. Bush (il padre) pronuncia un discorso programmato molto tempo prima di fronte alle due camere del Congresso [1].
Il discorso è trasmesso dal vivo attraverso radio e televisione. Il testo, originalmente dedicato ai problemi di budget, era stato profondamente modificato in funzione della congiuntura. Il suo principale obiettivo era definire la visione statunitense del «Nuovo Ordine Mondiale» [2].Il presidente comincia in maniera lirica: «Ci incontriamo oggi di fronte ad un momento unico e straordinario. La crisi del Golfo Persico, per grave che sia, offre una rara occasione di avanzare verso un periodo storico di cooperazione. Da questi tempi confusi può emergere il nostro (…) obbiettivo: un nuovo ordine mondiale, una nuova epoca, più libera dalle minacce e dal terrore, più forte nella ricerca della giustizia e più sicura nella ricerca della pace, un’era nella quale le nazioni del mondo -Est e Ovest, Nord e Sud- possano prosperare e vivere in armonia.
…Un centinaio di generazioni [3] ha cercato questo sconosciuto cammino verso la pace, mentre migliaia di guerre si scatenavano contro gli sforzi dell’umanità. Oggi, questo mondo nuovo lotta per nascere, un mondo distinto da quello che abbiamo conosciuto. Un mondo dove lo Stato di diritto prenda il posto della legge della selva. Un mondo nel quale le nazioni riconoscano la propria responsabilità suddivisa fra la libertà e la giustizia.
…Un mondo dove il forte rispetti i diritti del debole. E’ una visione che ho condiviso con il presidente Gorbatchov (…). Egli ed altri capi di Stato in Europa, nel Golfo e in tutte le parti del mondo comprendono che il modo in cui trattiao l’attuale crisi può dare forma al futuro per le generazioni che verranno.»
George H. W. Bush affronta successivamente le cose serie: è proprio perché non esiste ad oggi nessun minaccioso nemico, ma solamente alcuni avversari nel Terzo Mondo, che è necessario mantenere lo sforzo militare. «Questo mese, il Congresso deve adottare un prudente programma pluriennale di difesa che tenga di conto non soltanto il miglioramento delle relazioni Est-Ovest ma anche le nostre responsabilità più ampie di fronte ai persistenti rischi di violazioni del diritto internazionale e dei conflitti regionali.
Nonostante i nostri obblighi nel Golfo, un sano budget di difesa può essere ridotto in termini costanti, e siamo disposti ad accettarlo. Ma andare oltre questo livello nel quale i tagli al budget minaccerebbero il nostro margine di manovra non lo accetterò mai. Il mondo continua ad essere pericoloso. E, ora è chiaro, la stabilità non è assicurata.
Gli interessi nordamericani non sono garantiti. L’interdipendenza è aumentata. Le conseguenze di una instabilità regionale possono essere globali. Non è il momento di porre in pericolo la capacità del Nordamerica di proteggere i suoi interessi vitali.»
L’utopia di Gorbatchov di un mondo senza guerre, nato da un compromesso fra le nazioni, si sostituisce così con il concetto di un «nuovo ordine» nel quale il diritto internazionale non è più il frutto di un consenso ma è una regola imposta dalle forze armate degli Stati Uniti d’America. Dal punto di vista nordamericano, questo gioco di prestigio è legittimo.
Si tratta in definitiva, del progetto messianico dei padri fondatori del Nordamerica che prevale di fronte al progetto dei comunisti. E’ arrivato il momento per questa nazione che obbedisce a Dio («A nation under God») di far valere il suo valore economico e il suo potere militare per espandere la “Sua Legge” nel resto del mondo. Certamente, nel timbro degli Stati Uniti, che compare nei biglietti da un dollaro, si può leggere la scritta «Novas ordo seculorum» (il nuovo ordine dei secoli).
In modo più prosaico, questa è anche la scritta dell’Università di Yale e di una associazione di suoi ex-studenti: l’Ordine degli Skull & Bones (Cranio e Ossi) [4]. Questo club ultra-settario, limitato ai soli bianchi e organizzato come una società dove non soltanto si iniziano ai sui pupilli, ma anche si trasmette ai suoi membri una visione elitaria del mondo. Più convinti rispetto alla maggioranza degli alunni dell’Università di Yale, gli Skull & Bones -dei quali ha preso parte la dinastia dei Bush- credono che la propria missione sia incarnare un «nuovo ordine».
In una prima fase, sembrò che George H. W. Bush intendesse il «nuovo ordine» come una regolazione fra relazioni internazionali mediante organizzazioni intergovernative nelle quali gli Stati Uniti giocassero un ruolo privilegiato. Le questioni politiche sarebbero rimaste a carico dell’ONU, i problemi economici e finanziari a carico del FMI e del Banco Mondiale, etc.
Questa visione delle cose era quella che predicava il club dei dirigenti statunitensi interventisti, il Consiglio degli Affari Esteri (Council for Foreign Relations) [5] del quale George Bush fu amministratore [6]. Sebbene rispondesse alla Costituzione nordamericana, questa visione non corrispondeva a quella di una parte dell’opinione pubblica, fedele alla tradizione di Thomas Jefferson, secondo la quale i trattati internazionali compromettono fra di loro i vari Stati, ma non possono prendere il posto delle leve di comando nazionali.
Il segretario alla Difesa Dick Cheney sollecitò George H. W. Bush, che sembrava troppo incerto, a spingersi oltre. Gli Stati Uniti dovevano approfittare del fatto che i sovietici abbandonavano la corsa agli armamenti e stabilire il proprio dominio incontrastato sul resto del mondo.
Le organizzazioni internazionali non avrebbero giocato il ruolo di arbitri sotto la difesa degli Stati Uniti ma sarebbero state semplici ambasciatrici della politica di Washington. Per garantire questa pace imperiale -la Pace Americana-, il Pentagono doveva dotarsi delle forze necessarie per poter far fronte a tutte le eventualità e intervenire su tutti i fronti.
A sostegno del suo punto di vista, Cheney ordinò la realizzazione di due studi: uno per valutare le minacce esistenti, tanto per gli interessi vitali degli Stati Uniti quanto per la pace mondiale, e l’altro riguardante il mezzo necessario affinché le forze nordamericane potessero garantire il «nuovo ordine mondiale».
In un resoconto del 7 febbraio 1991, l’ammiraglio David E. Jeremiah, secondo del capo di Stato Maggiore Colin L. Powell, indicò le possibili minacce:
– restaurazione del Patto di Varsavia spinto da un nuovo aggressivo governo russo;
– invasione russa contro i paesi baltici;
– attacco cubano contro il canale di Panama;
– attacchi contro i cittadini statunitensi nelle Filippine o in altro stato dell’Estremo Oriente;
– e, soprattutto, l’acquisto da parte di Irak e Corea del Nord di armi di distruzione di massa che Saddam Hussein e Kim Il Sung potrebbero utilizzare in un attacco de pazzia.
L’identificazione di quest’ultima minaccia sembra rispondere più a criteri ideologici che oggettivi. E’ impossibile capire perché l’ammiraglio Jeremiah si preoccupa delle armi di distruzione di massa che Irak e Corea del Nord potrebbero acquistare invece che preoccuparsi del fatto che queste stesse armi siano già in possesso di numerosi stati.
Neanche si sa che cosa lo autorizzi a pronunciarsi sulla pericolosità che rappresenterebbe la salute mentale di questi due dittatori confrontata in particolare con quella di altri autocrati del mondo.
Già provvisto questi sette punti, il segretario aggiunto del Dipartimento della Difesa, Paul Wolfowitz, supervisionò la redazione di uno studio sulla politica quinquennale della difesa. Si avvalse di un gruppo di lavoro di cui facevano parte Lewis Libby, Eric Edelman e Zalmay Khalilzad.
Il 18 febbraio del 1992 consegnò il suo studio intitolato Raccomandazioni per una politica di difesa per gli anni 1994-1999 (Defense Policy Guidance for the Fiscal Years 1994-1999). Sebbene fosse confidenziale, il documento filtrò alla stampa, che pubblicò ampi passaggi dello stesso [7].
Dick Cheney cercava così di convertirlo nella dottrina ufficiale della sua amministrazione nonostante l’opposizione di alcuni membri del governo, come il consigliere della sicurezza nazionale, il generale Brent Scowcroft e il capo dello Stato Maggiore, il generale Colin L. Powell.
Mentre Powell difende l’idea di mantenere una forza di base per difendere esclusivamente gli interessi vitali degli Stati Uniti, Wolfowitz è a favore di un esercito simile ma equipaggiato di armi ultra-sofisticate che gli permettano di stabilire la supremazia militare degli Stati Uniti sul resto del mondo.
«Il nostro primo obiettivo -scrive Wolfowitz- è prevenire la resurrezione di un nuovo rivale, sia esso nel territorio dell’antica Unione Sovietica o in qualsiasi altra parte, che possa rappresentare una minaccia paragonabile a quella della vecchia Unione Sovietica.
Questa è la preoccupazione dominante che sostiene la nuova strategia di difesa regionale e richiede di prevenire qualsiasi potere ostile che possa dominare una regione le cui risorse potranno, se prendesse il controllo delle stesse, bastare per convertirlo en una potenza globale. Queste regioni comprendono l’Europa, l’Estremo Oriente, i territori della vecchia Unione Sovietica e il sudest asiatico.
A questo obiettivo si aggiungono tre ulteriori aspetti: in primo luogo, Gli USA devono dare la prova della leadership necessaria per stabilire e garantire un nuovo ordine mondiale capace di convincere i potenziali concorrenti che non debbono aspirare ad un ruolo regionale più importante né adottare una postura più aggressiva per difendere i propri legittimi interessi. In secondo luogo, nelle zone di no-difesa, dobbiamo rappresentare gli interessi dei paesi industrializzati tanto da dissuaderli dal competere con la nostra leadership o di cercare di invertire l’ordine politico ed economico stabilito.
In ultima istanza, dobbiamo conservare i meccanismi di dissuasione di fronte ai potenziali concorrenti che sono tentati di giocare un ruolo regionale più importante o un ruolo globale.»
Riguardo all’Unione Europea, Paul Wolfowitz indica: «Sebbene gli Stati Uniti appoggino il progetto di integrazione europea, dobbiamo prestare attenzione nel prevenire la nascita di un sistema di sicurezza puramente europeo che minasse la NATO, particolarmente la sua struttura di comando militare integrato.»
Infine, per esercitare la loro leadership, «gli Stati Uniti devono essere capaci di agire indipendentemente quando non sia possibile orchestrare un’azione collettiva». Inoltre «devono prevedere che le future coalizioni siano alleanze ad hoc» e far intendere che «l’ordine mondiale è in definitiva sostenuto dagli Stati Uniti» (non dall’ONU).
Il senatore Alan Cranston ridicolizza le fantasie del Pentágono e stigmatizza la chiara volontà de sottomettere gli Stati che potrebbero divenire competitori scatenando contro questi attacchi preventivi, attitudine che definisce «politica da capobanda». Di fronte allo scandalo che suscitò questo documento, di cui lui stesso aveva organizzato la fuga di informazioni alla stampa, il Pentágono decise di revisionarlo.
La seconda versione dello studio di Wolfowitz era più addolcita [8]. Comunque, il processo era iniziato. Così gli europei furono invitati ad includere nel Trattato di Maastricht una clausola che subordinasse la politica europea di difesa a quella della NATO [9].
Questa polemica non arrestò la marcia di Dick Cheney. Quello che non riuscì ad ottenere la prima volta, lo otterrà la seconda. Durante gli ultimi giorni del suo mandato, a gennaio del 1993, pubblica uno studio sulla Strategia regionale di difesa pera gli anni 90 (Defense Strategy for the 1990s: The Regional Defense Strategy) che l’amministrazione Clinton non prenderà in considerazione.
Dick Cheney scrive allora: «Alla fine della Prima Guerra Mondiale, e di nuovo –sebbene in minor misura- alla fine della Seconda, gli Stati Uniti commisero come nazione l’errore di credere che avevano installato una specie di sicurezza permanente, che la trasformazione dell’ordine raggiunto soprattutto per la leadership e il sacrificio nordamericano potesse perdurare senza la nostra leadership e le nostre forze.»
Alla fine di quella specie di Terza Guerra Mondiale che fu la Guerra Fredda è perciò conveniente che gli Stati Uniti, nella propria condizione di potenza militare, esercitino una leadership mondiale attiva invece di confidare in una organizzazione collettiva -SDN, ONU o altra. «Non possiamo lasciare che i nostri interessi critici dipendano unicamente da meccanismi internazionali che possano essere bloccati da Stati i cui interessi possano essere molto differenti dai nostri.»
Da ciò si comprende che per mantenere la credibilità, gli Stati Uniti devono rimanere permanentemente in stato di guerra, auto-identificando nuove minacce e distruggendole con l’aiuto di coalizioni ad hoc.
C’era da attendere fino al primo anniversario degli attentati di New York e Washington perché gli Stati Uniti adottassero ufficialmente la dottrina elaborata da Cheney, Wolfowitz e Khalilzad. L’11 settembre 2002, dodici anni dopo il discorso storico di suo padre nel Congresso riguardante il Nuovo Ordine Mondiale, George W. Bush promulga la nuova Strategia Nazionale di Sicurezza degli Stati Uniti d’America (The National Security Strategy of the United States of America).
Un anno dopo, questa dottrina, adattata da Javier Solana nella sua condizione di Alto Rappresentante della politica estera di sicurezza dell’Unione Europea (non in qualità di ex-segretario generale della NATO), è adottata dal Consiglio Europeo sotto il titolo di “Una Europa sicura in un mondo migliore”.
Gli attuali principi strategici degli Stati Uniti non sono perciò una risposta agli attentati del 2001 ma il frutto di una riflessione che cominciò con l’amministrazione di Bush padre per «approfittare di opportunità» sorte dalla scomparsa dell’Unione Sovietica. Il rifiuto per l’ONU e il diritto internazionale, le coalizioni ad hoc, l’azione preventiva contro i nuovi pericoli, etc. non sono reazioni passeggere per gli attentati ma piuttosto una strategia di dominio imperiale maturata durante molto tempo.
Questi atteggiamenti godono oggi del consenso in seno alla classe dirigente statunitense e beneficiarono paradossalmente dell’approvazione dell’ex-candidato alla presidenza degli USA, il senatore John Kerry [10], rivale di George W. Bush durante le elezioni presidenziali del 3 novembre 2004.
Thierry Meyssan
Giornalista e scrittore, presidente di Red Voltaire e della sezione francese Réseau Voltaire con sede a Parigi, Francia. E’ autore di La grande impostura e di Pentagate.
[1] «Address Before a Joint Session of the Congress on the Persians Gulf Crisis and the Federal Budget Deficit», 11 settembre 1990, in The Public Papers of the Presidents of the United States, US Government Printing Office. Questo testo è stato pubblicato nel US Department of State Dispatch del 17 settembre 1990 con il titolo «Toward a New World Order».
[2] Prima del discorso di fronte al Congresso ebbe luogo un intervento durante una riunione privata, in un simposio del Aspen Institute, il 2 agosto 1990. Fra i partecipanti era presente Margaret Thatcher.
[3] Come suo figlio, il presidente Bush padre è un fondamentalista cristiano. Rifiuta le conoscenze antropologiche e la teoria di Darwin e, basandosi su una lettura letterale della Bibbia, afferma che l’umanità esiste solamente da qualche migliaio di anni.
[4] «Skull and Bones, la elite del Imperio», Voltaire, 29 novembre 2004.
[5] «Comment le Conseil des relations étrangères détermine la diplomatie US», Voltaire, 25 giugno 2004.
[6] George Bush fu amministratore del Consiglio Affari Esteri dal 1977 al 1979. Rinunció a questa carica quando si presentò alle elezioni primarie del Partito Repubblicano contro Ronald Reagan.
[7] La questione è rivelata nel «US Strategy Plan Calls For Insuring No Rivals Develop» da Patrick E. Tyler, nel New York Times dell’8 marzo 1992. Lo stesso giornale pubblica anche ampi passaggi nella pagina 14: «Excerpts from Pentagon’s Plan: “Prevent the Re-Emergence of a New Rival”». Informazioni ulteriori appaiono in «Keeping the US First, Pentagon Would preclude a Rival Superpower», di Barton Gellman, in The Washington Post dell’11 marzo 992.
[8] «Pentagon Drops Goal of Blocking New Superpowers» di Patrick E. Tyler, in New York Times del 23 maggio 1992.
[9] Cf. Tratado de Maastricht, titolo V, articolo J4, paragrafo 4.
[10] «Militarisme: John Kerry dans le texte» (testo in francese), Voltaire, 24 marzo 2004.
Fonte: www.redvoltaire.net
25 maggio 2005
http://www.redvoltaire.net/article5381.html