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La Redazione

 

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La Brexit e lo Spirito del Natale passato

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A cura di Markus
Il 22 Dicembre 2018
1845 Views

FINIAN CUNNINGHAM
strategic-culture.org

Dato il periodo, sembra appropriato presentare la saga della Brexit in una luce dickensiana. ‘Il canto di Natale’ (pubblicato nel 1843) è forse il più celebre racconto di Charles Dickens, dove compare, come personaggio principale, l’avaro Ebenezer Scrooge, perseguitato dai fantasmi del passato. Il processo della Brexit comporta di certo molte recriminazioni e spilorcerie, e anche alcuni episodi del passato sono collegati all’attuale pasticcio.

La premier britannica Theresa May, con i suoi lineamenti angolari, la severa personalità da matrona e il suggestivo cognome, assomiglia persino ad un personaggio di Dickens. I suoi goffi tentennamenti sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea sono un misto di commedia, tradimento e tragedia.

La settimana scorsa, la May si è recata a Brussels con il cappello in mano per chiedere qualche concessione dell’ultimo minuto ai leader dell’Ue, solo per sentirsi dire, educatamente, di stare zitta e di andare avanti. Non ci sarebbe stata alcuna rinegoziazione del piano di uscita che era stato accettato solo il mese scorso. La May ora ha il non invidiabile compito di cercare di far approvare la sua roadmap della Brexit dai parlamentari britannici. La settimana scorsa ha annullato una presentazione di voto, temendo che sarebbe stata clamorosamente messa in minoranza dai legislatori.

Con la sospensione parlamentare natalizia ormai alle porte, sembra che la May dovrà aspettare fino a metà gennaio prima di dare al parlamento la possibilità di esprimere finalmente il proprio parere. Se [l’emendamento fosse] respinto, il che sembra probabile, allora la Gran Bretagna potrebbe dover affrontare un’uscita dall’UE senza accordi preventivi alla scadenza del divorzio, prevista per il 29 marzo. Ma tale è l’allarme tra il pubblico, i politici e i media su un “hard Brexit“, e sulle terribili ripercussioni economiche che ne deriverebbero, che potrebbe esserci in vista anche una drammatica inversione ad U, che porterebbe ad un secondo referendum nazionale per decidere se la Gran Bretagna debba lasciare, o no, l’UE . In breve, la Brexit potrebbe anche non esserci.

In ogni caso, questa settimana, il Primo Ministro May ha categoricamente escluso che ci siano richieste per un secondo referendum, affermando che ciò avrebbe causato “danni irreparabili all’integrità della nostra politica“. Ha detto che avrebbe “infranto la fede del pubblico” nella democrazia britannica. Nel referendum sulla Brexit, tenutosi nel giugno 2016, un totale di 17,4 milioni di persone (il 52% degli elettori) aveva votato in favore di una uscita della Gran Bretagna dal blocco europeo. I voti contrari erano stati 16,1 milioni (il 48%).

Quindi, se si tenesse un secondo referendum e il voto fosse rovesciato, allora il pasticcio della Brexit potrebbe essere evitato, ma l’immagine della democrazia britannica ne uscirebbe distrutta. Potrebbe anche innescare disordini civili e seminare divisioni ancora più profonde e più amare di quelle che hanno già portato alla frattura del cosiddetto Regno Unito.

La Gran Bretagna è presa in un machiavellico dilemma. Sembra che non esistano valide opzioni disponibili. Se esce in modo duro dall’Unione Europea, la cosa farà infuriare metà della popolazione. Se abortisce la Brexit e ritorna nel grembo europeo con la coda tra le gambe, questo scatenerà un identico putiferio nell’altra metà della popolazione.

Tornando a Dickens, il nostro tema di stagione, ciò che colpisce in questo enigma è quanto questa situazione sia segnata dai fantasmi del passato, che paralizzano tutti i possibili passi in avanti.

Il primo di questi fantasmi è la crisi finanziaria globale del 2008, la cui cattiva gestione da parte dei governi britannici e dell’esecutivo dell’UE era stata una delle motivazioni principali del voto sulla Brexit. Dopo il crollo globale, era stata l’intera classe dei lavoratori che aveva dovuto pagare per il fallimento del capitalismo finanziario. Le inesorabili politiche di austerità economica (invece di riparazioni punitive imposte alle grandi banche) avevano estraniato dalle “istituzioni” i normali cittadini della Gran Bretagna e di tutta l’UE. Questo sembra essere stato particolarmente grave in Gran Bretagna, perché i successivi governi conservatori avevano perseguito politiche di austerità molto rigorose. Così, quando il 23 giugno 2016 si era tenuto il referendum sulla Brexit, le istituzioni politiche, sia a Londra che a Bruxelles, erano già pronte ad un gigantesco rifiuto pubblico. La cosa si era manifestata sotto forma di un clamoroso voto per il ‘Leave.’

Anche le considerazioni anti-immigrazione e il desiderio di “riprendere il controllo dei nostri confini” avevano avuto la loro importanza nel voto sulla Brexit. Ma, ancora una volta, questi fattori erano un risultato diretto della politica. Le guerre illegali in cui la Gran Bretagna ed altri membri europei della NATO si erano impegnati, seguendo gli Stati Uniti, in Iraq, in Afghanistan, in Libia e, nascostamente, in Siria, hanno avuto come risultato una fenomenale sfida migratoria che ha coinvolto tutta l’Europa.

In Gran Bretagna, sia i governi laburisti che quelli conservatori erano stati tutti complici in queste criminali avventure militari per i cambi di regime. Ma è il governo Tory dell’ex Primo Ministro David Cameron su cui grava la maggior parte delle responsabilità per aver assunto un ruolo di guida nella guerra della NATO del 2011 per la deposizione del leader libico Muammar Gheddafi, [guerra] che aveva aperto le rotte migratorie di massa verso l’Europa. Era stato Cameron che aveva acconsentito ad un referendum sulla Brexit per le sue egoistiche ragioni politiche (ne parleremo più avanti). Il voto per la Brexit è stato, almeno in parte, il risultato dell’aggressione di Cameron alla Libia e delle altre guerre illegali britanniche combattute altrove.

L’attuale Primo Ministro è anche colpevole dell’aumento in Gran Bretagna dei sentimenti anti-immigrazione che, in parte, hanno favorito il voto per l’uscita dall’UE. Prima di assumere, nel luglio 2016, il ruolo di premier, succedendo a Cameron (che si era dimesso in seguito ai risultati del referendum sulla Brexit), Theresa May aveva ricoperto il ruolo di Home Secretary (Ministro degli Interni). Durante il suo mandato (da falco) durato sei anni come Ministro degli Interni, la politica del governo britannico era diventata decisamente ostile nei confronti dei migranti illegali. Era stata la May a lanciare le campagne pubbliche dove si minacciavano gli immigrati privi di documenti di “ritornare a casa o andare in carcere.”

Piuttosto che essere ritenuto responsabile delle sue guerre criminali in Asia centrale, in Medio Oriente e in Nord Africa (e la causa dei flussi di profughi) il governo britannico ha invece optato per la criminalizzazione dei migranti privi di documenti. Questo ha inevitabilmente spinto l’opinione pubblica britannica a temere o a detestare l’idea stessa degli stranieri che si riversavano nel paese. Quando si era tenuto il referendum sulla Brexit, questo pregiudizio era stato associato all’adesione all’UE. La May e i suoi governi conservatori avevano scatenato quei sentimenti con le loro politiche razziali ciniche e poco trasparenti.

Un altro fantasma del passato è il successo [di qualche anno fa] del Partito Indipendente della Gran Bretagna (UKIP), anti-UE e anti-immigrazione. Da allora, l’UKIP è sparito nel dimenticatoio. Ma, ad un certo punto, il partito euroscettico aveva minacciato di drenare moltissimi voti dal principale partito di destra, i Conservatori. In una mossa disperata per respingere l’UKIP, l’ex premier conservatore David Cameron aveva promesso in un manifesto programmatico durante le elezioni nazionali del 2015, che, se fosse stato rieletto, il suo governo avrebbe tenuto un referendum sull’adesione all’UE. Cameron aveva così usato la questione della Brexit come un mezzo per mantenere il suo partito al potere e per respingere la minaccia elettorale dell’UKIP. Un anno dopo, il voto sulla Brexit aveva gettato la politica britannica nel caos tuttora in corso.

Infine, il nostro ultimo fantasma del passato arriva da un po’ più lontano. È l’eredità dei misfatti imperialisti britannici commessi in Irlanda. La violazione da parte della Gran Bretagna della sovranità irlandese e la criminale spartizione (1921) della vicina nazione insulare sono i più grossi bastoni fra le ruote della Brexit. Il governo di Londra non può uscire con facilità dall’Europa (anzi, sarà una missione impossibile) a causa del problema storico relativo ad un confine voluto dal Regno Unito per dividere l’Irlanda.

La maggior parte della gente sull’isola irlandese, sia nello stato meridionale, la Repubblica d’Irlanda, che nella Giurisdizione Britannica dell’Irlanda del Nord, non vuole il ritorno di un confine vero. Né l’Unione europea vuole creare una simile frontiera, che causerebbe enormi danni all’intera economia irlandese. Ma, se non ci fosse un confine,  una parte del Regno Unito (l’Irlanda del Nord) rimarrebbe a tutti gli effetti integrata nell’UE in termini di dogane e commercio. In Gran Bretagna, per i fautori della Brexit questo è un anatema. L’insolubile problema del confine irlandese è il motivo per cui il processo della Brexit sarà per sempre oggetto di interminabili litigi e perché l’attuale crisi politica britannica continuerà a tempo indefinito.

L’avaro passato dei politici britannici è ritornato e ha tormentato l’attuale gruppo dirigente fino alla paralisi dei negoziati sulla Brexit.

A differenza del meschino personaggio pentito di Scrooge del racconto di Dickens, sembra che non ci sia alcuna redenzione in vista per classe politica britannica in carica.

Finian Cunningham

Fonte: strategic-culture.org
Link: https://www.strategic-culture.org/news/2018/12/20/brexit-and-ghosts-of-christmas-past.html
20.12.2018
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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