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La Redazione

 

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ITALIA IN RECESSIONE ? ANCHE GLI ALTRI

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A cura di Davide
Il 13 Maggio 2005
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DI MAURIZIO BLONDET

Colpa di Berlusconi?
Magari fosse così semplice.
Buttiamolo giù e l’economia riparte: un sogno.
Ma la recessione italiana è il risultato di vecchi vizi, vecchie inefficienze
e parassitismi, che si scontrano con una dura realtà: la globalizzazione.
Al fondo del problema c’è la nota realtà: la paga media cinese è di 80 euro al mese (anche meno), e quella occidentale da 10 a 20 volte di più.
La speciale debolezza italiana consiste in questo: che l’Italia è “forte” in settori manifatturieri maturi, esposti alla competizione cinese.
Le scarpe, i tessuti, gli abiti li stanno facendo anche i cinesi, con costi enormemente minori.
L’Italia avrebbe dovuto per tempo passare ad attività a più alto contenuto tecnologico-culturale; ossia avrebbe dovuto darsi una cultura.
Perché, ecco il dramma, l’operaio italiano non è migliore di quello cinese, costa solo 10-20 volte in più.
Per guadagnarsi il suo salario maggiorato, avrebbe dovuto istruirsi, aggiornarsi continuamente.
Non l’ha fatto.
Nessuno l’ha avvertito che bisognava farlo.
E questa tragedia non riguarda solo l’operaio.
I figli dei padroncini del Nord-Est avrebbero dovuto essere mandati a studiare all’estero, nelle migliori università.
I mezzi, i loro padri li avevano.
Invece accade il contrario: proprio nel Nord Est ricco e laborioso l’abbandono scolastico è pari a quello del Meridione arretrato.
Perché i figli dei padroncini non vogliono studiare, vogliono andare subito in fabbrica.
Restano ignoranti: come i cinesi, ma con salari dieci-venti volte più alti.

In Italia, i giovani si laureano meno che in tutti gli altri paesi.
E in che cosa si laureano, se poi lo fanno?
Diritto, Lettere.
Anzi, ora va di moda laurearsi in “Scienze delle comunicazioni”, che è una materia non solo inesistente, ma priva di mercato.
In Cina e in India, 3 milioni di giovani ogni anno si laureano in ingegneria e altre scienze “dure”.
Per poi impiegarsi nelle imprese di hardware e software, nei servizi avanzati, nella finanza.
Nessun primato, nessun benessere si costruisce sull’ignoranza, su una scuola di manica larga, su università scadenti come le nostre, affollate di baroni e dei loro portaborse e leccapiedi.
Ora si grida: investire di più nella ricerca, subito.
Ma anzitutto, bisogna capire che nessun “investimento in ricerca” darà risultati fra 15 giorni, che si tratta del più aleatorio degli investimenti, e di quello a più lungo termine.
Anzitutto, ci vuole una diffusa curiosità, un diffuso interesse per la scienza: in Italia manca, il vero interesse nazionale è il calcio, e la cucina. Ci vuole un ambiente sociale che abbia rispetto per i ricercatori e gli scienziati: quelli veri, non le Levi Montalcini o i Veronesi, mercanti di se stessi e beneficiari di lobbies.
E poi in “quale” ricerca investire?
Come identificare i campi in cui abbiamo ancora qualche possibilità?
Nell’elettronica non riusciremo più a recuperare terreno; in biotecnologia nemmeno. Il grido: “più fondi alla ricerca”, senza alcuna analisi e indagine dettagliata sui punti forti residuali che valga la pena di promuovere, in Italia, porta a un solo risultato già visto: che si daranno più soldi alla Fiat.
La Fiat la cui vera salvezza, la sola e unica ormai, è l’immediata chiusura.
Perché ad ottobre cominceranno ad arrivare sui mercati le auto Made in China: a parità di qualità e cilindrata, costeranno il 30% in meno.

La dura verità da dire agli italiani è: se volete restare competitivi, dovete accettare la riduzione di salari e stipendi a livelli cinesi, perché non siete affatto più bravi, più istruiti, più sgobboni dei cinesi.
Ma naturalmente non si può.
Perché il costo della vita non è quello cinese, e se in Cina con 80 euro al mese si campa, in Italia con 800 si muore.
Bisognerebbe che i prezzi calassero almeno quanto i salari, se possibile di più. Credete che accadrà?
Chiunque abbia il potere di “imporre il prezzo”, dal ristoratore al barista, i prezzi li aumenta.
Ecco perché la vita nella globalizzazione, se si è occidentali, è triste.
E lo sarà per i prossimi vent’anni, fino a quando i salari cinesi non saliranno tanto da incontrare i nostri, calanti.
Non è solo l’Italia, sia chiaro.
L’economia italiana si degrada più rapidamente delle altre in Europa – 0,5 per cento in meno di prodotto interno lordo ogni quadrimestre – ma non è la sola.
Anche l’Olanda è entrata in recessione, meno 0,1 per cento.
Anche il Portogallo.
La Germania cresce dell’1% (magrissimo) perché, nonostante tutto, esporta robustamente, la sua struttura industriale è più solida.
I giornali servili vi raccontano che in Inghilterra l’economia va bene.
Ma è un trucco: le statistiche sono state ritoccate a fingere un rialzo economico per far rieleggere Tony Blair, il fiduciario delle grandi lobbies neocon-israeliane.
Ora che Blair è stato rieletto, cominciano a dire la verità: l’economia inglese “rallenta”.
Calano le vendite al dettaglio.
Cala la produzione industriale.
Calano perfino i prezzi delle case.
La Banca Centrale dovrà tagliare i tassi d’interesse per “stimolare l’economia” (1):
Ma va bene, benissimo, l’economia Usa – vi dicono i servi della nota lobby.
Va bene perché la sua forza lavoro è “flessibile” e i costi sociali sono bassi.
Mentre in Europa crescono i disoccupati, in Usa, solo ad aprile, sono stati creati 256 mila posti di lavoro in più.
Analizziamo questi miracolosi posti di lavoro americani.
La metà dei “nuovi posti di lavoro” è stata creata nel “settore alberghiero e d’accoglienza” (camerieri di bar e ristoranti: 58 mila), nel “commercio al dettaglio e all’ingrosso” (commessi di negozi e supermercati: 30 mila), nella “sanità e assistenza sociale” (badanti e infermiere: 18 mila), in “servizi amministrativi e di supporto” (impiegati a tempo determinato: 12 mila).
Insomma, i posti di lavoro crescono solo nei “servizi non vendibili”: lavori di servizio, da domestiche.
E’ una crescita da economia del terzo mondo (2).
Insomma, nemmeno l’economia Usa crea più lavori ad alta tecnologia e nei settori competitivi e d’alto valore aggiunto.
E il bello è che i “nuovi lavori” (domestici) non vanno a cittadini americani; ma, nel 60% dei casi, ad immigrati.
La stessa cosa avviene in Italia: cresce la domanda di badanti, infermiere, donne delle pulizie, raccoglitori di fragole e pomodori, benzinai.
Sono lavori persino ben pagati.
Ma i nostri giovani italiani si aspettano dalla vita molto di meglio, benchè non abbiano studiato abbastanza da meritarselo.
E quei lavori li schifano.
I lavori, perciò, vanno ad ucraine (spesso laureate), filippine, cingalesi.
Questi lavori sono “esborsi netti”, che dissanguano l’economia italiana: i guadagni dei filippini e delle badanti ucraine fuggono in Ucraina e nelle Filippine, non restano in Italia.
Esportazione legittima di capitali.

L’America non sarebbe in recessione?
Guardate meglio.
I salari americani sono calati in termini reali ai livelli di 13 anni fa: si stanno avvicinando competitivamente a quelli cinesi, molto prima dei nostri europei.
La General Motors e la Ford sono considerati giganti morti (come la Fiat), le loro obbligazioni hanno il rango di “spazzatura”, come i titoli argentini.
La grande compagnia aerea United Airlines ha dichiarato fallimento sugli obblighi previdenziali contratti verso i suoi dipendenti: non pagherà 6,6 miliardi di dollari in pensioni.
I pensionati della United avranno la pensione – se l’avranno, solo in piccola parte – dal fondo statale che interviene in questi casi, il Pension Benefit Guaranty.
La Delta Airlines, che deve ai suoi dipendenti 3,15 miliardi di dollari nei prossimi tre anni, sta anch’essa per dichiarare bancarotta.
Questa sarebbe un’economia trionfante e competitiva: una catena di bancarotte.

E sì che gli Usa, al contrario dell’Europa che si tiene l’euro forte con stupidità senza pari, hanno svalutato il dollaro (più “competitività”), e il mondo intero sta prestando agli americani i soldi per i loro smodati consumi.
L’economia mondiale si regge, in bilico, sui consumi americani: basta che loro mangino meno, e finiamo tutti in recessione.
Magari la Banca Centrale americana taglierà i tassi d’interesse per far costare meno il denaro e “stimolare” l’economia e i consumi.
Ciò indurrà i consumatori Usa a consumare ancora un po’ di più.
Ma a beneficiarne sarà, alla lunga, non l’America, ma la Cina, ossia il grande produttore mondiale.
Ogni “stimolo” americano cessa di avvantaggiare l’America, e di andare a vantaggio di altri.
Ma vale anche per noi italiani, insaziabili consumatori di telefonini, tv a schermo piatto, dvd…tutte cose che non produciamo in casa, ma compriamo dall’estero, dall’Asia.
Ciò significa: più li compriamo, più diventiamo poveri come paese…e più le fabbriche dell’Asia riducono i loro costi per unità di prodotto e accrescono la loro quota di mercato.

L’Italia va peggio.
Dove sta la differenza con Germania, Francia e Usa, che vanno solo male?
Facile indovinarlo: nell’inefficienza pubblica.
I loro sistemi pubblici sono di aiuto alla produzione e all’impresa; da noi sono di ostacolo, un elemento di costo aggiuntivo.
Da noi si paga di più l’elettricità, il telefono, internet; ogni attività richiede fatiche burocratiche enormi; la magistratura non funziona, e non funzionano le scuole e le università.
Alla Banca d’Italia abbiamo un ragioniere, e lo paghiamo tre volte di più del banchiere centrale americano.
Il nostro presidente della repubblica ci costa 10 volte più di quanto costi la regina agli inglesi.
Non sono solo gli statali a fare ostacolo; noi abbiamo livelli burocratici pubblici stratificati in modo incredibile: comunali, provinciali, regionali, comunitari…cinque o sei strati di parassiti.
Strapagati.
E con il posto sicuro, garantito, inamovibile, mentre il nostro di privati diventa sempre più precario, temporaneo, a rischio.
Loro vogliono gli aumenti, e li otterranno, per il loro potere di ricatto.
Per contro, fra poco, decine di migliaia di lavoratori privati, tessili, manifatturieri, saranno disoccupati.
Perché il processo di degrado, oltretutto, ha questo di maligno: che è rapidissimo, com’è rapida l’avanzata sui mercati – senza protezione di dazi – del superconcorrente cinese o indiano.
Magari bastasse cacciare Berlusconi.
Sarebbe forse meglio dare il suo posto a Prodi, portavoce e simbolo del parassitismo pubblico, espressione di un elettorato che vuol essere protetto e continuare a parassitare un sistema che non può più permettersi parassiti?
Attenzione, il lettore non ci attribuisca un penchant per Berlusconi.
Il punto è un altro: la fatua superficialità di Berlusconi è l’immagine stessa dell’Italia, fatua, poco istruita, poco intelligente.
Che pretende di “andare avanti” senza esercitare mai il pensiero, senza scegliere classi dirigenti capaci di pensare.

Maurizio Blondet
Fonte:www.effedieffe.com
13.05.05

Note

1)Bill Bonner, Financial Madness, Goldseek, 12 maggio 2005.
2)Paul Craug Roberts, “More phony Jobs hype”, Counterpunch, 12 maggio 2005. Craig Roberts è stato vice ministro del Tesoro Usa.

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