Il governo tiene nonostante le tante ‘manine’, perché il potere logora chi non ce l’ha

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DI ROSANNA SPADINI

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Nel mondo della globalizzazione sono saltate tutte le regole della modernità, quella per intenderci dei grandi progetti progressisti del passato, Illuminismo, Idealismo, Marxismo, sostituiti da una poltiglia indifferenziata di idee, che rientrano nel campo di alcune categorie, nuove o indifferenziate, tipo populismo, sovranismo, nazionalismo, liberismo. Sarebbe buona cosa e giusta capirne il senso, ma naturalmente l’opinione pubblica spesso lo ignora decisamente, ed è per questo che si lascia distrarre dalle campane stonate dei media mainstream.

Dice Francesco Erspamer che “Il bifrontismo della Lega è evidente: ha un volto populista e un volto liberista. Forse è la sua natura, un’intrinseca contraddizione; forse invece si tratta di doppio gioco, a fregare il M5S oggi o magari i berlusconiani e piddini domani. Ma è davvero così importante? Molto meno di capire come mai ottenga tanti consensi; non quanti gliene attribuiscono i sondaggi, inattendibili e spesso manipolati, ma certamente più di quanti ne meriterebbe un partito che si dice antisistema e intanto continua a operare a favore della casta e dei corrotti. Come mai insomma la Lega non paga per la sua inaffidabilità, per i suoi tanti errori, per gli scandali, per le sue posizioni sul condono, sul TAV, sulla giustizia e il conflitto di interessi? Per un solo motivo: perché le è stato lasciato il monopolio dell’opposizione alle migrazioni incontrollate e illimitate (ripeto: incontrollate e illimitate), esattamente come a Trump negli Stati Uniti.”

La nuova Lega infatti sembra molto simile alla vecchia, anche se Salvini si è presentato come il nuovo populismo che avanza e migliorerà la vita degli italiani. Ma le contraddizioni e le strane ‘manine’, che s’infilzano nelle leggi e ne mutano il senso, sono numerose.

A partire dal Decreto legge sulla ‘pace fiscale’ dello scorso ottobre.  Il M5S denunciò subito di aver dato il proprio assenso a un testo di legge che invece poi sarebbe stato modificato in una nuova versione, riguardo al famigerato ‘articolo 9’ della bozza di decreto.

La nuova norma avrebbe previsto la sanatoria fiscale (pagando il 20% del dovuto, senza sanzioni e interessi) anche di due imposte che riguardavano proprietà e attività fiscali extra-confine, Ivie e Ivafe, rispettivamente l’imposta sul valore degli immobili situati all’estero e l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero.

Insomma, una sorta di provvedimento ibrido, una via di mezzo tra uno scudo fiscale, sulla scia dello scudo di tremontiana memoria, e una voluntary disclosure vera e propria.

Per l’occasione Di Maio, ospite della Vespa portinaia, aveva affermato: “Nel testo che è arrivato al Quirinale c’è lo scudo fiscale per i capitali all’estero. E c’è la non punibilità per chi evade. Noi non scudiamo capitali di corrotti e di mafiosi. E non era questo il testo uscito dal Consiglio dei ministri. Io questo testo non lo firmo e non andrà al Parlamento”.

Poi arriva la piazza colma di manifestanti a Torino, sponsorizzata da tutta la partitocrazia affaristica, per dire SI’ alla costruzione del Tav. Tra loro pure i parlamentari del Carroccio: “Rispettiamo gli impegni assunti con il M5s, che ha chiesto un’analisi costi e benefici dell’opera, ma ribadiamo con forza che va realizzata”, hanno detto i leghisti presenti. “Siamo qui in segno di rispetto e di attenzione verso il mondo produttivo e imprenditoriale piemontese che oggi manifesta un disagio. La linea Torino-Lione è fondamentale e strategica per il Piemonte e per tutto il paese”.

Però il Tav Torino-Lione è la più inutile, dannosa e costosa fra le grandi opere progettate negli anni ’80 del secolo scorso, rimasta allo stato larvale dopo 1,6 miliardi di sprechi. Siccome per completarla servirebbero sulla carta un’altra quindicina di miliardi, che poi nella realtà diventerebbero probabilmente 20/25 (con lievitazione assicurata del 45%), quindi l’impresa si rivela assolutamente superata.

Quando partì l’idea della Torino-Lione, si pensava a un supertreno per passeggeri sullo snodo italo-francese del Corridoio 5, da Lisbona a Kiev, ma il progetto non si realizzò mai (il primo Paese a sfilarsi fu il Portogallo nel 2012), ed ora l’unico cantiere aperto resta il Torino-Lione.

Il Tav sarebbe quindi una seconda linea ferroviaria da affiancare a quella storica (Torino-Modane, inutilizzata all’80-90%), scavando 57 km di tunnel dentro montagne piene di amianto e materiali radioattivi e devastando l’intera Valsusa, il tutto per soddisfare richieste inesistenti, perché il previsto boom del traffico merci su quella direttrice si è rivelato una bufala colossale.

Poi slitta lo stop alla ‘prescrizione’ dopo il primo grado di giudizio al gennaio 2020, che sarebbe dovuto partire subito, sempre per la resistenza della Lega. E ancora nel ddl Anticorruzione, la maggioranza viene battuta con il voto segreto, perché passa una modifica che introduce un colpo di spugna per i peculatori.

E infine il problema inceneritori in Campania… chiamiamoli così, perché il termine ‘termovalorizzatori’ è un misero eufemismo. Dietro l’accordo contro roghi e traffici resta immutata la tensione tra Lega e M5S sulla costruzione di questi inceneritori, ancor più dopo la notizia del “conflitto d’interesse verde”, dato che il vicepremier Matteo Salvini, che dal pulpito di Napoli aveva lanciato l’allarme, detiene 3500 azioni ordinarie di A2a”, la multi-utility del Nord che gestisce l’unico impianto di termocombustione dei rifiuti attivo ad Acerra (Napoli).

Un ulteriore passo falso da parte di Salvini, che ha ripetuto a pappagallo la solita bufala metropolitana, citando il modello di Brescia (il più grande e più cancerogeno inceneritore d’Italia) e scordandosi del tutto il contratto di governo, che s’ispira al modello opposto di Treviso, che ha chiuso due termovalorizzatori e produce 386 kg di rifiuti pro capite (contro una media italiana di 497 ed europea di 477), con una differenziata dell’85% e una tassa rifiuti di 185 euro pro capite (la media nazionale è 304). Merito proprio della Lega, che seguì sulla strada dei “rifiuti zero” i neonati 5Stelle, quando la Provincia era guidata da Luca Zaia, ora governatore del Veneto.

La verità è un’altra e il contratto di governo parla chiaro: «Una corretta e virtuosa applicazione dell’economia circolare, in linea con la gerarchia nella gestione dei rifiuti europea, comporta una forte riduzione del rifiuto prodotto, una crescente percentuale di prodotto riciclato e contestualmente una drastica riduzione della quota di rifiuti smaltiti in discarica ed incenerimento, fino ad arrivare al graduale superamento di questi impianti adottando metodi tecnologicamente avanzati ed alternativi. A tal proposito il sistema di economia circolare di riferimento è quello oggi adottato dal servizio pubblico della provincia di Treviso, studiato in tutto il Mondo».

Il modello da seguire oggi sarebbe proprio il Veneto, che grazie ad un format prevalentemente pubblico, raccolta porta a porta con tariffa puntuale come fulcro, oltre il 70% dei rifiuti urbani è differenziato e inviato a recupero di materia e compostaggio. Dove sono attivi 2 soli inceneritori piccoli e medi (quello di Padova 170mila tonnellate annue e quello di Schio 80mila tonnellate annue. Per avere i numeri quello di Acerra è da 725.000 tonnellate annue).

Lo stesso Zaia nel 2015 tuonava contro lo ‘Sblocca Italia’ di Renzi “Abbiamo tre inceneritori e non ne costruiremo altri: siamo una Regione ‘riciclona’ e puntiamo dritti sul compostaggio”. Nel 2011, quando qualcuno proponeva ancora inceneritori facendo infuriare Zaia, il Veneto differenziava il 57%. Si fa prima e costa meno fare raccolte differenziate spinte e puntare su impianti di recupero di materia e compostaggio, perché per costruire un inceneritore, oltre ai costi esorbitanti, ci vogliono dai 5 agli 8 anni.

Gli inceneritori ormai rappresentano il passato, perché inquinano l’aria, producono ceneri inestinguibili del 25% del carico, e rappresentano una gabbia ambientalista, che costringe un funzionamento obbligato su tot tonnellate di rifiuti, per oltre un ventennio (per smaltire i costi di produzione), senza considerare che quando si arriva all’inceneritore il ciclo dell’economia circolare è fallito.

Perché allora la Lega riscuote tanto consenso, vero o presunto, o pompato dai media? Per un semplice motivo, dice sempre Erspamer: “Perché le è stato lasciato il monopolio dell’opposizione alle migrazioni incontrollate e illimitate.”

Per capirlo in anticipo sarebbe bastato leggersi “Dentro la globalizzazione” di Zygmunt Bauman, del 1999 (20 anni fa), dove l’autore diceva che nel mondo della globalizzazione, gli abitanti della terra sono divisi in due tipologie, alcuni (pochi) possono fare i turisti mentre per tutti gli altri la sorte è quella del vagabondo. L’attuale società non è più quella dei produttori, l'”età dell’oro” del capitalismo produttivo (Eric Hobsbawm, Il Secolo Breve), caratterizzata dall’etica del lavoro e del sacrificio, ma la società dei consumi dove ciò che conta è produrre desideri e seduzione.

Le economie globalizzate producono l’effimero, il superfluo, il precario, i posti di lavoro diventano flessibili, e anche i consumi devono essere fugaci, evanescenti, inconsistenti, altrimenti il volano del consumo si blocca. Il consumo è diventato solipsistico e fonte di desideri inestinguibili, si consuma per se stessi, in solitario onanismo, così da generare nuove fonti di desiderio insaziabile.

Nella stratificazione libertaria della società postmoderna, entrano in scena i turisti e i vagabondi, il semaforo segna sempre verde per i turisti, ma sempre rosso per i vagabondi. I turisti possono muoversi ad libitum, nessun controllo li può fermare, essi non sono legati né allo spazio, né al tempo. Al contrario i vagabondi non possono muoversi, sono imprigionati nel proprio spazio e nel proprio tempo.

In giro per l’Europa c’è una bella differenza essere turisti italiani piuttosto che profughi marocchini o nigeriani. I primi vivono la versione postmoderna della libertà, i secondi sperimentano la versione postmoderna della schiavitù. I turisti si muovono perché trovano che il mondo alla loro portata (globale) è irresistibilmente attraente, i vagabondi si muovono perché trovano che il mondo alla loro portata (locale) è inospitale fino ai limiti della disperazione. I turisti si muovono perché lo vogliono, i vagabondi perché non hanno altra scelta possibile.

Il vagabondo quindi diventa l’incubo del turista, il suo demone interiore, dato che nessuna certezza sul mantenimento del suo stile di vita protegge il turista dalla possibilità di scivolare nel vagabondaggio. Scivolare tra i vagabondi fa parte delle nostre inconsce angosce quotidiane.

Chi è fuori è fuori, perché è un consumatore inaffidabile. Chi è fuori è un vagabondo da cui dobbiamo difenderci, e tale condizione ci abita come perturbante: ci tormenta, ci mette in crisi, ci spinge a comportamenti razzisti e violenti… perché chi resta fuori è perduto.

Però, nonostante i violenti conflitti interni al governo, tra le due forze politiche decisamente distanti e diverse, per progetti programmatici e classi sociali di riferimento, il governo sembra tenere la barra dritta, i frequenti allarmi di prossime e imminenti crisi, implodono velocemente così come sono esplosi, il premier Conte riporta serenità ed equilibrio, e le risse deflagranti vengono rimandate al futuro. Forse alle prossime europee?

Certo far saltare ora il governo non converrebbe a nessuno dei due contraenti… non ai 5S che devono incassare almeno il Reddito di Cittadinanza, dopo aver già intascato diversi successi (Decreto dignità, Genova, fisco, giustizia, anticorruzione, ripristino art.18 e cassa integrazione, manovra finanziaria e sfida all’UE). Non converrebbe nemmeno alla Lega, che dovrà incassare il Decreto sicurezza e la mini Flat Tax.

Quindi per una vera crisi di governo dovremo attendere ancora un po’, perché “il potere logora chi non ce l’ha”… diceva qualcuno che se ne intendeva parecchio.

 

Rosanna Spadini

Fonte: www.comedonchisciotte.org

22.11.2018

 

 

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