Il Giappone scaricherà la sua acqua radioattiva nell’Oceano Pacifico? Il punto della situazione

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DI KOSTANTIN ASMOLOV

journal-neo.org

Non molto tempo fa avevamo scritto di come la radiofobia faccia parte della guerra commerciale tra Giappone e Corea del Sud. Avendo portato questo argomento all’attenzione del pubblico, vorrei approfondirlo e fare il punto della situazione sul timore popolare che “le autorità giapponesi stanno per inondare il mondo con milioni di tonnellate di acqua contaminata.”

L’11 marzo 2011, alcune scosse di terremoto avevano generato un’onda di tsunami che aveva sommerso la centrale nucleare di Fukushima Daiichi con 4-5 metri d’acqua. Questo aveva causato un’interruzione di corrente e l’arresto delle pompe del circuito di raffreddamento, con conseguente fusione del nocciolo del reattore e fuoriuscita di materiale radioattivo. Per mantenere bassa la temperatura [del nocciolo] è stato necessario [da allora] pompare acqua nel reattore, compresa quella di mare. La quantità di acqua contaminata immagazzinata nell’impianto aumenta ogni giorno di 170 tonnellate e, alla fine di luglio, aveva raggiunto un volume totale di 1 milione e 150 mila tonnellate. Tutta l’acqua trattata viene immagazzinata in 977 serbatoi sigillati, che fanno parte di quello che è risultato essere un processo di smaltimento dell’acqua contaminata estremamente costoso e complesso.

Si stima che lo spazio di stoccaggio si esaurirà entro agosto 2020 e, per allora, si dovrà trovare una soluzione per tutta l’acqua immagazzinata.

A questo proposito, nell’agosto 2019, lo specialista in energia nucleare Shaun Burnie, della Greenpeace tedesca con sede a Berlino, aveva riferito che il Giappone sta valutando la possibilità di scaricare l’acqua radioattiva nell’Oceano Pacifico. Secondo Shaun Burnie, quest’acqua sarà trasportata dalle correnti marine in altre zone del globo ed un certo numero di paesi dovrà subirne le conseguenze, compresa la Corea del Sud. In un’intervista con il Korea Times, Burnie aveva spiegato che la soluzione prevista dal Giappone è dovuta all’avidità: “Non vogliono pagare i costi completi di stoccaggio e trattamento dell’acqua contaminata, inclusa la rimozione del trizio radioattivo.” Secondo la controversa opinione di Burnie, questo era stato il motivo per cui il gruppo di studio del Ministero dell’Economia giapponese che si occupa del problema aveva rifiutato le opzioni offerte da varie aziende per utilizzare, già nel 2016, le tecnologie per la rimozione del trizio. Questo è un punto importante, poiché i funzionari del governo giapponese affermano che il trizio è l’unico elemento radioattivo presente nell’acqua e che, in realtà, è relativamente atossico. Anche se, secondo gli esperti citati dal Korea Times, può causare cancro e deformità fetali.

Secondo un rapporto di Greenpeace pubblicato all’inizio del 2019, il governo giapponese avrebbe valutato cinque opzioni su come gestire questo volume sempre crescente di scorie radioattive e quella di scaricarle nell’Oceano Pacifico era stata considerata la possibilità più ragionevole, dal momento che sarebbe costata solo 37,7 miliardi di yen, secondo le cifre del 2016 fornite dal Ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria giapponese.

Tuttavia, le fonti da cui provengono tutte queste informazioni rimangono sconosciute. I media sudcoreani citano un briefing informativo con l’ex Ministro giapponese dell’Ambiente, Yoshiaki Harada, che aveva affermato che “l’unica opzione sarà quella di scaricare l’acqua in mare e diluirla.” In ogni caso, il segretario del Capo del Governo giapponese, Yoshihide Suga, aveva commentato che le osservazioni di Harada erano solo una sua opinione personale e che il governo non aveva preso alcuna decisione.

Anche altri esperti ritengono che l’acqua radioattiva possa essere scaricata in mare. Kim Ik-jung, un ex professore di medicina dell’Università di Dongguk, che aveva lavorato come membro della Commissione per la Tutela e la Sicurezza Nucleare della Corea del Sud, sottolinea che lo scarico di acque contaminate in mare sarebbe il modo più economico e veloce per sbarazzarsene, ma che sarebbe anche l’opzione più pericolosa. Secondo Kim, dovremmo aspettare circa 300 anni perchè l’acqua si purifichi in modo naturale e possa essere scaricata in sicurezza. Tuttavia, questo richiede tempo e denaro.

Hiroaki Koide, un professore associato presso l’Istituto del Reattore di Ricerca dell’Università di Kyoto, in Giappone, ritiene che il governo giapponese andrà avanti e che, in un prossimo futuro, scaricherà in mare l’acqua contaminata dalla radioattività e che una cosa del genere dovrebbe essere fermata a tutti i costi, anche se ciò significa boicottare le Olimpiadi di Tokyo, infatti [secondo il ricercatore] è probabile che l’acqua venga scaricata dopo la fine dei Giochi. Tuttavia, questa è solo un’opinione di alcuni esperti e non è chiaro su che cosa si basi. Nel 2018, tuttavia, Hiroaki Koide aveva presentato ai membri del Comitato Olimpico un documento dove si metteva in discussione l’idoneità del Giappone come nazione ospite per  le Olimpiadi e dove si dubitava anche delle capacità del paese di adottare le rigorose misure di sicurezza necessarie per proteggere gli atleti e i visitatori che avrebbero partecipato all’evento. Secondo Hiroaki Koide, gli atleti che parteciperanno ai Giochi potrebbero essere esposti alle radiazioni, poiché si è scoperto che i materiali radioattivi fuoriusciti dopo l’esplosione della centrale di Fukushima nel 2011 stanno ancora contaminando “un’area la cui estensione non è stata ancora determinata con precisione” e, dicendo che non vi è alcun pericolo di esposizione alle radiazioni, “il governo giapponese si è comportato in modo disonesto.”

Shaun Burnie, come ci si aspetterebbe da uno specialista che lavora per Greenpeace, sostiene questa visione allarmistica: “[…] molte persone [vivono] in zone a basso rischio di radiazioni, allo stesso tempo ci sono aree a Fukushima […] dove i rischi dovuti alle radiazioni sono elevati e da cui sono stati evacuati decine di migliaia di cittadini che vivono come rifugiati.” In effetti, Burnie solleva di continuo questo problema, ribadendo essenzialmente la posizione della Corea del Sud. Ad esempio, il 14 settembre 2019, Burnie aveva sostenuto che la Corea del Sud dovrebbe interessare del problema qualche organismo internazionale.

Ci sono disposizioni nel diritto internazionale che impediscono il rilascio in mare di acqua potenzialmente contaminata. Esiste, ad esempio, la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, che prevede che gli stati membri adottino misure per prevenire, ridurre o controllare l’inquinamento dell’ambiente marino. C’è poi anche la Convenzione di Londra sulla Prevenzione dell’Inquinamento Marino da scarico di rifiuti e altri materiali, che è ancora in vigore. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) si batte per l’energia nucleare sicura e dovrebbe essere informata in caso di azioni del genere. Tuttavia, ogni paese determina in modo indipendente il livello ammissibile di inquinamento radioattivo che può essere rilasciato in mare: mentre la Corea del Sud fissa il proprio limite a 40 mila becquerel per litro di acqua, il limite del Giappone è di 60 mila. Il valore registrato nella centrale nucleare di Fukushima è di 120 mila becquerels.

Esiste inoltre il principio generale secondo cui dovremmo prevenire l’inquinamento marino, ma non c’è nessuna norma specifica. Ad esempio, il Giappone potrebbe sostenere che lo scarico dell’acqua non danneggerà gli altri paesi. Tokyo potrebbe anche giustificare le proprie azioni sostenendo che l’evento è dovuto a cause di forza maggiore, dati gli enormi volumi di acqua radioattiva in gioco, il che renderebbe difficile provare che queste azioni e le loro conseguenze sono illegali.

Questo è il motivo per cui il governo di Seoul si sta impegnando al massimo per costringere la comunità internazionale a prendere atto di questo problema ed intende anche iniziare a raccogliere prove e dati sulle conseguenze che tutti potremmo dover affrontare se l’acqua contaminata fosse scaricata in mare, il tutto nella speranza che il mondo intero prenda posizione contro questa eventualità, rendendo più difficile per il Giappone compiere l’operazione.

A metà agosto, il Ministero degli Affari Esteri della Corea del Sud aveva fatto appello al governo giapponese affinché rendesse nota la propria posizione ufficiale. Il ministro dell’Ambiente Cho Myung-Rae aveva anche scritto sui social media: “Abbiamo chiesto al governo giapponese di condividere i dati su come sta affrontando il problema dell’acqua contaminata di Fukushima, ma non abbiamo avuto nessuna risposta.

Il 16 settembre 2019, alla 63° sessione ordinaria annuale della Conferenza Generale dell’AIEA tenutasi in Austria, il Primo Ministro della Scienza e ICT [tecnologie dell’informazione e della comunicazione] della Corea del Sud, Mun Mi-ock, aveva osservato che “Intanto, funzionari del governo giapponese di alto livello hanno recentemente iniziato a dire che gli scarichi marini sono inevitabili, come sistema di gestione dell’acqua contaminata di Fukushima.” Mun ritiene che debba essere effettuato un sondaggio sulle condizioni del reattore e della sua acqua contaminata, nonché una valutazione di impatto ambientale ed ecologico sulla centrale atomica di Fukushima e che l’approccio dovrebbe essere di tipo scientifico, con misure oggettive per risolvere il problema. Ha anche esortato il Giappone ad adottare provvedimenti ed azioni significative e trasparenti per la protezione dell’ambiente.

Nel frattempo, un rappresentante giapponese ha sottolineato l’importanza della sicurezza, rilevando la necessità di astenersi da critiche non scientifiche e vale la pena aggiungere che solo la controparte coreana conoscerebbe nel dettaglio i funzionari giapponesi che rilasciano questo tipo di dichiarazioni e non vengono rivelate le date delle dichiarazioni o i nomi di questi funzionari.

Mun Mi-ock ha affermato nel suo discorso di apertura che “il Giappone non è riuscito a dare una risposta allo smaltimento delle scorie radioattive dopo il disastro della centrale di Fukushima del marzo 2011.” In seguito, il presidente sudcoreano Moon Jae-in ha aggiunto: “È un’importante questione internazionale che può influire sull’ambiente marino di tutto il mondo, pertanto l’AIEA e i suoi membri devono intraprendere un’azione congiunta.”

Non avendo ottenuto nessun risultato alla Conferenza Generale dell’AIEA, il governo sudcoreano ha deciso di sottoporre il problema ad un’altra organizzazione internazionale durante la riunione delle Parti Contraenti della Convenzione e del Protocollo di Londra, presso la sede dell’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) a Londra, il 7 ottobre , dove è stata discussa la possibilità dello scarico di acque radioattive da parte del Giappone. Finora, la Convenzione di Londra e il Protocollo di Londra si erano concentrati solo sugli scarichi di rifiuti e sostanze inquinanti effettuati da navi, ma la Corea del Sud ha presentato una richiesta per includere nell’agenda ufficiale il problema dell’inquinamento causato dallo scarico [da terra] di acque contaminate. Il rappresentante sudcoreano presente alla conferenza, il responsabile politico del Ministero degli Oceani e della Pesca, Song Myeong-dal, ha sottolineato che il Giappone deve discutere questo problema con i paesi vicini e con la comunità internazionale, fornendo tutte le informazioni necessarie. Tuttavia, il Giappone e i leader dell’IMO hanno mantenuto la loro posizione, secondo cui il problema dovrebbe essere risolto presso l’AIEA ed hanno solo espresso la volontà di fornire dati pertinenti.

In ogni caso, la Corea del Sud considera questo risultato una vittoria. Innanzi tutto, la questione è stata messa all’ordine del giorno in una lunga discussione multilaterale. In secondo luogo, il Giappone si è impegnato a rendere accessibili al pubblico tutti i dati disponibili. Di conseguenza, la comunità internazionale sarà ora in grado di imporre misure restrittive, se l’acqua contaminata verrà rilasciata in acque internazionali.

La Corea del Sud ha continuato ad esprimere serie preoccupazioni sui piani del Giappone per lo smaltimento delle proprie acque radioattive. Come aveva detto nell’ottobre 2019 un portavoce del ministero degli Esteri, “il Ministero degli Affari esteri ed altri organi governativi competenti stanno ancora prendendo in considerazione misure per impedire a Tokyo di compiere un’azione così dannosa per l’ambiente.” Inoltre, “bisogna affrontare l’accresciuta preoccupazione del pubblico sul rilascio di centinaia di tonnellate di acqua contaminata nell’oceano e, a questo proposito, sono in corso particolari ispezioni su navi che hanno imbarcato acqua di zavorra nei pressi Fukushima, con la perfida intenzione di scaricarla in acque coreane.

Insieme a tutto il trambusto sull’inquinamento delle acque, la Corea del Sud sta alimentando la radiofobia anche in altri settori. Tra il 2014 e il 2019, gli organismi di regolamentazione della Corea del Sud avevano rilevato, per 35 volte, radioattività in 17 diversi tipi di prodotti alimentari importati dal Giappone nella Repubblica di Corea. In totale 16,800 kg di cibo contaminato. Lo aveva riferito il 29 agosto un membro del Comitato Parlamentare per la Salute e il Benessere della Corea del Sud, Chang Jung-sook, che aveva citato i dati del Ministero per la Sicurezza Alimentare e Farmaceutica della Corea del Sud. I prodotti alimentari risultati contaminati includevano cioccolato, noci e prodotti alimentari trasformati contenenti frutta in guscio, caffè torrefatto, estratto di mirtillo, frutti di mare e altre categorie alimentari. KBS [la TV coreana] aveva reso noto che alcuni di questi prodotti erano di marchi conosciuti, venduti nei negozi alimentari di prodotti giapponesi della Corea del Sud. È stato poi scoperto che alcuni dei prodotti provenivano da otto prefetture giapponesi da cui Seoul aveva imposto il divieto di importazione per i frutti di mare. Il divieto era stato imposto a causa della stretta vicinanza di queste prefetture al sito del disastro nucleare di Fukushima del 2011. Il Ministero per la Sicurezza Alimentare e Farmaceutica ha rassicurato il pubblico sul fatto che i prodotti alimentari giapponesi venduti nella Corea del Sud hanno superato tutti i test di rilevamento delle radiazioni e sono perfettamente sicuri.

Il governo sudcoreano ha risposto ordinando ispezioni su larga scala sui frutti di mare importati per accertarne i luoghi di produzione, allo scopo di fugare le preoccupazioni del pubblico sulla loro pericolosità per il consumo umano. A questo proposito, il governo dovrebbe controllare oltre 3 mila tra ristoranti, grandi magazzini, mercati e aziende di trasformazione alimentare. Otto tipi di generi alimentari saranno al centro dell’ispezione, tra cui il luccio sauro, l’anguilla, il polpo e il merlano nero. Se il pesce viene venduto senza che sull’etichetta sia riportato il luogo di produzione, il venditore avrà una multa che potrà arrivare fino a 9 mila dollari e, se viene indicato un luogo di produzione falso, l’autore del reato verrà sanzionato con un’ammenda fino a 130 mila dollari e con una condanna fino a 10 anni di carcere.

Mentre le Olimpiadi di Tokyo 2020 si avvicinano, l’ambasciata giapponese nella Corea del Sud ha risposto alle preoccupazioni sul fatto che la regione di Fukushima sia un ambiente poco sicuro, confrontando sul suo sito Web i livelli di radioattività di Seoul con quelli della città di Fukushima, dove qualche anno fa si era verificato il disastro nucleare.

I rapporti dei media russi hanno anche notato che livelli di radiazioni paragonabili alla radiazione naturale di fondo erano già stati registrati nel 2017, il che non sorprende. Per il momento, Tokyo ha in programma di organizzare partite di baseball e softball “su terreni contaminati” e di assicurare il servizio ristoro di questi eventi con prodotti alimentari a base di ingredienti coltivati nella regione.

In conclusione, ecco il nostro riassunto e i punti chiave.

• Ci sono motivi di preoccupazione sulla possibilità di inquinamento marino, ma c’è un quesito da risolvere: come facciamo a sapere che il Giappone sta davvero per scaricare nell’oceano l’acqua contaminata? Anche le dichiarazioni sulla possibilità che il Giappone prenda questa decisione non equivalgono ad una linea di condotta già approvata.

• Inoltre, tutto quello che sappiamo sulle probabili intenzioni del Giappone proviene da fonti coreane, che di solito fanno riferimento ad “un solo quotidiano,” senza specificare il nome della persona citata o la data. Ciò che sappiamo, tuttavia, è che il governo giapponese ha annunciato che entro il 2020 costruirà ulteriori strutture di contenimento, che aumenteranno il volume totale di stoccaggio, portandolo a 1,37 milioni di tonnellate.

• Tokyo non sta dando alla comunità internazionale nessuna risposta concreta. Tuttavia, questo non significa necessariamente che il Giappone abbia un piano segreto per tacere e scaricare di nascosto l’acqua radioattiva, ma potrebbe indicare che non esiste una risposta concreta. Si potrebbe sostenere che la “preoccupazione” di Seoul non si basa su fatti o prove scientifiche.

• Dobbiamo essere consapevoli del fatto che l’opinione pubblica viene manipolata, trasformando il “si sta discutendo della possibilità” in “c’è un piano che sarà sicuramente portato a termine.”

• In ogni caso, la Corea del Sud continuerà a sollevare il problema. Per citare Mun Mi-ock, “Nel frattempo, alcuni funzionari di alto livello del governo giapponese hanno di recente iniziato a dichiarare che gli scarichi marini sono inevitabili, se si vuole affrontare il problema dell’acqua contaminata di Fukushima. Se venisse scaricata nell’oceano, la gestione delle acque contaminate di Fukushima non sarebbe più una questione interna del Giappone, ma diventerebbe un grave problema internazionale, che potrebbe danneggiare l’ecosistema marino globale.”

Konstantin Asmolov

Fonte: journal-neo.org
Link: https://journal-neo.org/2019/12/29/dumping-radioactive-water-into-the-pacific-ocean-a-hypothetical-scenario-for-tokyo/
29.12.2019

 

Scelto e tradotto per comedonchisciotte.org da MARKUS

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