di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Spesso ci chiediamo chi tra i paesi europei abbia spinto di più per costruire questa unione monetaria, rappresentata dal sistema-euro, oggi dimostratasi più che mai di stampo coloniale e con finalità del tutto predatorie.
Alla domanda ci sentiamo spesso rispondere che la moneta euro è stata creata e resa funzionale a precisi interessi della Germania, ossia per permettere di sviluppare la sua politica mercantilista senza affrontare il fisiologico problema di un cambio forte, elemento penalizzante per chi vuole andare forte nell’export.
Se guardiamo però alla realtà storica presente nel DNA di certi paesi ed a quello che tutt’ora, gli stessi, fanno in giro per il mondo, non possiamo che puntare il dito sulla Francia, nell’indicarla come lo stato europeo più attivo nell’usare la “camicia di forza” dello strumento del cambio fisso a fini colonizzatori.
I francesi costruirono il loro impero coloniale (uno dei più vasti della storia), in Asia, Africa ed America Settentrionale tra il XVII ed il XX secolo. Le colonie rimasero possedimenti francesi fino alla seconda metà del Novecento, quando di fronte alle forti contestazioni prevenienti dalla nascita dei movimenti anticolonialisti, le autorità francesi non riuscirono ad evitare la disgregazione del loro impero.
E’ chiaro che, quando analizziamo i fenomeni tipici riguardanti gli interessi del potere, dobbiamo sempre distinguere quello che viene dato in pasto alla gente da quello che poi avviene nella realtà. La fine dell’impero coloniale francese fu solo di facciata, perché a tutt’oggi la Francia controlla, gestisce e saccheggia l’economia di 14 paesi africani attraverso l’emissione diretta della moneta rappresentata dal franco francese delle colonie (CFA).
Il sistema ormai è sempre lo stesso, con la scusa di proteggere il paese dalla svalutazione della propria moneta e la paura prospettata di non poter commerciare con il mondo, si costringono – a volte con la forza, spesso con la compiacenza dei governi corrotti – i paesi ad entrare nella trappola del cambio fisso.
Fu così che dopo gli accordi di Bretton Woods, si decise di creare un’unione monetaria della quale a tutt’oggi fanno parte 14 paesi africani ripartiti in seno all’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (UEMOA) e alla Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale (CEMAC). Alle quali si aggiungono le Comore. In tutto sono circa 155 milioni di persone ad usare il franco CFA.
Cambio fisso, unione monetaria per proteggerci dall’inflazione e “poter comprare il petrolio”: non vi ricorda esattamente il “refrain” che, politici e stampa di regime operanti nel nostro paese, ci hanno ripetuto all’infinito per convincerci a entrare nell’euro?
Il CFA, un tempo ancorato al franco francese, oggi è ancorato all’euro secondo una parità fissa decisa dalla Francia. In cambio, i Paesi che l’adottano sono obbligati a depositare il 50% delle loro riserve valutarie presso il Tesoro di Parigi.
È sempre nella capitale francese che sono stampate le banconote, che poi vengono inviate migliaia di chilometri più a Sud, alle banche centrali dei singoli stati.
Essendo il franco delle colonie agganciato all’euro, la sua stabilità è certamente garantita come è altrettanto garantito che quei paesi, per far quadrare le loro economie, dovranno svalutare i salari e rendere i loro lavoratori degli schiavi al servizio dello straniero e dei poteri locali. L’indicizzazione fa sì poi che la moneta sia particolarmente forte, il che facilita le importazioni, ma di contro, però, sono i prodotti locali esportati all’estero ad essere penalizzati.
Non ci crederete, ma anche a questi paesi è stata imposta, in modo arbitrario la disciplina di bilancio in vigore nell’Unione Europea. In altre parole, i paesi membri del franco CFA sono tenuti – ad esempio – a rispettare il vincolo del 3% nel rapporto tra deficit e Pil. Esattamente come disposto per economie decisamente diverse come quelle della Francia, della Germania o dell’Italia.
Qualora i Paesi africani dovessero eccedere tale percentuale, scatterebbero delle sanzioni. L’imposizione arbitraria di un tetto alla spesa pubblica frena i finanziamenti alle politiche governative, già esigui. Tutto ciò riduce le capacità di intervento e anche il peso politico, economico e sociale del potere pubblico.
Ora, anche i meno svegli, credo comincino a comprendere come la stessa identica cosa sia avvenuta nel continente europeo.
Se il vincolo del 3% (una invenzione francese) – che come sappiamo non ha nessuna valenza a livello di dottrina economica – oggi sta creando estreme difficoltà perfino a nazioni molto sviluppate come la Germania, come possiamo pensare che possa essere applicato in modo identico a nazioni macro-economicamente quasi agli antipodi. La Costa d’Avorio, ad esempio, è tra i paesi dell’Africa francofona, che presentano i dati finanziari migliori. Eppure, tra i suoi 24 milioni di abitanti il tasso di povertà è ancora del 46,3% (dato del 2015).
In questi paesi, gli oppositori di questa moneta non lesinano critiche; l’economista del Benin Kako Nubukpo ha parlato senza mezzi termini di «schiavitù valutaria». Puntando il dito proprio contro l’obbligo di trasferire la metà delle riserve al Tesoro francese. «Esso impedisce le trasformazioni strutturali che sarebbero necessarie nel Continente. È per questo che la questione della sovranità monetaria è cruciale», ha spiegato. [1]
Anche l’economista guineano Carlos Lopes, quando era vice-segretario generale dell’Onu, aveva criticato aspramente il franco CFA. «Il meccanismo – aveva spiegato in un’intervista alla radio RFI– deve essere dinamico». Al contrario, oggi, è incapace di «rispondere al sistema economico globale». E sebbene gli scambi internazionali siano importanti, «i consumi interni sono ormai la componente più importante della crescita» nei Paesi che adottano la moneta.
Sembrano le stesse identiche parole che gli oppositori dell’euro pronunciano da anni!
A più di 70 anni dalla sua introduzione, questa unione monetaria è ancora in piedi e funzionale a garantire un quadro sicuro in una zona nella quale la Francia ha molti interessi economici e legami commerciali. E’ innegabile che tutto ciò facilita gli investimenti delle imprese francesi in Africa.
L’importanza strategica nel tutelare i propri interessi in questi paesi è evidente, ed a confermarlo sono i 50 interventi militari che l’esercito francese ha fatto negli ultimi 30 anni in questi luoghi. [2] – Negli ultimi 50 anni, in 26 paesi africani si sono verificati 67 colpi di stato, il 61% nei paesi francofoni.
Il più clamoroso e rappresentativo di uno scandalo internazionale tutt’ora da chiarire, fu l’uccisione ad opera dei francesi del leader libico Muammar Gheddafi. Da uno scambio di mail pubblicate da Wikileaks tra Sidney Blumenthal, ex assistente di Bill Clinton, e Hillary Clinton emergerebbe in modo chiaro che la Francia attaccò la Libia nel 2011 solo per meri interessi economici e per salvaguardare il franco CFA che condiziona la vita politica ed economica di tutte le ex colonie francesi in Africa. [3]
Blumenthal comunico’ a Hillary Clinton il piano di Gheddafi per stabilire una nuova moneta panafricana da poter fornire ai Paesi africani al posto del franco CFA. Alla scoperta di tale piano da parte dei servizi segreti francesi, sempre secondo Blumenthal, Nicolas Sarkozy decise di impegnare la Francia nell’attacco alla Libia.
Ecco uno stralcio della mail di Sidney Blumenthal tradotta in italiano:
“(…) Secondo le informazioni disponibili, il governo di Gheddafi detiene 143 tonnellate di oro e una quantità simile in argento. Verso la fine del mese di marzo 2011 questi stock sono stati spostati nel Sabha (sud-ovest in direzione del confine libico con il Niger e il Ciad); presi dai caveau della Banca centrale libica a Tripoli. [3 ibidem]
Questo oro è stato accumulato prima dell’attuale rivolta e doveva essere utilizzato per fondare una moneta panafricana basato sul Dinar libico. Questo piano è stato progettato per fornire ai Paesi africani francofoni una alternativa al franco francese (CFA).
Gli ufficiali dei servizi segreti francesi hanno scoperto questo piano poco dopo l’inizio dell’attuale rivolta, e questo era uno dei fattori che hanno influenzato la decisione del presidente Nicolas Sarkozy di impegnare la Francia nell’attacco alla Libia (…)”.
Questa mail – finora mai smentita – dimostrerebbe che il neocolonialismo francese è ancora attivo e presente in Africa e condiziona la vita economia di molti Paesi e di milioni di cittadini.
Il problema dei flussi migratori provenienti dall’Africa è una diretta conseguenza di queste politiche neocoloniali e mai sarà risolto finché non restituiamo loro l’indipendenza economica.
Guardate questo breve documentario trasmesso su Rai 2 (cliccate sull’immagine sotto)
Ascoltando il video emerge chiaramente come il 50% di tutte le riserve valutarie (dollari, sterline, euro, ecc.) che arrivano in Africa, addirittura anche gli aiuti umanitari, rimangono depositati presso le casse francesi – a confermarlo è lo stesso prof. Kako Nubukpo, ex ministro in Togo.
Gli inviati di Rai 2, non avendo ricevuto risposte in merito dalle autorità francesi ne’ conferma sul sito della Banca centrale di Francia, hanno deciso di interpellare il prof. Massimo Amato dell’università Bocconi, esperto di moneta, per farsi spiegare nel dettaglio cosa comporta per la Francia l’essere la cassaforte di questi paesi.
Il docente, afferma senza mezzi termini che sul conto francese dove sono depositati questi soldi a garanzia della parità con l’euro, ci sono in media 10 miliardi di euro, che vengono investiti in titoli del debito pubblico francese.
Questi soldi – aggiunge Amato – contribuiscono a finanziare il debito pubblico francese e conclude il giornalista con il seguente paradosso: “Non è la ricca Francia ad alleviare il debito africano, ma i poveri africani a sostenere quello francese”.
E’ chiaro che le parole del professore della Bocconi e le conclusioni del giornalista, sono affette dal “dogma” secondo il quale uno stato monopolista abbia bisogno di chiedere in prestito i soldi con cui finanziare il suo debito pubblico.
Noi sappiamo che non è così! La Francia, sia quando aveva il Franco, sia oggi con l’euro, non ha nessuna necessità dei soldi africani per finanziare il suo debito pubblico, stante la garanzia prestata dalla BCE.
Quindi l’importanza strategica del CFA, va ricercata negli enormi interessi delle oligarchie francesi. In termini economici, secondo il Consiglio francese degli investitori in Africa (CIAN), sono presenti «mille imprese, con 80mila collaboratori». Il tutto per un giro d’affari pari a 40 miliardi di euro all’anno.
Il tutto in un periodo in cui gli investimenti cinesi in Africa sono arrivati a 60 miliardi di dollari. «Infrastrutture, telecomunicazioni, energia, gestione dell’acqua sono i settori in pieno boom sui quali punta Parigi», aggiunge La Dépêche.
Basti pensare a grandi gruppi come Total, il cui 31% della produzione proviene proprio dalle nazioni africane. O a Bolloré, colosso del settore dei trasporti e della logistica, che è presente in 45 Paesi del continente.
In definitiva, la costruzione di questa Unione Europea, che tante sofferenze ha provocato e tutt’ora provoca ai popoli che ne fanno parte, è stata costruita esattamente con gli stessi principi e le stesse modalità con cui i francesi hanno portato fame, disperazione ed emigrazione nei paesi africani da loro colonizzati.
Un modello universale di saccheggio in atto anche nel nostro paese, al quale certamente hanno contribuito e collaborato nel loro esclusivo interesse, tutti gli appartenenti ai poteri profondi che agiscono indisturbati all’interno della protezione fornita loro dalle nostre istituzioni (ormai non più democratiche), oggi da loro stessi direttamente controllate.
di Megas Alexandros
Fonte: Il Franco delle Colonie (CFA): la UE africana gestita dai francesi…. – Megas Alexandros
Note:
[1] Franco CFA: cos’è, come funziona e perché non è solo un’eredità coloniale (valori.it)
[2] Les trois enjeux de la France en Afrique – ladepeche.fr