DI MASSIMO FINI
Ai vecchi tempi Terri Schiavo avrebbe reso l’anima a Dio quindici anni fa quando un precocissimo infarto, dovuto molto probabilmente a una feroce cura dimagrante che aveva portato il suo peso da 90 chili per un metro e sessanta d’altezza a 50, le ha leso le funzioni cerebrali. Aveva 26 anni. Da allora è tenuta in vita artificialmente, in un’ospedale della Florida, con una sonda gastrointestinale che la nutre.
Poiché i medici non volevano saperne il marito della Schiavo, Michael, dopo otto anni di questa vita-non-vita, chiese l’autorizzazione a staccare la spina alla magistratura locale che gliela accordò. Ma i genitori di Terri si opposero. La battaglia legale è durata sette anni finché, nei giorni scorsi, la magistratura della Florida ha dato il responso definitivo (o almeno così sembrava): il marito di Terri era autorizzato ad ordinare ai medici curanti di staccare il tubo gastrointestinale e a lasciar morire la donna.Ma nel frattempo la vicenda di Terri Schiavo è diventata un caso nazionale. Davanti all’ospedale stazionano gli attivisti “pro life”, in genere evangelici, elettorato in cui pesca George Bush, e sostenitori dell’eutanasia, in genere democratici.
Con una procedura unica nella storia americana, il Congresso si è riunito d’urgenza nottetempo – il tubo gastrointestinale era stato infatti staccato a Terri – e ha varato una legge “ad personam” che consente ai genitori di Terri, che in realtà non avrebbero alcun titolo essendo il marito il rappresentante legale e il tutore della donna, di fare un nuovo ricorso, non però al Tribunale statuale della Florida ma a quello federale. Per firmare in tempo questa legge eccezionale il presidente Bush è rientrato precipitosamente alla Casa Bianca dal suo ranch in Texas. Proprio ieri il giudice federale di Tampa, James Wilthemore, ha ribadito la sentenza del magistrato locale: la spina può essere staccata. Ma la storia non è finita – perché i genitori di Terri faranno ricorso – e potrà andare avanti per anni.
Per sgombrare il terreno dagli equivoci chiariamo subito che quello di Terri Schiavo non è un caso di eutanasia. Che cos’è infatti l’eutanasia (il termine risale, pare, a Bacone) o “diritto alla buona morte”? È un particolare tipo di omicidio che si ha quando taluno, su richiesta del malato, esplicita, tacita o presunta (e in questo caso siamo nell’ambito dell'”omicidio del consenziente”, vietato, per esempio nella nostra legislazione), o anche senza sua richiesta, e qui siamo di fronte a un omicidio puro e semplice, lo sopprime per evitargli sofferenze divenute intollerabili e senza senso. L’eutanasia, come qualsiasi altro omicidio, può essere attuata con un’azione (per esempio un’iniezione letale) o anche, ovviamente, con un’omissione (per esempio non si dà più cibo ed acqua al malato).
Terri, decerebrata, probabilmente non soffre, ma è tenuta in vita da speciali macchinari (il tubo gastrointestinale che le fornisce cibo ed acqua). Se fosse cosciente non c’è dubbio che potrebbe rifiutare l’ausilio di questo macchinario speciale, così come ogni malato ha diritto a rifiutare qualsiasi tipo di cura (nessuno può essere curato contro la sua volontà). Ma Terri non è cosciente e la decisione spetta al marito che ne ha la tutela legale. Se fa rimuovere quel tubo è eutanasia, è cioè un omicidio, sia pure compiuto a fin di bene? No, perché in questo caso non c’è nessuna azione od omissione che sia causa di morte, c’è semplicemente il rifiuto di speciali macchinari che allungano artificiosamente e artificialmente una vita che altrimenti sarebbe naturalmente conclusa. L’azione intrusiva, l’azione attiva, se così possiamo esprimerci, è avvenuta prima, quando l’équipe ospedaliera ha utilizzato quegli speciali macchinari, quella sonda gastrointestinale, alterando il decorso naturale della vita e della morte di Terri. Togliere quella sonda significa restituire Terri a quel decorso, restituirle il diritto alla sua morte naturale, non significa ucciderla. È il fatto che sia il tubo gastrointestinale ad alimentarla a confondere le idee (“la si fa morire di fame e di sete”) e a far pensare che ci si trovi di fronte a un caso di eutanasia per omissione. Ma quel cibo e quell’acqua non arrivano a Terri in modo normale ma attraverso una macchina e ciò che le viene tolto non è quindi il cibo ma il macchinario, ripristinando così la situazione naturale, la vita naturale, la morte naturale. Tenere in vita Terri solo grazie a questi macchinari è quindi accanimento terapeutico e ciò che le viene garantito, togliendoglieli, non è il “diritto alla buona morte” (eutanasia), che non esiste nell’ordinamento americano come in quello italiano, ma il diritto alla morte naturale.
Resta il fatto che da quando si è imposta la medicina tecnologica una serie di soggetti cercano di impadronirsi, e in realtà si impadroniscono, della nostra morte. Le équipe ospedaliere, i familiari, i giudici e adesso anche gli uomini politici attenti al proprio elettorato e quindi alle opinioni pubbliche. Come per Gesù o per Barabba la nostra vita e la nostra morte dipendono dalle opinioni pubbliche, sono decise per assemblea. Mai si era assistito, in quei passati che pur, con arroganza, chiamiamo “bui”, a una simile espropriazione dei diritti individuali, anche i più elementari. Non siamo più padroni della nostra morte (si pensi, per esempio, alle inaudite pressioni cui sono state sottoposte, da noi, quelle donne che hanno rifiutato di farsi amputare perché non volevano sopravvivere in condizioni degradanti ed umilianti). Ed è un bruttissimo segno. Perché se non siamo padroni della nostra morte vuol dire che non siamo più padroni nemmeno della nostra vita.
Massimo Fini
Fonte:www.ilgazzettino.it
23.03.05