Il capitalismo consumistico e la spiritualità dell’uomo, ovvero affermazione ed estinzione del mondo

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Di Andrea Grieco

Comedonchisciotte

Il delirio capitalistico-consumistico, dopo essere stato imposto a suon di bombe, pubblicità e televisioni, ha oramai infettato il mondo intero (con i suoi sette e passa miliardi di individui). Il capitalismo è globalizzato e la sua caduta sarà una catastrofe senza precedenti. Viviamo in una realtà virtuale fatta di media, tv, computers e social networks, che ci mantengono isolati e ci paralizzano davanti agli schermi, facendoci prendere le ombre per cose reali (situazione simile agli uomini della caverna di Platone).

Per evitare di farci male, tanto per cominciare, dovremmo smontare materialmente il sistema economico in vari modi, a partire dal modificare i paesaggi corrotti dall’architettura dell’industria e del commercio (l’architettura è la prima forma con cui si esprime una società nelle sue relazioni umane: questo lo aveva compreso bene Pasolini quando realizzò il film documentario “Le mura di Sana’a”).

Molti, tuttavia, non coscienti della gravità della situazione, accennano a parlare di ripresa economica, la quale, così come viene normalmente interpretata, è una semplice parodia con cui si divertono i buffoni, i prestidigitatori e gli illusionisti politici, i quali non hanno altro compito che tenere a bada la folla, usando una tale fanfaronata a mo’ di specchietto per le allodole.

Per chi sa vedere le cose in profondità, stiamo vivendo una catastrofe, che è di vecchia data, in cui sono coinvolte almeno quattro generazioni (ed ora anche la quinta nata in questo ancora giovane XXI secolo).

L’idea giudaico-cristiana, affermatasi in occidente da quando il monoteismo ebraico ebbe la meglio sul paganesimo greco, nella quale si porta avanti quella visione malsana di un Dio antropomorfo con l’uomo considerato essere superiore a tutte le creature, le quali si pretende vivano in sua funzione (di modo che egli possa disporne a piacimento); questa idea – dico – è stata rafforzata e resa concreta a partire dalla prima rivoluzione industriale, acuita con la seconda e perfezionata con quella tecnologica, telematica, informatica e cibernetica.

Essa si affermò di fatto quando la produzione, da agricola-artigianale, si trasformò in industriale e tecnologica.

Con le suddette rivoluzioni l’uomo non solo si è allontanato dalla natura, alienandosela, ma ha fatto sì che la produzione non fosse più in relazione con i suoi cicli e nel rispetto dei suoi tempi e dei suoi elementi, bensì in un rapporto coatto e artificioso dettato dai mercati e dalle esigenze del profitto.

Attraverso quell’incessante, ansiosa e smaniosa fabbricazione di oggetti inutili, si è avuta l’illusione del progresso e della felicità in Terra, illusione accompagnata dalla volontà di potenza concentrata e sbilanciata nel senso materialistico-consumistico.

Come se ciò non bastasse, tale illusione è andata rinforzandosi e solidificandosi con la cultura filosofica, che, come una sua appendice, si è agganciata al modello economico materialista, di modo che ora tutto ripiega nel nefasto materialismo (storico e dialettico), attraverso il trionfo della scienza e della tecnologica.

A causa di ciò siamo al paradosso che l’uomo non è più al centro di nessun sistema (come lo era nella cultura umanistica, anche contadina e artigianale), bensì ai margini di un sistema economico che lo ha reso succube, travolto dalla finanza e dalla macchina tecnologica.

Se si guarda la vita in senso strettamente materiale, l’uomo diventa una nullità di fronte all’infinità cosmica; se invece la si guarda dal lato spirituale le cose cambiano: in questo caso è l’infinità cosmica a trasformarsi in nullità (secondo la lezione di Kant).

La prima prospettiva, tuttavia, è illusoria, una fantasmagoria insensata; poiché l’uomo, alla fine dei giochi, è e resta al centro.

Allo stesso modo che l’idea di un “automovimento dialettico dei concetti” ci si rivela una delle più grosse puttanate della filosofia (hegeliana), poiché dietro il movimento di ogni concetto ci sarà pur sempre una mente che lo dovrà pensare; così l’idea di un sistema economico-produttivo, di un mercato indipendente (dalla mano umana e dipendente da quella invisibile di Adam Smith) è la mega stronzata dei nostri tempi (moderni), la quale è stata fatta passare impunemente e accettata senza indugi da un esercito di gonzi e alienati (professori, accademici, studenti, politici etc.).

Nessuno si accorge che dietro questa presunta indipendenza del mercato c’è sempre l’uomo che crea e irrora il sistema, il soggetto che lo fa nascere, lo implementa e lo alimenta; c’è ognuno di noi che, in definitiva, in modo più o meno cosciente, ne partecipa attivamente.

Il sistema capitalistico-consumistico non è nient’altro che l’elevazione a più alta potenza, da parte dell’uomo, della ruota della natura.

Il capitalismo, come tutti i sistemi, certamente avrà una fine; ma, essendo ciclico, ha bisogno di più rinascite per estinguersi. Esso, infatti, è nato e prospera con l’uomo, dalla sua avidità (sebbene agli albori non aveva l’aspetto odierno, andandosi trasformando nel tempo), e con l’uomo si estinguerà.

Ora, tutti i sistemi, in quanto artifici umani, tendono al suicidio, perché rispondono né più né meno ai programmi insiti nella natura: non potrebbe essere diversamente. La natura non può uscir fuori di se stessa, essa si muove in un circolo vizioso nel quale tutto ricade nel suo grembo; ogni cosa vivente viene riassorbita dalla natura attraverso la morte: questa è la legge.

La natura è un ciclo chiuso, nel quale gli opposti si sostengono. Ciò si presenta a noi come una contraddizione (la quale è tale per la mente razionale), in cui si ha che vita e morte sono intrecciate e costituiscono due facce di una medesima medaglia, esattamente come bene e male, bianco e nero, luce e oscurità.

Non può esserci vita senza morte, né bene senza male, né bianco senza nero, né luce senza tenebre. In questo senso gli opposti rappresentano l’unità che si esprime attraverso la contrapposizione, l’unità nella dicotomia e la dicotomia nell’unità. Ecco come gira la gran giostra del mondo; ecco come si tiene in piedi lo spettacolo multiforme e variopinto della vita.

Di questa verità, invero, ci avevano già avvertiti le profonde e millenarie dottrine dell’antica India (la filosofia Vedanta); il Buddha; Eraclito; Platone (quando parlava della diade); Kant (quando contrapponeva il fenomeno alla cosa in sé); Schopenhauer (quando parlava di spezzettamento della volontà e della rappresentazione quali efflorescenze di un’unica e identica volontà di vivere).

Ora il problema è questo: cosa deve fare l’uomo quando raggiunge il più elevato grado di saggezza, continuare e rafforzare codesto ciclo innalzandolo a sistema per i suoi scopi (per lo più egoistici) oppure spezzarlo?

Nella nostra società viviamo in una situazione drammatica. Il sistema economico fondato sul consumismo, che incita alla crescita dei desideri materiali, è stato costruito artificialmente non solo per depotenziare l’idea della democrazia (che non è mai esistita), ma soprattutto per depotenziare la spiritualità degli uomini e chiuderli nella stanza dei giocattoli (esattamente come si fa con i bambini per tenerli a bada). L’uomo che trotta per produrre i giochini delle multinazionali non pensa a ciò che fa, anzi non pensa affatto, non potendo vedere oltre il suo portone di casa; e pertanto lo si può indirizzare, controllare, sfruttare e manipolare a piacimento, giacché non intende le ragioni del suo operare, non comprende il senso del suo lavoro. Egli vede solo il guadagno immediato, lo stipendio, così come l’imprenditore vede esclusivamente il profitto della sua azienda. Soprattutto l’individuo non si interroga e non si impegna a cercare la realtà delle cose oltre la materia, e nemmeno una verità quale scopo superiore della vita. Ecco ciò che il sistema vuole. È la volontà del male.

In questo gioco c’è sempre la vecchia tendenza umana di sopraffazione dei pochi sui molti. Non è una novità, poiché, come dice giustamente l’Ecclesiaste, non c’è nulla di nuovo sotto il sole.

La struttura produttiva del sistema è stata voluta e sviluppata in tal senso allo scopo di favorire e agevolare quel controllo di cui si è detto. Nei tempi moderni, in particolare, è stata messa in piedi, qui in Europa, col piano Marshall, dopo la sconfitta della II guerra mondiale di Germania, Italia e Giappone, per piegare nazioni come l’Italia alle richieste energetiche ed economiche della macchina anglo-americana (quindi, detto per inciso, capiamo bene l’impossibilità e l’ingenuità di Mattei di riuscire nella sua pretesa – seppur nobile – di fare accordi diretti con i petrolieri arabi).

Non solo c’è la gestione dell’economia finanziaria da parte di una casta apolide di banchieri e finanzieri privati con l’intenzione di controllare le attività produttive, ma anche quella dell’energia e della produzione alimentare, nonché delle comunicazioni, da parte delle multinazionali, con il fine di tenere gli uomini schiacciati materialmente e mentalmente.

Il controllo è effettivamente totale: pochi si accorgono che basta un nonnulla, in queste condizioni, una finta pandemia per mettere in ginocchio nazioni intere e in tempi rapidi: è spaventoso.

Il capitalismo consumistico odierno, nella sua strutturazione di radicamento materiale e culturale, necessita del sistema produttivo militare-industriale, in modo da garantire un controllo totale del mondo. Oggi abbiamo intere metropoli la cui esistenza dipende dalle pompe idrauliche mosse da centrali nucleari: si ferma la centrale e non c’è più acqua da bere per milioni di individui. E la logistica alimentare ha la stessa struttura.

Dove non c’è autonomia dal sistema militare-industriale a livello di necessità di base, non c’è vera libertà. La tecnocrazia ha creato la possibilità dell’esistenza di sette miliardi di corpi fisici, e li tiene in ostaggio come suoi fedelissimi servitori: ostaggi di una programmazione industriale, di una struttura logistica, che distribuisce in modo verticistico e quindi dispotico i beni essenziali. L’esplosione demografica è infatti venuta appresso all’espansione industriale. L’industria poi si è creata una sovrastruttura, che è la finanza (ora mondialista), la quale è da considerarsi come ingegneria sociale, estorsione del consenso attraverso la leva dell’interesse privato dell’uomo, divenuto bottegaio speculatore.

La Borsa educa quotidianamente gli investitori a considerare numeri gli esseri umani. Lo stesso accadde con il comunismo come movimento “rivoluzionario”, dato che la fame di terra dei braccianti era il motore egoistico di tante “elevate” determinazioni ideali.

Lo strumento di potere diviene così fine a se stesso, e in ultimo travolge ogni ideale, e il fine diviene il puro galleggiamento della macchina del potere. L’ossessione per il controllo sociale è l’elemento principe; e perciò costoro studiano e tentano di prevedere il caos, facendone lo strumento in grado di affondare le barche altrui, in un’ottica che è totalitaria per necessità. La loro filosofia è stravincere, perciò tendono alla inclusività e alla fluidità algoritmica, che, al pari di un software (rigido controllo matematico degli accadimenti), deve rapportarsi col caos vitale. Quando si ciancia di economia si parla in realtà di galleggiamento di un sistema di potere e di algoritmizzazione del caos esterno. L’obiettivo è creare un mondo dispotico, dove ogni cosa è dipendente dalla grande macchina del sistema, poiché ciò significa ricattare gli umani che ci vivono dentro. E significa perciò tenerli in pugno, perché per la media delle persone l’esistenza è tutto un grande cieco ricatto, un mercato dove si compra e si vende ogni cosa.

Quando i gestori del mercato della materia umana divengono così potenti, da identificarsi con “il sistema globale”, si pongono fuori dagli enti percepiti, divengono il Dio del loro mondo artificiale, potente perché nascosto; non influenzabile perché invisibile, essendo il punto di equilibrio del sistema.

La massificazione e l’abbandono delle campagne da parte dei contadini ha favorito e agevolato tutto ciò, giacché gli animali immessi in canali e in gabbie strette si pilotano facilmente.

Quindi, cosa si deve fare?

Smettere in primo luogo di irrorare il sistema dal basso. Questo significa sacrifici e rinunce e un modo diverso di percepire la realtà, che deve essere un modo spirituale, non materiale. E’ chiaro che codesta, essendo una scelta radicale, come uno tsunami sconvolge tutto e in modo tale da attuare un crollo verticale delle società (quello delle torri gemelle è un’inezia), da cui – ammesso possa avvenire – non se ne uscirebbe certamente illesi.

A ben vedere, la visione materialistica della vita, non solo è falsa ed insensata sotto l’aspetto teoretico [quelle teste vuote dei fisici del CERN – hai voglia ad accelerare particelle per scorgervi quella indivisibile e svelare così i disegni di Dio (qui in realtà è chiara l’intenzione militare dell’attività)], ma del tutto dannosa soprattutto dal punto di vista pratico, poiché piega l’essere umano nel vizio, lo tiene sempre più strettamente legato nella morsa del bisogno (quando lo scopo è l’opposto, ossia la liberazione dal bisogno).

Pertanto, la forma non può essere che quella spirituale, quella che si pone sopra e al di là della materia. Questa non ha alcuna utilità pratica, non cerca alcun profitto, giacché è antagonista alla materia, e perciò non può essere vista dal sistema; è invisibile per sua natura (questa è la vera stealth, non però tecnologica e nemmeno mimetica nel senso degli animali). Essa cerca solo la sua realizzazione in una dimensione che trascende la fisicità espressa dal mondo, in una manifestazione che non è più volontaristica in senso stringente, bensì nolontaristica, schopenhauerianamente intesa. Ecco il punto.

Ma ciò non è possibile attuarlo con questa umanità, perché non capirebbe. Sebbene la conoscenza di questi machiavellici meccanismi umani – vecchi di millenni – di cui stiamo discutendo, sia l’unico modo per rompere le catene della schiavitù, l’umanità reagirà con il suicidio (fisico, intellettuale o morale che sia). Pretendere che un grassone, che per decenni si è ingozzato a crepapelle, smetta improvvisamente di ingozzarsi, oppure che un fumatore incallito smetta di fumare, è cosa impossibile: entrambi sono nel vizio e col vizio periranno. Questa è un’umanità nata e sviluppata come prodotto dell’industria e della tecnocrazia, non solo cioè in quanto a forma mentis, ma anche in un senso antropologico: sono cambiate le facce e i corpi, come Pasolini aveva già messo in luce!

Tuttavia, la morte dell’umanità attraverso una catastrofe mondiale, sia essa una guerra, una pandemia o un cataclisma, è un evento tragico da evitare, che non salva spiritualmente nessuno: piuttosto va ad aggravare e rinforzare i processi del mondo. Una fine del genere è quella che viene definita la prima morte, faccia opposta della vita, quella di cui i diavoli hanno bisogno per rinforzare se stessi e il mondo: quindi diventa anch’essa funzionale al sistema della natura.

Bisogna fare molta attenzione. Qui siamo su un terreno molto delicato, su un piano in cui il bene e il male sono così strettamente intrecciati da non farsi riconoscere, e noi li confondiamo.

Bisogna aspirare e porre l’uomo di fronte alla verità dell’altra morte, la seconda, quella mistica che avviene nel segno e per conto della negazione della volontà; quella – per usare le parole di Francesco – dei beati nella gloria del Signore (“E beati saran quelli nella Tua volontà, che sorella morte non le farà male” (Il Cantico…)) e di cui ci parlano anche Plotino, Eckhart, Silesius e altri mistici cristiani.

Infatti, il mondo va santificato e redento: questa è la grande verità, la sua risoluzione. È per questo che esistono i Salvatori, che, in virtù della loro immensa compassione, si battono per la salvezza dell’umanità, malgrado non vengano ascoltati e siano sovente messi a morte.

L’estinzione del genere umano fa parte della prima morte, e bisognerebbe considerare l’ipotesi che essa potrebbe esserci già stata tante volte e si potrebbe sempre ripresentare. Ma in tal modo il processo creativo del mondo non tarderebbe a rifarsi, per ricominciare daccapo: ecco un nuovo kalpa che, come un anello, va ad aggiungersi alla catena dell’universo pulsante. Si ripete così un altro giro di giostra.

Ogni estinzione, per quanto radicale, è relativa se la volontà viene lasciata nella sua oscurità, non risolve nulla, non ferma il ciclo e sarà sempre preludio ad una nuova rinascita in altre e svariate forme, diverse – è vero – l’una dall’altra, ma identiche nella sostanza. La volontà, intesa nel senso schopenhaueriano, incatenata com’è nei ceppi della sua necessità, non può che affermare se stessa nel suo struggimento eterno: l’unica estinzione assoluta è quella indicata dal Buddha, che avviene nell’illuminazione, nel Nirvana.

C’è quindi bisogno di una presa di coscienza superiore, bisogna guardare al lato spirituale della vita (impresa oceanica per i bipedi di oggi, alias utopia).

Andrea Grieco

Fonte: Comedonchisciotte.org

20.12.2020

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