Big Serge
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Le rivoluzioni possono essere affari complicati. Spesso sono abbastanza ovvie ed è difficile non accorgersene: la Bastiglia viene presa d’assalto, lo zar viene messo agli arresti domiciliari o gli Inglesi sono costretti a lasciare la costa atlantica in disgrazia. L’agitazione politica e sociale che accompagna questi drammatici sconvolgimenti statali fornisce una catarsi per le popolazioni infuriate, una possibilità di carriera per gli ambiziosi e l’arrivo dell'”anno zero” del nuovo Stato, della nuova società e del nuovo uomo, a cui è permesso credere che tutto sia davvero cambiato. Questo tipo di rivoluzioni danno una bella sensazione, almeno per un certo periodo.
Paradossalmente, però, le rivoluzioni politiche di maggior successo tendono a essere quelle di cui nessuno se ne accorge.
Consideriamo, ad esempio, il curioso caso dell’Inghilterra, dove un decennio di guerre civili, regicidi e un breve interregno di Oliver Cromwell non erano riusciti a risolvere le tensioni tra la Corona e il Parlamento. A pochi anni dalla morte di Cromwell, la monarchia restaurata aveva emanato una legge sulla sedizione, che considerava reato anche solo suggerire che il Parlamento potesse governare senza l’assenso del re. I monarchi avevano continuato a porre il veto sugli atti del Parlamento fino al 1708, quando la Regina Anna aveva posto il veto alla legge sulla milizia scozzese. Da quel momento, nessun monarca britannico aveva più posto il veto su un atto del Parlamento – come mai? Nulla del meccanismo giuridico era stato formalmente modificato, nessuna testa era stata tagliata. Sotto il successore della regina Anna, Giorgio I, il potere reale aveva iniziato a diminuire gradualmente e lo spirito guida dello Stato si era concretizzato intorno ad un gabinetto guidato da Lord Robert Walpole, che, di fatto, era così diventato il primo Primo Ministro.
La rivoluzione di Cromwell non era durata. E nemmeno la controrivoluzione della monarchia restaurata. Quella di Walpole invece sì, ed era avvenuta in modo graduale e quasi indistinto per la gente comune dell’Inghilterra, come la proverbiale rana che viene fatta bollire lentamente.
Gli Americani, allo stesso modo, amano parlare della loro “Rivoluzione,” credendo ingenuamente che ce ne sia stata una sola. In realtà, l’America ha subito almeno quattro rivoluzioni. La prima, la più famosa e l’unica apertamente riconosciuta, aveva posto fine al dominio britannico, ma le rivoluzioni successive, quelle non riconosciute, hanno cambiato il sistema di governo americano non meno della prima.
La Guerra Civile Americana aveva costretto lo Stato ad espandere la propria capacità di far fronte agli sforzi bellici: per la prima volta lo Stato aveva venduto obbligazioni e imposto tasse sul reddito, creato nuove agenzie come il Bureau of Pensions e un primitivo Dipartimento dell’Agricoltura, e gli appaltatori governativi si erano moltiplicati mentre il governo faceva incetta di armi e rifornimenti. La rapida espansione della burocrazia federale aveva anche dato vita ad un sistema clientelare, in cui posti di lavoro e sinecure venivano distribuiti come favori politici – un concetto molto familiare agli Americani moderni, abituati allo scambio di cariche amministrative tra Washington DC e gli appaltatori della difesa di Baltimora e della Virginia settentrionale.
Le successive rivoluzioni americane si erano verificate negli anni ’30, quando la Grande Depressione aveva fornito lo spunto per il New Deal di FDR e per l’ulteriore metastatizzazione della burocrazia federale e dei suoi poteri (si veda il caso Wickard v. Filburn) e ancora negli anni ’60, quando la lotta per i diritti civili aveva aggiunto una nuova dimensione di litigiosità alla società. Il movimento per i diritti civili aveva come obiettivo il rovesciamento di un sistema di oppressione legale democraticamente stabilito nel Sud – una causa sicuramente degna, ma, per realizzarla, il governo federale aveva dovuto dare più potere a giudici e burocrati a scapito dei governi degli Stati del Sud, creando, di fatto, un apparato federale armato che, una volta smantellata la segregazione, non era affatto scomparso.
Lo scopo di questa digressione, che in verità è piuttosto lunga, non è il voler sbandierare i panni sporchi della storia politica anglo-americana, ma piuttosto sottolineare quello che ritengo sia un punto importante: il sistema politico di un Paese può essere radicalmente rinnovato senza lo spargimento di sangue che di solito pensiamo caratterizzi le rivoluzioni.
Tali “rivoluzioni silenziose” si sono verificate innumerevoli volte in innumerevoli luoghi, ma qui vorrei considerare le modalità con cui si erano verificate in Russia.
Guerra civile senza rivoluzione
Uno dei periodi più significativi della storia russa era stato il cosiddetto Periodo dei Torbidi (in russo, semplicemente “Смутное время” o “Tempi difficili”). Si era trattato di un periodo di quindici anni di guerre civili e di sconvolgimenti sociali generali verificatisi tra il 1598 e il 1613.
Le cause erano state molteplici. Alla base di tutta la situazione c’era un generale esaurimento del modello di sicurezza ed economico della Russia. Lo zar aveva concesso proprietà terriere alla classe militare in cambio dei loro servizi, ma, alla fine del 1500, il Paese era a corto di terreni agricoli produttivi e di contadini che lavorassero i campi. Di conseguenza, per i servitori militari era sempre più difficile far fronte alle spese (alcuni si erano persino venduti come schiavi temporanei) e i contadini erano sempre più duramente oppressi dai loro proprietari. Contemporaneamente, le aree urbane russe si stavano spopolando, poiché i residenti fuggivano per evitare le tasse (una peculiarità dello Stato russo dell’epoca era il fatto che il carico fiscale ricadeva quasi esclusivamente sugli abitanti delle città). Questa combinazione di cose era molto pericolosa: contadini risentiti e oppressi, città spopolate e impoverite e una classe militare asservita che resisteva a stento.
L’estinzione della dinastia regnante aveva fornito il fiammifero per incendiare l’intera miscela esplosiva. Lo zar, Feodor I, era mentalmente disabile (alcuni oggi sospettano la sindrome di Down) e incapace di generare un erede; la sua morte aveva fatto precipitare il Paese in una guerra civile catastrofica che aveva devastato tutte le contrade. I Torbidi erano stati all’altezza del loro nome in tutti i sensi: il Paese aveva dovuto subire il bizzarro spettacolo di una serie di zar impostori, che sostenevano tutti di essere “Dmitri,” il presunto figlio scomparso di Ivan il Terribile. Ogni volta che un Dmitri veniva ucciso, si materializzava un nuovo impostore che sosteneva di essere miracolosamente scampato alla morte. Alla fine, la Russia era stata invasa dalla Polonia e dalla Svezia e gran parte del Paese era caduto sotto il dominio di banditi armati. Dopo una lunga occupazione polacca Mosca era stata alla fine liberata da un esercito di cosacchi e milizie patriottiche.
Il Periodo dei Torbidi ricalca esattamente il profilo convenzionale di una rivoluzione politica. La dinastia al potere si era estinta, i successivi disordini e la guerra civile avevano visto la partecipazione di massa di quasi tutti gli strati della società. Il risultato finale dei disordini, tuttavia, era stato il totale ripristino del sistema politico alla sua forma precedente ai Torbidi. Michele Romanov era stato scelto come nuovo zar e la sua incoronazione e il suo regno accuratamente coreografati per segnalare la continuità con la vecchia dinastia (con cui aveva legami di sangue). Nonostante il fatto che la liberazione di Mosca e l’ascesa al trono dei Romanov fossero state rese possibili dalle classi inferiori, in particolare dai Cosacchi, il nascente Stato dei Romanov basava la sua forza sui principi e sugli aristocratici di alto rango (boiardi) e aveva speso molte delle sue energie per rimettere i Cosacchi al loro posto.
Il risultato era stata una guerra civile che si era conclusa con un accordo politico che non aveva cambiato nulla. Il desiderio, dopo tanto disordine e morte, era solo quello di riportare tutto come prima, e i primi Romanov si erano presentati come una continuazione del vecchio regime zarista. Il potere aveva continuato ad essere concentrato nelle famiglie aristocratiche che roteavano come costellazioni intorno al trono… almeno per un certo periodo.
Il governo degli uomini forti
Pietro il Grande era nato nel 1672 in una situazione politica molto confusa. Era il figlio della sua seconda moglie dello zar Alessio, la prima infatti era morta dopo aver dato ad Alessio diversi figli. Come figlio del secondo matrimonio, la posizione di Pietro nella gerarchia non era ideale, tutti i suoi fratellastri avevano però problemi che giocavano a suo favore: il primogenito, Feodor, era estremamente fragile e malato cronico (e sarebbe morto poco dopo essere salito al trono), il secondo, Ivan, aveva un handicap mentale non diagnosticato ma assai grave (si dice che stesse fermo a fissare il vuoto per ore) e gli altri erano ragazze e quindi impossibilitate a salire sul trono.
Dato lo stato di confusione della corte – e le attività di aristocratici ambiziosi e conniventi che cercavano continuamente di autoincensarsi – Pietro aveva trascorso gli anni formativi in disparte, e aveva iniziato a fare ciò che molti ragazzi hanno sempre fatto nel corso dei secoli: giocare al soldato. In qualità di figlio reale, Pietro aveva però il potere di reclutare ragazzi locali, di requisire armi vere e di assumere istruttori stranieri per il loro addestramento. Il famoso “esercito giocattolo” di Pietro era diventato la sua preoccupazione adolescenziale, ma anche la forma embrionale dei Reggimenti delle Guardie che sarebbero diventati un braccio cruciale dello Stato.
Da un gruppo di ragazzi che si esercitavano nei boschi fuori Mosca, i reggimenti di Pietro si erano gradualmente trasformati in vere e proprie unità militari, che furono formalmente battezzate Reggimenti delle Guardie Semyonovsky e Preobrazhensky. I reggimenti avevano combattuto con onore nelle guerre di Pietro contro la Svezia e, quando Pietro aveva edificato la nuova città di San Pietroburgo sul Baltico e trasferito lì la capitale, i Reggimenti delle Guardie erano diventati una sorta di gendarme, permanentemente distaccato nel cuore della corte.
Oltre alla revisione dell’esercito e alla formazione delle Guardie, Pietro è anche famoso per il suo impegno nel mettere in riga la nobiltà (a volte letteralmente con la frusta). Per secoli, l’aristocrazia russa era stata governata da un sistema noto come Mestnichestvo (“posizione di rango”), che collocava tutte le famiglie aristocratiche in una gerarchia strettamente regolata e coreografata, basata sul pedigree familiare, che determinava chi poteva essere nominato e a quale posizione. Questo sistema era un baluardo contro la meritocrazia, incentivava la gelosia e faceva ristagnare il sistema di governo. Secondo lo storico russo Vasilij Klyuchevskij:
“Potete picchiare un boiardo, potete spogliarlo delle proprietà, potete espellerlo dal servizio governativo, ma non potreste mai fargli accettare una nomina o un posto alla tavola dello zar inferiore a quello che gli spetta.”
Al posto di questo sistema sclerotico, Pietro aveva istituito la famosa “Tavola dei ranghi,” che assegnava la preminenza gerarchica in base al servizio prestato allo Stato, inoltre non faceva distinzione tra servizio nel governo civile, nell’esercito e nella corte. Ad esempio, un Consigliere di Stato nel governo civile (di solito un vicegovernatore o il vicedirettore di un ufficio governativo) era equivalente ad un Generale di Brigata dell’esercito o ad un Coppiere di corte. La Tavola dei gradi aveva lo scopo di stimolare l’aristocrazia all’azione, creando una spinta competitiva a servire lo Stato per accrescere i propri ranghi.
La Tavola dei ranghi non aveva eliminato l’aristocrazia ereditaria russa. La maggior parte delle posizioni elevate aveva continuato ad essere occupata dai figli di antiche e grandi famiglie, ma le riforme avevano creato gli incentivi necessari per spingere questi uomini a servire meglio lo Stato, oltre a creare percorsi di promozione per uomini di bassa estrazione ambiziosi e competenti. L’attività frenetica del regno di Pietro aveva permesso ad una cerchia di funzionari chiave di riunirsi attorno a lui. Alcuni, come Boris Sheremetev, erano rampolli di antiche famiglie aristocratiche; altri, come Alexander Menshikov – “il principe della terra” – erano popolani che venivano dal nulla.
Gli ingredienti della rivoluzione silenziosa di Pietro avevano iniziato ad amalgamarsi. I Reggimenti delle Guardie erano acquartierati nelle loro caserme nel cuore dei palazzi di San Pietroburgo, una potente forza armata nelle immediate vicinanze delle sale del potere e con libero accesso alle stanze dove si sussurravano i segreti. Menshikov e gli altri “uomini nuovi” di Pietro, uomini che avevano avuto un’ascesa fulminea partecipando alle numerose riforme e ai progetti di Pietro, che avrebbero militato per proteggere il nuovo sistema. Infine, aggiungiamo il semplice fatto che la Russia non aveva un saldo sistema di successione. Pietro aveva dato la preferenza un sistema di designazione, che consentiva allo zar-imperatore in carica di scegliere il proprio erede, ma non aveva mai esercitato questa prerogativa in prima persona: è famoso il fatto che sul letto di morte avesse scritto “lasciate tutto a,” cadendo esanime prima di poter completare la frase.
Subito dopo la morte di Pietro il Grande, il sistema da lui costruito era stato costretto ad autodifendersi. Menshikov aveva riunito il resto della cerchia ristretta in una stanza in fondo al corridoio, vicina a quella dove era il corpo dello zar, concordando che la seconda moglie di Pietro, Caterina, dovesse diventare imperatrice. Menshikov aveva convocato i reggimenti delle Guardie e li aveva informati della situazione. Le Guardie avevano quindi sfilato nel cortile del Palazzo d’Inverno e acclamato “la nostra Sovrana Signora e Imperatrice Caterina.”
Per tutto il XVIII secolo – a partire da Pietro il Grande – il potere in Russia era stato regolato dalla volontà degli uomini forti di San Pietroburgo. Caterina I era stata scelta nel 1725 dagli uomini di Pietro e la sua ascesa concretizzata dai reggimenti della Guardia. Nel 1730, Anna (una nipote di Pietro) era stata scelta in modo analogo dal consiglio privato di Caterina. Anna, senza figli, aveva designato come erede il nipote neonato, ma il bambino e i genitori erano stati subito imprigionati dai reggimenti della Guardia, che avevano invece acclamato come imperatrice la figlia di Pietro, Elisabetta. Infine, lo stesso nipote di Elisabetta (un altro Pietro, però abbastanza stupido) era stato a sua volta arrestato e ucciso dalle Guardie imperiali, che avevano favorito la moglie (un’altra Caterina, particolarmente grande).
Tutti i passaggi di potere tra la morte di Pietro il Grande e l’epoca di Caterina la Grande, alla fine del XVIII secolo, erano stati decisi quasi interamente dai Reggimenti delle Guardie e dagli uomini forti ai più alti gradi dello Stato. Questa è stata a volte chiamata l’età del governo pretoriano in Russia, a ricordo della Guardia Pretoriana dell’Impero Romano, che uccideva e selezionava gli imperatori apparentemente a piacimento. Le Guardie erano state create dell’Imperatore, ma, con il passare del tempo, era l’Imperatore (o l’Imperatrice, a seconda dei casi) a sembrare sempre di più la creazione delle Guardie. Caterina la Grande, in particolare, in quanto straniera, era stata incoronata grazie al sostegno delle Guardie e i suoi due amanti più famosi – Grigorij Orlov e Grigorij Potemkin – erano entrambi ufficiali delle Guardie.
Poiché le guardie e gli uomini forti della nobiltà erano i fattori determinanti in ogni transizione di potere, erano di fatto diventati la base del potere del monarca. L’intero spirito guida del regno di Pietro era stato quello di modernizzare la Russia spingendo le élite all’azione; creando carote e bastoni che avrebbero costretto un’aristocrazia ereditaria letargica, sclerotica e corrotta a rendere un servizio statale migliore e più dinamico, sposando il progetto di modernizzazione di Pietro.
La monarchia
La rivoluzione silenziosa di Pietro consisteva nell’elevare uomini forti ai vertici dello Stato e nell’alimentare nel cuore della corte una forza armata prestigiosa e politicamente motivata. Questo aveva creato una macchina petrina auto-perpetuantesi e che avrebbe guidato l’ascesa della Russia; ma macchina arruolava i contadini per costruire nuove città e per l’esercito, insinuandosi come una lenta colata di lava su vicini indeboliti, come la Polonia e i khanati in decadenza dell’Asia centrale, fino a raggiungere l’apogeo sotto Caterina la Grande, che aveva conquistato la Crimea dai Tatari, colonizzato le steppe della Novorossia con contadini russi, fondando le città di Odessa, Nikolayev, Kherson, Sebastopoli e Mariupol. Quando il sovrano vacillava – per morte o per debolezza – la macchina pretoriana di Pietro entrava in azione per scegliere e insediare un nuovo imperatore o imperatrice che salvaguardasse e promuovesse i suoi interessi.
Tutto questo era stato poi vanificato da uno dei più ignominiosi e non apprezzati governanti della Russia: lo zar Paolo, figlio di Caterina la Grande. Paolo aveva regnato per soli cinque anni e aveva avuto la sfortuna di essere l’anello di congiunzione tra la famosa madre e il figlio Alessandro I, quell oche aveva sconfitto Napoleone, cosa che aveva fatto apparire lo stesso Paolo abbastanza scadente al confronto. Aveva anche avuto la sfortuna di essere assassinato, e questo gli aveva garantito un’immagine popolare negativa, dato che gli assassini raramente sono indotti a parlare bene delle loro vittime.
Paolo aveva passato la maggior parte della sua vita a languire, aspettando la morte della madre per poter governare (non diversamente da re Carlo III). Paolo non sopportava il fatto che sua madre – che non era affatto russa – avesse, di fatto, usurpato il padre e, in generale, riteneva che Caterina avesse occupato ingiustamente il trono. Paolo non poteva tornare indietro nel tempo e iniziare prima il suo regno, ma poteva evitare che la stessa ingiustizia si abbattesse sui suoi discendenti: così, uno dei suoi primi atti era stato quello di promulgare una legge formale sulla successione, secondo la quale il trono doveva passare per una rigorosa primogenitura maschile. In questo modo, con un solo tratto di penna, aveva neutralizzato lo Stato Pretorio, negando alle Guardie e agli Aristocratici il potere di influenzare la successione.
Paolo non aveva affatto finito. Era un uomo con forti inclinazioni militari, non nel senso di desiderare la guerra o la violenza, ma nel senso di amare la prevedibilità, la disciplina e la gerarchia dell’esercito. Aveva quindi cercato di costringere l’aristocrazia russa a servire lo Stato in modo più intenso e disciplinato – quello che uno storico ha definito il tentativo di Paolo di “militarizzare il governo.” Non aveva molta simpatia per le libertà di cui la nobiltà aveva goduto sotto Caterina e aveva incoraggiato i governatori provinciali a spingere i figli degli aristocratici a prestare servizio nello Stato. È stato ipotizzato che Paolo soffrisse di quello che oggi verrebbe diagnosticato come disturbo ossessivo-compulsivo: era estremamente preoccupato per le regole, la pulizia e la prevedibilità, e aveva imposto questi principi al suo ambiente, cercando di creare un governo più razionalizzato che funzionasse secondo routine e procedure. Questo lo aveva portato ad affidarsi ad amministratori professionisti piuttosto che a una cerchia di amministratori aristocratici.
Il duplice tentativo di Paolo di neutralizzare i privilegi aristocratici e di costringere la nobiltà ad un servizio statale più intenso lo aveva ovviamente reso impopolare presso quegli stessi aristocratici (la sua paranoia e i suoi modi mercuriali non erano certo di aiuto) e a tempo debito era stato assassinato nella sua camera da letto. Ma la legge di successione era rimasta ed era salito al trono il figlio Alessandro. Da quel momento in poi, il trono era passato senza problemi alla linea maschile.
I discendenti di Paolo avevano progressivamente portato il Paese verso un governo basato su un consiglio dei ministri, con progressi successivi sotto Nicola I, che aveva istituito una cancelleria a più dipartimenti per la gestione della maggior parte degli affari di Stato, e Alessandro II, che aveva abolito la servitù della gleba. La fine della servitù della gleba era stata una grande vittoria morale, ma aveva anche costretto ad una radicale riorganizzazione della vita amministrativa del Paese. Il rapporto tra proprietario terriero e servo della gleba era oppressivo, ma era anche la base della funzionalità dello Stato. I proprietari terrieri nelle loro proprietà fungevano da agenti di leva, esattori delle tasse e polizia, alleggerendo il carico amministrativo dello Stato e la responsabilità di mantenere l’ordine pubblico. Con la fine della servitù della gleba, questo rapporto si era interrotto e lo Stato si era visto costretto ad ampliare radicalmente il proprio raggio d’azione per assumere i compiti amministrativi e di polizia che prima appartenevano all’aristocrazia.
Alla fine dell’Ottocento, la struttura del potere in Russia era radicalmente cambiata e il vecchio accordo di cooperazione tra l’aristocrazia e il monarca aveva gradualmente lasciato il posto ad un’autocrazia burocratizzata, in cui lo zar esercitava un potere politico illimitato (almeno in teoria), rafforzato da uno stato di polizia amministrativa oberato di lavoro.
Sotto la dinastia Romanov lo Stato russo aveva subito due ristrutturazioni sistematiche. La prima era stata inaugurata da Pietro il Grande, che aveva cercato di smantellare il vecchio sistema dei ranghi feudali, stantio e calcificato, e di rinvigorire l’aristocrazia con nuovi incentivi e una potente Guardia Pretoriana per salvaguardare tutto il meccanismo.
La seconda era iniziata con Paolo, che, per controllare il processo di successione, aveva neutralizzato il potere politico delle Guardie, processo continuato dai figli e dai nipoti, che avevano ulteriormente allontanato la Russia dall’oligarchia aristocratica verso uno Stato burocratico-amministrativo. Entrambe le rivoluzioni erano state essenzialmente silenziose, portate avanti attraverso l’azione graduale di meccanismi politici e senza grandi disordini sociali o guerre civili. Anche l’abolizione della servitù della gleba era stata ottenuta senza spargimenti di sangue, un’impresa non da poco.
L’età del governo dei partiti
Naturalmente, non tutte le rivoluzioni sono incruente e tranquille. La più famosa Rivoluzione Russa era nata durante una guerra mondiale ed era diventata una guerra civile che aveva causato milioni di morti. Non è questa la sede per giudicare o discutere gli eventi che avevano portato al dominio bolscevico nelle terre dell’Impero Russo. Permetteteci invece di fare una breve meditazione sui frutti politici di quella guerra e di quella rivoluzione. I Bolscevichi avevano creato qualcosa di completamente nuovo e innegabilmente innovativo: il partito-stato.
La caratteristica strutturale dello Stato sovietico era l’innovativo dualismo partito-Stato. Il Partito Bolscevico, in seguito ribattezzato Partito Comunista, era rimasta un’organizzazione nominalmente privata e istituzionalmente separata dallo Stato. Esercitava il potere in virtù di un’unione personale con lo Stato, piuttosto che di un’unione legale o istituzionale. In altre parole, il Partito Comunista governava l’Unione Sovietica perché ogni membro degli organi dello Stato – ogni burocrate, ogni poliziotto, il capo di ogni sindacato, il direttore di ogni fabbrica, il direttore di ogni fattoria collettiva e ogni commissario (equivalente ad un ministro o ad un segretario nel linguaggio occidentale) era un membro del Partito ed era tenuto ad obbedire ai dettami del Partito. Lo Stato aveva un Consiglio dei Commissari del Popolo, che sulla carta era un tipico governo di gabinetto e il cui presidente era l’equivalente di un primo ministro. Tuttavia, il processo decisionale non avveniva in questo consiglio, bensì nel Politburo, il più alto organo decisionale del Partito.
Dopo l’abolizione della proprietà privata, praticamente tutte le istituzioni del Paese erano state statalizzate e la natura del dualismo partito-Stato aveva imposto che le organizzazioni di partito proliferassero e dominassero all’interno di tutte le istituzioni. Il risultato era stato qualcosa di simile ad una teocrazia. Lo Stato, con la sua burocrazia, le forze di polizia, le fabbriche, le fattorie e i servizi di intelligence, forniva la muscolatura e gli organi dell’Unione Sovietica, permettendole di muoversi e agire nel mondo – ma il Partito forniva lo scheletro e i nervi, legando insieme tutte le diverse parti e garantendo che agisse con un unico scopo.
Il Partito, a sua volta, era governato dal Segretariato e dall’Orgburo, che prendevano decisioni sul personale, disciplinavano i membri del Partito e distribuivano ricompense, come posti di lavoro, appartamenti, automobili e vacanze. Questi organi controllavano l'”apparato” del partito – la rete amministrativa di comitati e organizzazioni del partito gestite dagli “apparatchik,” membri del partito che lavoravano a tempo pieno per il partito e non ricoprivano incarichi esterni (una potente ma ristretta minoranza dei membri del partito). Il punto focale di questo sistema di controllo era la Nomenklatura (“Sistema dei nomi”), che consisteva in quei membri del partito che venivano elevati a posizioni statali – dirigenti di fabbrica, amministratori universitari, incarichi burocratici e alte cariche.
Il consolidamento della struttura duale partito-Stato si era concretizzato sotto Stalin, il cui enorme appetito per il lavoro, l’abilità amministrativa e l’acume politico gli avevano fornito le competenze necessarie per domare una struttura statale completamente nuova e costringerla ad obbedire alla sua volontàa. I sospetti che il partito-stato fosse una manifestazione della volontà di Stalin erano stati messi a tacere dopo la sua morte. Lavrentiy Beria e Georgy Malenkov, due importantissimi membri della cerchia ristretta di Stalin negli ultimi anni della sua vita, avevano entrambi tendenze tecnocratiche, ossia erano favorevoli al potenziamento degli organi statali e alla riduzione dell’influenza palese del partito. Erano stati sconfitti nella lotta post-staliniana per il potere da Nikita Krusciov, uomo di partito per eccellenza, la cui base di potere era costituita proprio dagli apparati di cui Beria voleva limitare l’influenza.
Alla fine, il partito di Stato era stato distrutto dal suo ultimo leader, Mikhail Gorbaciov, cheaveva disastrosamente optato per l’eliminazione del proprio sistema amministrativo. Per molti versi, si era trovato di fronte ad un problema assai simile a quello che aveva dovuto affrontare Pietro il Grande: un’élite che era diventata sclerotica, corrotta e – secondo Gorbaciov – semplicemente incapace di fare ciò che doveva essere fatto per portare avanti il Paese. Gorbaciov voleva disperatamente essere un riformatore, desiderava ardentemente essere un secondo Lenin, in grado di rinvigorire il sistema socialista e di spingere una superpotenza stagnante verso nuove vette. Ma il partito era un problema: essendo la fonte di tutto il potere politico del Paese, aveva bisogno del partito per attuare le riforme, ma l’apparato del partito era visto come un ostacolo a quelle stesse riforme.
Gorbaciov riteneva di dover dare una scossa al partito e superare l’opposizione dell’apparato di partito. Per farlo, aveva neutralizzato la segreteria, lo stesso organo amministrativo che era la sua fonte di potere. Aveva distribuito i compiti della segreteria ad altri organi, ridotto drasticamente il personale e smesso di convocare le riunioni, prima di neutralizzare completamente il potere politico del partito con modifiche alla costituzione. Dopo aver ridotto i poteri del suo stesso partito, Gorbaciov era passato ad una nuova carica – “Presidente dell’Unione Sovietica” – e aveva tentato di usare quella nuova posizione per esercitare il potere.
Per Gorbaciov – un comunista convinto che idolatrava Lenin – distruggere intenzionalmente la presa di potere del partito sembra una cosa strana, ma aveva un senso alla luce dei suoi presupposti e della sua logica. Credeva che la sclerotica URSS avesse bisogno di riforme e considerava il partito – soprattutto gli apparatchiks – come un ostacolo alle riforme. Ma l’idea del dualismo partito-Stato gli offriva una via d’uscita: poteva indebolire il partito e, allo stesso tempo, potenziare lo Stato, in modo che quest’ultimo potesse svolgere il lavoro di riforma che il partito sembrava incapace o non disposto a fare. Quello che non capiva (e che è scioccante) era che era il partito a tenere insieme l’intera struttura. Senza scheletro o nervi, l’Unione Sovietica era crollata in un indecoroso ammasso di carne informe.
Regimi e rivoluzione
In un viaggio attraverso la storia russa, si possono individuare diversi regimi distinti, tre dei quali sono stati discussi in questa sede:
1. Regime pretoriano: governo del monarca, attraverso i Reggimenti delle Guardie, gli uomini forti e gli alleati aristocratici – animato dalle riforme di Pietro il Grande.
2. Monarchia burocratica: governo del monarca attraverso gli organi burocratici, amministrativi e della polizia di Stato. La transizione verso questo regime dal Pretorio era stata iniziata da Paolo I con la modifica della legge di successione e concretizzata dai suoi successori.
3. Il Partito-Stato: una struttura dualistica in cui il partito al potere rimaneva un’organizzazione privata, istituzionalmente separata dallo Stato, ma che regolava tutte le questioni politiche e burocratiche attraverso il controllo del personale statale.
La somiglianza tra l’attuale governo russo e il regime pretoriano è ovvio: Putin è circondato dai cosiddetti “siloviki” o “uomini forti.” Si tratta di un governo con un ampio organico di personale attuale ed ex delle agenzie di sicurezza dello Stato. Putin stesso è un ex capo dell’Ufficio federale di sicurezza e gli uomini più potenti in Russia sono in gran parte “securocrati.” Sebbene alcuni abbiano cercato di definire la Russia uno Stato a partito unico de-facto, data la supermaggioranza di Russia Unita negli organi legislativi, il paragone è fuorviante. Non c’è un apparato di partito onnipotente che controlla tutto dietro le quinte, e la portata burocratica di Russia Unita in quanto tale è minuscola e indegna di essere paragonata a quella del Partito Comunista nel suo periodo di massimo splendore.
In ogni caso, il lungo arco della storia della Russia dovrebbe farci riflettere prima di cercare di inquadrare il suo sistema politico in categorie ampie e senza mezzi termini. Questa è una civiltà che misura il suo progresso in secoli, e dal suo passato medievale, al suo apogeo pretoriano, fino all’ascesa e alla caduta del governo dei partiti, è sempre stata definita dalla tenacia e dall’abile mobilitazione delle proprie risorse. Putin è solo l’ultimo di una lunga serie di leader russi a confrontarsi con il problema della mobilitazione delle risorse interne in uno stato di assedio civile. Resta da vedere se la securitocrazia, questo Stato neo-pretoriano, riuscirà a gestire con successo la crisi attuale.
Tuttavia, una cosa che è chiara dalla storia: la struttura dello Stato cambia e si adatta per affrontare le sfide – le rivoluzioni silenziose avvengono gradualmente, sotto la superficie, mentre lo Stato è alle prese con nuove sfide, lotta per rinvigorire o epurare le élite sclerotiche e in decadenza (ho forse detto oligarchi?) e cerca nuovi modi per difendersi ed esercitare il potere. Questo vale per i concorrenti della Russia non meno che per la Russia stessa. Quindi, chi spera in un cambio di regime spettacolare – che sia la caduta di Putin o il crollo delle istituzioni occidentali dominanti – potrebbe rimanere deluso. A volte la rivoluzione è silenziosa.
Big Serge
Fonte: bigserge.substack.com
Link: https://bigserge.substack.com/p/three-regimes-in-russia
16.09.2022
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org