Intervista a Giovanni Sartori
DI VICTOR M. AMELA
«La televisione è la catena a cui l’uomo moderno è legato dalla testa ai piedi. Chi ha le chiavi di questa catena è la moderna élite delle informazioni. Una élite che esiste solo per schiavizzare l’umanità con le immagini». Con questa fosca visione il filosofo tedesco Hans-Georg Gadamer ha riassunto i rischi che si nascondono dietro l’elettrodomestico che da alcuni decenni – in Italia da cinquant’anni precisi – è diventato parte integrante della vita di ognuno di noi, cambiando radicalmente il nostro modo di conoscere, informarci, divertirci, impegnarci. Osannata e sognata, blandita e vituperata, la televisione è oggi al centro di polemiche e dibattiti sempre più accesi, volti a definire come essa abbia modificato comportamenti e mentalità.
Per mezzo della tv abbiamo conosciuto luoghi e popolazioni di cui non avevamo mai sentito parlare prima, abbiamo potuto aprire una finestra sul mondo che ci ha permesso di uscire dal nostro angusto provincialismo, abbiamo imparato a parlare in una lingua comune; ma allo stesso tempo abbiamo finito per plasmare i nostri stili di vita, i nostri modelli e le nostre aspirazioni sulla base del mondo falsamente patinato che essa ci ha presentato: una realtà stravolta dalla luce bugiarda dei riflettori, fatta di lustrini, miliardi e bellezza artificiale. Non c’è da stupirsi, perciò, se sin dai tempi di Lascia o raddoppia? sociologi, psicologi e studiosi della comunicazione non hanno mai smesso d’interrogarsi sulla rivoluzione mediatica innescata dal tubo catodico, dei cui mali e benefici probabilmente non siamo ancora consapevoli.A simile dibattito non poteva sottrarsi un intellettuale come Giovanni Sartori. Editorialista del Corriere della Sera, con articoli sempre molto acuti e polemici sulla situazione italiana e internazionale, Sartori è professore emerito all’Università di Firenze, città in cui è nato ottant’anni fa, e alla Columbia University. Vive tra Firenze, New York e Roma e si definisce «un liberale classico, un liberale puro». Tra i libri da lui pubblicati citiamo Democrazia. Cosa è (Rizzoli, 1993), Homo videns. Televisione e post-pensiero (Laterza, 1999), Pluralismo, multiculturalismo ed estranei. Saggio sulla società multietnica (Rizzoli, 2000), e il più recente La terra scoppia. Sovrappopolazione e sviluppo (Rizzoli, 2003), un grido di allarme sul sovraccarico umano che il nostro pianeta deve sopportare e che sconvolge pericolosamente il suo equilibrio bioclimatico.
Professor Sartori, qualche anno fa lei ha scritto il saggio Homo videns, nel quale denunciava i pericoli del piccolo schermo, che minaccia di ridurre i popoli a masse acritiche e sommamente influenzabili, direi quasi “telecomandate”. Come dovrebbe funzionare, secondo lei, una buona televisione pubblica?
«Dovrebbe fare una programmazione di qualità, senza tener conto della fatidica audience, ed eliminare qualsiasi pubblicità. Questa dovrebbe essere lasciata totalmente alle tv private, padrone di fare una programmazione più commerciale».
Un bel regalo per le emittenti private!
«Sì, ma in cambio queste dovrebbero dare la metà dei loro introiti, o una percentuale da stabilire, alla tv pubblica, che con questo denaro finanzierebbe la sua produzione di qualità».
Tutto ciò è bellissimo, ma il problema è che i Governi preferiscono una televisione pubblica che soddisfi i gusti della massa, per manipolarla.
«In questo senso, negli Stati Uniti c’è una maggiore garanzia di pluralismo: George Bush, ad esempio, ha pochissima capacità di influire sui mass media, in quanto sono privati».
Qual è il Paese con maggiore pluralismo nella comunicazione radiotelevisiva, secondo la sua esperienza?
«Gli Stati Uniti, appunto, possedendo una rete di migliaia di radio e di televisioni locali, hanno un alto tasso di pluralismo. Se avessero anche una buona e potente televisione pubblica sul genere della britannica Bbc, sarebbe una situazione ideale».
E che mi dice dei contenuti?
«I contenuti della televisione sono ovunque scadenti. Non si approfitta del suo potenziale formativo. La televisione com’è fatta oggi non ci spiega quello che realmente accade nel mondo. Dedica la maggior parte del suo tempo a inezie e prolissità, a scaramucce domestiche di nessun conto… Pensa solo a riempire il nostro ozio. E noi dedichiamo un’eccessiva parte del nostro ozio alla televisione. È una tendenza che condurrà all’estinzione dell’Homo sapiens».
Non le sembra di esagerare?
«No. Le funzioni cerebrali della specie umana si stanno modificando a causa del tubo catodico: l’Homo sapiens, le ripeto, è in via di estinzione, mentre si afferma l’Homo videns».
Diventeremo dunque l’uomo che guarda anziché l’uomo che pensa ?
«Esattamente. L’atto di vedere sta cambiando la natura stessa dell’essere umano. Ci troviamo in una fase di mutazione della nostra specie. Negli ultimi tremila anni abbiamo scoperto il mondo mediante la lettura e scrittura alfabetica, ossia attraverso l’astrazione, con concetti ideali e simboli. Oggi questo modello è stato sconvolto dall’avvento della televisione: è comparso il “videobambino”, nuovissimo esemplare di essere umano educato a “televedere” prima ancora di saper leggere e scrivere».
E quali conseguenze avrà tutto ciò?
«Le strutture cerebrali dell’essere umano si stanno modificando profondamente: esso perde la sua capacità di astrazione e si riduce ad una capacità più animale, di essere “vedente” e basta. Dal comprendere senza vedere, proprio della lettera stampata, torniamo al vedere senza comprendere, proprio della televisione. Perché vedere non significa conoscere: la vera conoscenza si dispiega tutta al di là del visibile. Vedere il mare non significa conoscerlo. È l’astrazione che ci conduce a rappresentare l’acqua con la formula H2O: questa sì è conoscenza, poiché ci permette di controllare e trasformare le cose».
Cosa dovremmo fare per fermare questa pericolosa deriva? Quali sono le sue proposte?
«Io già faccio quello che posso: scrivo libri in cui parlo dell’Homo videns, mi batto sulla stampa, faccio proposte su come dovrebbe essere una buona televisione pubblica. Ma purtroppo sono un perdente: perdo tutte le mie battaglie. Per un soffio, ma le perdo».
La gente però continua a guardare questa televisione scadente…
«È la condizione umana: grandi problemi, piccoli cervelli. Viviamo nell’epoca dei microcefali! La gente, oggi, “pensa”? È questa la domanda da porsi. Io credo che non siamo all’altezza delle sfide di questo tempo».
Ci sono state epoche in cui, invece, l’umanità è stata all’altezza?
«Fino alla metà del Novecento abbiamo avuto ancora dei robusti pensatori. Ma da allora è lampante la carenza di menti eccelse, di guide intellettuali, di intelligenza…».
Lei, però, è una smentita vivente di quanto sostiene.
«Ma io sono prossimo all’estinzione».
Victor M. Amela
Fonte:www.giornaledibrescia.it
dicembre 2004