Gli Anni della Vergogna

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Di Franco Maloberti per ComeDonChisciotte.org

Mi chiedo se saranno i futuri storici a definire questi anni come “gli anni della vergogna” o molto prima, per nuova consapevolezza, saremo noi stessi a parlare della vergogna di questi tempi. Gli anni in questione sono quelli successivi la Seconda guerra mondiale. I vincitori della guerra, invece di puntare a uno sviluppo armonico, hanno operato per il dominio del mondo, per diventare egemoni e tenere saldo il potere con la forza. Una egemonia che non può che essere instabile e incapace di resistere alla erosione dei tempi. La vergogna è di tutti, noi compresi, che abbiamo assistito, silenti, ai vergognosi comportamenti dei principali attori della involuzione: i cosiddetti scienziati, i giornalisti, e i politici. Sarà la gente comune, quella che proverà la vergogna, per l’essersi sentita inadeguata a porre rimedio ai disastri fatti da altri.

Ho messo al primo posto gli “scienziati”, perché la scienza ha smesso di essere scienza e si è prostituita a interessi militari, al potere e al denaro.

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Attorno agli anni 1930 ci furono grandi scoperte nella fisica dell’atomo. Nonostante gli scarsi finanziamenti, i “ragazzi di via Panisperna”, dove era ubicato il Regio Istituto di Fisica dell’Università di Roma, scoprirono le proprietà dei neutroni lenti usando anche, oltre alla paraffina, la vasca dei pesci rossi per usare l’acqua come elemento idrogenato che rallenta i neutroni. A capo dei “ragazzi” c’era Enrico Fermi che per quella scoperta ricevette il premio Nobel nel 1938. In Italia in quel periodo c’era una crescente persecuzione degli ebrei e, immediatamente dopo l’assegnazione del Premio, Fermi e la moglie, di origine ebraica, emigrarono negli USA, partendo direttamente da Stoccolma.

Nello stesso periodo Robert Oppenheimer fece scoperte importanti sull’effetto tunnel, che è la base del funzionamento di vari dispositivi elettronici e di memorie a semiconduttore. Sia Fermi che Oppenheimer ebbero importanti collaborazioni con i fisici dell’epoca e trascorsero un periodo di studi in Germania a Göttingen.

Nel 1939 i fisici Bohr e Rosenfeld portarono negli USA la notizia che in Germania altri fisici avevano ottenuto la fissione dell’uranio bombardandolo con neutroni lenti. La notizia confermò l’idea che una reazione a catena di fissione potesse portare a una superbomba di potenza enorme. Un tale pericolo fu manifestato in una lettera, firmata anche da Einstein, mandata al Presidente Roosevelt.

Dopo l’invasione della Francia da parte della Germania nel 1940 Roosevelt creò il “National Defence Research Committee” per ricerche riguardanti la difesa nazionale e la progettazione di nuove armi. Il progetto specifico riguardante la bomba atomica, chiamato Manhattan, diretto per la parte scientifica da Oppenheimer e sviluppato con un contributo non trascurabile di Fermi, realizzò poi il ben noto risultato. Il progetto avrebbe dovuto costare 133 milioni di dollari ma alla fine del 1945 arrivò a più di due miliardi con più di 130 mila persone impiegate.

Quella sottomissione delle capacità scientifiche di numerosi scienziati a richieste belliche fu il primo caso di profanazione di massa del significato di scienza, come era condiviso fino ad allora da tutti. Furono pochi quelli che si dissociarono. Max Born si disse convinto fin dall’inizio che quella era un’invenzione diabolica. Franco Rasetti, uno dei “ragazzi” emigrato in Canada, criticò duramente i colleghi e, dopo Hiroshima e Nagasaki disse “La fisica non può vendere l’anima al diavolo.” Joseph Rotblat si ritirò dal progetto. Tra le ragioni di quel ritiro c’erano le affermazioni del generale Groves, il comandante del progetto per la parte militare, che diceva che la bomba non era per battere la Germania, ma l’Unione Sovietica, allora alleata degli USA. Alla fine, molti espressero “pentimento”. Oppenheimer giorni prima il lancio di prova “Trinity Test” disse: “Sono diventato Morte. Il distruttore dei mondi“. e, dopo Hiroshima e Nagasaki, “I fisici hanno conosciuto il peccato“. Fermi, invece, diede solo deboli segnali e, quando gli fu richiesto, lavorò per la bomba ad idrogeno.

Recentemente, la prostituzione a interessi mercantili o militari ha ripreso vigore. Per fare ricerca serve denaro: le risorse umane e le attrezzature sono costose. Quello che conta nei tempi moderni è la quantità dei risultati, molto più della qualità. Nelle università si è rispettati e apprezzati solo se si scrivono tanti articoli e, questo è reso possibile da una larga schiera di studenti e ricchi finanziamenti. Non è infrequente trovare ricercatori che sovrintendono una ventina di studenti. Supponendo che la settimana lavorativa sia di quarantotto ore, tenendo conto del tempo per lezioni, riunioni, scrittura di proposte e altre incombenze, si ha che il tempo dedicato a un singolo studente non arriva a un’ora alla settimana. Il ricercatore è quindi un manager alla spasmodica ricerca di denaro. E il denaro raccolto corrisponde spesso a lavori con valenza industriale o militare. Per il denaro, una buona frazione di ricercatori fa di tutto, sviluppa software per controllare le menti, studia sistemi di controllo dei proiettili, favorisce il volo senza pilota di droni assassini, crea virus mortali dispersi casomai da uccelli o da insetti. Molti, troppi, ricercatori sono finanziati da progetti di sviluppo militare, e questo è una vergogna, anche se alcuni usano dire che gli avanzamenti tecnologici sono per il bene dell’umanità.

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Nel 1864, a 17 anni, Joseph Pulitzer emigrò dalla nativa Ungheria negli USA. In breve tempo divenne giornalista e poi editore. Il successo di Pulitzer, pur osteggiato da concorrenti, fu dovuto al suo convincimento che la difesa del diritto costituzionale di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e della incorruttibilità della giustizia dipendesse dalla qualità della informazione. Di lui, c’è la seguente riflessione:

La nostra repubblica e la sua stampa progrediscono o cadono assieme. Un capace e disinteressato spirito pubblico di stampa, con intelligenza allenata a conoscere il diritto e con coraggio, può preservare quella pubblica virtù senza la quale il governo popolare è una farsa e un raggiro. Una stampa cinica, mercenaria, demagogica produrrà col tempo un popolo vile quanto lei stessa. Il potere di plasmare il futuro della Repubblica sarà nelle mani dei giornalisti delle generazioni future.

Quello che Pulitzer auspicava si è attuato solo per un periodo breve. Ai tempi di Pulitzer il giornalismo negli USA, come racconta Eric Burns nel suo libro “Scribacchini infami“, era “selvaggio” con i giornali colmi di bugie, di accuse non provate ed esagerazioni. Erano, in pratica, armi partigiane usate per colpire oppositori politici.

Pulitzer fu un giornalista e un editore controverso. Nel tempo la sua linea editoriale mutò da populista e sensazionalista a “dedicata alla causa del popolo anziché a quella dei potenti”. Alla sua morte lasciò alla Columbia University due milioni di dollari per istituire la Scuola di Giornalismo e, dopo sei anni la Columbia istituì i premi in suo onore. Alcuni di questi erano anche per proteggere il giornalismo indipendente e premiare piccole organizzazioni giornalistiche che fanno inchieste e operano come organi di controllo dei governi e dei potenti.

Negli anni successivi molti giornalisti seguirono le raccomandazioni di Pulitzer. Negli USA ci furono clamorose inchieste in opposizione al potere e alle ingiustizie. Agli inizi del 1900 Ida Tarbell denunciò i metodi di spionaggio, ricatti e coercizioni usati da Rockfeller e i suoi collaboratori per sbarazzarsi della concorrenza. Il “Plain Dealer” di Cliveland svelò il massacro di My Lai in Vietnam. Il Washington Post portò alla luce il Watergate.

In Europa la vita del giornalismo fu contrastata, comunque, mostrò coraggio e determinazione come fu per il caso Dreyfus, in Francia, difeso da Émile Zola con il suo articolo “J’accuse“. In Italia ci furono giornalisti di coraggiosi e determinati, come Pier Paolo Pasolini, Giancarlo Siani, Oriana Fallaci, Giorgio Bocca, che si opposero, pur con diverse connotazioni politiche, alle ingiustizie e alle prevaricazioni.

Il giornalismo era effettivamente un “quarto potere”, inteso nella sua forma più positiva del termine, ma poi, quasi bruscamente, è diventato arte da palcoscenico guidata dalla regia degli editori, sempre più sensibili alla influenza politica e del grande capitale. L’inizio del declino iniziò con il caso Monica Lewinsky quando la stampa chiuse gli occhi e balbettò giustificazioni per salvare Clinton. Ora i giornali sono il megafono del potere vengono usati per sostenere l’una o l’altra fazione politica. Non vale più quanto descritto da Davide Caleddu su Huffpost nel 2013,

Per noi italiani è normale che il giornale o telegiornale A la racconti come piace al partito A e che per sapere la versione politica B occorra leggere o ascoltare le notizie del mass media B. È normale che la musica, da una parte e dall’altra, sia sempre la stessa. È normale ragionare di politica in termini sportivi, essere elettori e dunque supporters. È normale aspettarsi la menzogna, la versione dei fatti distorta (talvolta fino al ridicolo), la cosiddetta ‘disonestà intellettuale’. È normale. Così va il mondo.

Quella normalità è abbondantemente superata. Esiste solo “l’opinione A” dato che “quella di B” è definita, casomai dalla “saggia Ursula”, come trita disinformazione e “giustamente” e risolutivamente censurata. Le notizie sono quelle preconfezionate da A e supporter, con grande spreco di ricostruzioni cinematografiche e fantasiose interpretazioni. C’è uno sparuto numero che resiste ma devono limitare la loro attività a battaglie da poco, come scacciare gli occupanti abusivi di case. Chi supera una certa soglia viene censurato e bloccato, come è successo all’americano Eric Zuesse, che è stato bannato da “Modern Diplomacy” diventando una “non person”. Zuesse spiega che, nonostante il primo emendamento americano garantisca la libertà di parola, ma se questa viene espressa su entità private queste possono censurare. Ne consegue che un privato che controlla l’informazione può impunemente infischiarsene di Pulitzer. I Twitter files insegnano.

Il quarto potere è stato poi scalzato dal quinto (informazione via WEB) e dal sesto (pubblicità) che risponde solo a una regola: fare gli interessi degli inserzionisti. Come sottolineato da alcuni conduttori di talk show televisivi, bisogna fare cassa: attendere sessanta secondi, cinquantanove, cinquantotto, …

Tutta la vicenda informazione è deprimente. Sarà nel futuro ritenuta una grande vergogna?

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E della politica, che dire? Penso che i politici non godano di una grande reputazione. Cosa è successo allora negli anni recenti per provare ulteriore vergogna? Non è certo possibile riferirsi alla visione arcaica della politica, quella che la legava alla religione e all’etica. Ai tempi in cui la giustizia serviva a conseguire, assieme alla politica, il “buon ordine” della città. La cultura politica greca avversava la tirannide, ovvero il dominio di uno sui molti, e fece leggi miranti all’equità sociale e politica, pensate non per i singoli ma per la salvezza e la dignità della città, per sottrarla alla guerra civile e per tenerla lontana dalla tirannide.

Ora la situazione è molto, molto peggio. Nel recente passato, almeno, la politica seguiva una propria “etica” che era di certo rilassata rispetto al senso comune, ma rimaneva entro i limiti di un “onesto banditismo”. Ad esempio, la parola data era sacra, il rispetto dei propri affiliati assoluto. I politici avevano degli uffici nelle zone di loro “protezione” dove i questuanti loro seguaci andavano per essere raccomandati. Per trovare un lavoro o per avere un permesso occorreva fare anticamera in qualcuno di quegli uffici. La cosa aveva però aspetti positivi. Il politico, normalmente più istruito e anziano dei postulanti, riceveva informazioni sulle necessità della gente comune e, a seguito di una subconscia elaborazione, arrivava a decisioni che danneggiavano in misura accettabile i sottoposti. I politici erano un certo riferimento per gli affiliati, grosso modo la stragrande maggioranza della gente, inclusi i molti che “facevano i furbi”. Un vantaggio, pur di un comportamento di “furfante onesto”, era che esisteva il feedback: i “clienti” valutavano in modo positivo o negativo il favore ricevuto. Il costo dei “servizi” era poi modesto: una qualche bottiglia di olio, del vino, un capretto o un maialino o, per le poche politiche femmine, una boccetta di profumo.

Negli ultimi decenni la situazione è grandemente peggiorata. Il campo di azione dei cosiddetti politici si è allontanata dai “clienti”, anche per gli strepiti di chi diceva che la raccomandazione toglie a chi merita per darlo a chi non sa o chi non ha fatto nulla. Tutto vero, ma il risultato è che si sono evitate piccole malefatte, ma si è allontanato dalla vista della gente le grandi malefatte. L’attività del politico, invece che fare favori ai propri associati, è diventata quelli di fare favori a grandi lazzaroni, seguendo le moine (pagate profumatamente) dei cosiddetti lobbisti. Le raccomandazioni sono comunque rimaste, ma solo per delle seggiole importanti, tipo la presidenza di una azienda controllata, una banca o una azienda sanitaria.

Il lobbismo è quella “nobile” attività svolta da individui o gruppi di interesse privati per influenzare le decisioni del governo. Esso è svolto da persone, associazioni e gruppi organizzati, società, o gruppi di difesa di specifici interessi. Dagli anni ’70 il lobbismo è cresciuto enormemente sia negli USA che nella UE. La cultura americana, basata sul denaro, ammette il fenomeno che è alla luce del sole, anche se soggetto a regole facilmente eludibili. Comunque, si stima che negli USA tra lobbisti registrati e clandestini ci siano quasi centomila persone con un giro di denaro di parecchi miliardi di dollari. Si facilitano affari di tutti i tipi, e in particolare, l’acquisto e il consumo di armi sempre più costose e lucrose. Negli organi UE, popolati da “trombati in patria” il fenomeno è cresciuto a dismisura. Ogni decisione, incluse quelle che riguardano le dimensioni delle arance e delle zucchine, è “guidata” da decine di migliaia di lobbisti che guidano amorevolmente quei giovani “troppo intelligenti” che si sono trovati catapultati in una nuova Babilonia.

Per cosa si proverà vergogna, allora? Gli antichi greci erano di gran lunga migliori degli attuali politici per due ragioni: usavano la ragione e avevano vicini gli “utenti”. Ovvero, c’era “feedback”, quel meccanismo che mantiene la stabilità dei sistemi. L’aver lasciato che i centri di potere si allontanassero dagli “utenti” è la ragione principale dell’attuale disastro e vergogna.

Di Franco Maloberti per ComeDonChisciotte.org

Franco Maloberti Professore Emerito presso il Dipartimento di Ingegneria Elettrica, Informatica e Biomedica dell’Università di Pavia; è Professore Onorario all’Università di Macao, Cina.

NOTE

https://www.washingtonpost.com/archive/lifestyle/2006/05/10/the-muck-started-here/0c4d1f4c-edcb-4929-a5e8-8af2fcd2e384/

https://www.ilpost.it/2022/05/09/joseph-pulitzer/

Cinque tra i più importanti scoop della storia del giornalismo

https://www.huffingtonpost.it/davide-cadeddu/qualcosa-proprio-non-va-il-giornalismo-politico-italiano-_b_3805065.html

The U.S. Regime Made me a Non-Person

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