Gli accoglioni

Immigrazione e mercato del lavoro

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Di Michele Rallo

Era inevitabile: avendo esaurito l’intero campionario delle castronerie giustificazioniste dell’assalto migratorio, ecco che i giannizzeri dell’alta finanza (di sinistra e di destra) si rifugiano nell’ultima trincea del giustificazionismo accoglione. Dopo aver tentato – con scarsa fortuna – di farci credere che gli immigrati avrebbero assicurato il pagamento delle pensioni dei nostri figli, ecco adesso l’ultima linea di difesa: poiché gli italiani (e gli europei) fanno pochi figli, occorre far entrare e far diventare italiani (ed europei) svariati milioni di immigrati poco attenti alla procreazione responsabile, in modo che la loro numerosa prole possa – il piú in fretta possibile – colmare i buchi della “crescita zero” degli italiani-italiani (e degli europei-europei).

Intanto – stupidaggine nella stupidaggine – le prime avanguardie afroasiatiche potranno essere impiegate con profitto nei ruoli di bagnini, camerieri e portieri d’albergo durante la stagione estiva che è alle porte. Perché dico “stupidaggine nella stupidaggine”? Non certo perché l’industria balneare (e quella agricola, e quella zootecnica, e piú o meno tutte le altre) non abbiano bisogno di manodopera; ma perché in Italia (e in molti altri paesi europei) ci sono legioni di disoccupati che potrebbero e dovrebbero essere avviati al lavoro in maniera intelligente, e che invece vengono lasciati a macerarsi nell’angoscia di una inoccupazione patologica. Il dovere dello Stato e del Governo che lo rappresenta – prima di sollazzarsi con i giochini di sostituzione etnica – sarebbe quello di riaprire gli uffici di collocamento e, per quanti non riescano a trovare una occupazione in loco, creare le condizioni per potere reperire un posto di lavoro in altra localitá.

“Creare le condizioni” non significa soltanto mettere in contatto datore di lavoro e prestatore d’opera, ma intervenire anche economicamente per rendere attuabile l’occasione di lavoro. Mi spiego: se a un giovane viene offerta in un’altra cittá una remunerazione – per esempio – di 1.500 euro mensili, quando in loco un alloggio decente ne costa 1.200, lo Stato deve necessariamente intervenire per garantire la praticabilitá del rapporto di lavoro in questione. Per esempio, offrendo alloggi a prezzi calmierati.

La prioritá è sconfiggere la disoccupazione “nostra”, non quella di aprire le porte ad una forza-lavoro estranea che, fatalmente, fungerá da moltiplicatore per la disoccupazione nazionale (e non soltanto per quella giovanile).

Perché – veritá che ci si ostina ad ignorare – non è la scarsa prolificitá degli italiani (e degli europei) a produrre le lamentate difficoltá nel mercato del lavoro; ma, al contrario, sono le difficoltá a procurarsi un lavoro stabile e adeguatamente remunerato a causare la crescita zero. La cosa è talmente evidente che non ci sarebbe bisogno di ulteriori precisazioni. È chiaro che, in mancanza di una stabile prospettiva di vita per loro stessi e per l’eventuale prole, le giovani coppie non si assumano la responsabilitá di mettere al mondo dei figli. Sarebbe grave il contrario, sarebbe grave che le nuove generazioni si dedicassero a figliare come i conigli, al solo scopo di rendere felici i potentati economici.

Cosí come è grave che i potentati economici, invece di spingere per la creazione di migliori e piú stabili condizioni di vita delle popolazioni autoctone, si rifugino nella predicazione delle strette rigoriste (su mercato del lavoro, pensioni, sanitá, spesa pubblica in genere) e nella invocazione di una immigrazione selvaggia che possa fornire una forza-lavoro alternativa e dalle miti pretese.

Tutto ció favorisce soprattutto le grandi concentrazioni industriali e le centrali finanziarie che le governano; e solo in minima parte i piccoli imprenditori locali, che soffrono per la inadeguatezza del mercato del lavoro di casa nostra.

L’unico modo per uscirne non è di aprire le porte a una massiccia invasione migratoria, dagli effetti imprevedibili e pericolosissimi; ma quello di migliorare le condizioni di vita della popolazione, di garantire un futuro dignitoso per le prossime generazioni, di smantellare tutto l’infame complesso delle riforme “che l’Europa ci chiede” e che ci hanno ridotto in miseria.

Certo, la nostra societá potrá talora avere bisogno di una immigrazione qualificata, diretta a colmare provvisoriamente i “buchi” che dovessero palesarsi in un determinato settore e per determinate figure professionali. Ma, al di lá di emergenze di questo tipo, la soluzione non puó venire certo dalla apertura delle frontiere alla immigrazione indiscriminata e a quella che – piaccia o non piaccia tale definizione – è certamente una riprovevole “sostituzione etnica”.

Se fosse come predicano gli accoglioni, se veramente gli immigrati servissero a mandare avanti la macchina della nostra economia, o a pagare le nostre pensioni, o rappresentassero in qualche modo una “risorsa” (come da verbo immigrazionista)… se cosí fosse, allora tutti i paesi europei farebbero a gara per accoglierne quanti piú possibile.

Invece, gli altri – a cominciare dalla Francia di quell’insopportabile Macron – non ne vogliono proprio sentir parlare. Anzi, rafforzano le difese ai confini dell’Italia, per evitare che parte delle “risorse” lascino il nostro territorio per trasferirsi da loro. Questa è la prova provata che le “risorse” non sono una risorsa, ma una palla al piede. Possibile che in Italia si sia tanto accoglioni da non comprendere questa evidentissima veritá?

Di Michele Rallo
28.04.2023

Michele Rallo è storico e saggista, ex parlamentare della Repubblica Italiana.

Titolo originale: Immigrazione e mercato del lavoro
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