Di Alessandro Fanetti per ComeDonChisciotte.org
TBILISI – La Georgia è una Repubblica sorta, nella sua forma attuale, con la dissoluzione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Nei tempi precedenti, infatti, questo Paese è stato sia territorio dell’Impero Russo (dal 1801) che, dal 1921-22, parte dell’URSS (con una brevissima fase di “completa” indipendenza fra il 1918 e il 1921).
Parte dell’Unione Sovietica prima con il nome di Repubblica Socialista Sovietica Georgiana, poi con il nome di Repubblica Socialista Federativa Sovietica Transcaucasica (insieme all’Armenia e all’Azerbaigian) e infine, dal 1936, con il nome preso nel 1921.
Grazie alla posizione strategica fra il Mar Nero e il Mar Caspio, sita in quel “lembo” di terra chiamato Regione Caucasica, essa è considerata come una delle Nazioni dell’Eurasia. Una Nazione di raccordo fra il Continente Europeo e quello Asiatico, con significative potenzialità dal punto di vista “player internazionale”.
Potenzialità derivanti anche dal fatto che il Paese con capitale Tbilisi mantiene buone relazioni con tutti i suoi vicini.
Tutti tranne uno: la Federazione Russa.
Se infatti con la Turchia, l’Armenia e l’Azerbaigian i rapporti procedono lungo direttrici volte alla collaborazione, con Mosca la situazione è ben diversa.
Una situazione che non permette alla Georgia di esprimere tutto il suo potenziale e che la mantiene in bilico fra la stabilità e la perenne tensione.
Qual è dunque la situazione attuale e come potrebbe svilupparsi in futuro?
Avendo avuto la possibilità di visitare il Paese nel mese di Marzo 2022, questo report sarà strutturato in maniera “non usuale”.
Non usuale perché racconterò il Paese partendo dalle immagini che ho scattato sul posto e da alcune mappe utili per comprendere bene il contesto.
In sostanza, ogni immagine avrà una didascalia che cercherà di spiegarla e, attraverso essa, racconterà uno spaccato del Paese.
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Da questa cartina si può notare chiaramente la regione caucasica, compresa fra il Mar Nero e il Mar Caspio, completamente in mano al fu Impero russo già nell’800. Territori acquisiti in momenti diversi ma assicurati al dominio dello Zar entro il 1881, quando Alessandro II concluse la “presa del Caucaso”.
Bandiera della Repubblica Federale Democratica Transcaucasica, sorta dopo la dissoluzione dell’Impero pochi mesi dopo la Rivoluzione del 1917. Federazione basata sull’unione fra i territori georgiani, armeni e azeri ma durata pochissimo, in quanto le divisioni fra la popolazione cristiana e quella musulmana non hanno mai permesso una coesistenza pacifica e basata sul supremo interesse dello sviluppo congiunto. La motivazione principale della rottura fu l’impegno armeno contro gli ottomani (rei di aver iniziato una pulizia etnica già da fino ‘800, quando l’enorme e debole Impero Russo già non riusciva a tenere sotto stretto controllo tutti i suoi territori, in special modo quelli più periferici), non seguito dalla popolazione azera che aveva in Costantinopoli il suo faro.
La pacificazione “fittizia” dell’area arrivò con il nuovo governo di stanza al Cremlino, in particolar modo tra il 1920 e il 1923. Con momento fondamentale quello della nascita dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) nel 1922.
Fittizia perché i nodi di fondo delle divisioni fra questi popoli non si sopirono mai del tutto, ma vennero semplicemente tenuti a bada per qualche decennio.
Fittizia perché il territorio non venne diviso adeguatamente e alcuni territori abitati da una forte maggioranza cristiano – armena furono devoluti all’Azerbaigian da Stalin: il Nagorno Karabakh e il Nakchivan.
Devoluti sia per mostrarsi accondiscendente verso la popolazione azera, più riluttante a far parte dell’URSS rispetto a quella armena, che per mandare un segnale ad Atatürk, Presidente turco fino al 1938 e grande sostenitore degli azeri. Stalin pensava che questo segnale fosse stato ben visto da Ankara e potesse contribuire ad avvicinare Turchia e URSS, forse con la speranza del Cremlino di riuscire anche ad andare oltre una forte alleanza (magari riuscire a far divenire la Turchia uno Stato comunista o addirittura farlo entrare in Unione Sovietica).
Con la Georgia come spettatore molto interessato (e preoccupato) della situazione.
Ecco la bandiera ed il simbolo della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Transcaucasica. Federazione sorta sull’idea di quella antecedente la nascita dell’URSS e volta a preservare l’unità e la cooperazione nel Caucaso.
Anche questa fallita nel 1936, in quanto le divisioni che ho descritto precedentemente mantenevano ancora tutta la loro forza. Infatti, se “pubblicamente” l’unità era sbandierata e garantita, internamente le difficili relazioni erano più vive che mai e non accennavano ad essere risolte.
La dissoluzione dell’URSS ha definitivamente diviso il Caucaso, con conseguenti conflitti riesplosi con tutta la loro forza fra musulmani azeri (sostenuti dalla Turchia) e cristiani armeni (aiutati dalla Russia) da un lato e fra popolazioni che guardavano ancora alla Grande Madre Russia e quelle che volgevano lo sguardo verso il liberalismo di stampo occidentale.
Se le divisioni fra armeni e azeri si sono basate (e ancora si basano) sulle questioni territoriali irrisolte, in Georgia il conflitto è scoppiato invece per il secondo punto sopra delineato.
Nel dettaglio, in questa cartina possiamo vedere i due territori che dopo la dissoluzione dell’URSS hanno deciso di impugnare le armi per poter scegliere autonomamente la propria “via allo sviluppo”, senza vedersi imposta quella che stavano decidendo a Tbilisi e che contemplava una sostanziale rottura con Mosca. Rottura seguita da un avvicinamento all’Occidente sotto i vari punti di vista culturale, economico, sociale e militare.
Gli scontri in Abcazia e Ossezia del Sud (in quanto quella del Nord facente parte della Federazione Russa) iniziarono già nel 1991, per proseguire poi fino al 1992 – 1993. Una situazione simile a ciò che avvenne in Transnistria, territorio filorusso di fatto autonomo e salito alla ribalta in questi giorni[5].
In sostanza, incendi che si svilupparono in varie parti della “periferia” sovietica e che ancora oggi sono accesi (chi più violentemente e chi meno).
Tornando alla questione georgiana, comunque, la situazione si “risolse” con un accordo fra la Federazione Russa, le forze georgiane e quelle locali di questi due territori “ribelli”.
Accordo che prevedeva la presenza di Forze di Pace miste che garantissero la cessazione delle ostilità e il ritorno ad una parvenza di vita normale.
Situazione cristallizzata fino al 2003, quando la c.d. “Rivoluzione delle Rose” riaprì tutti i giochi, in particolar modo con una virata decisa di Tbilisi verso Occidente e la precipitazione drammatica delle relazioni fra Georgia e Federazione Russa.
In questa foto che ho scattato nel Marzo 2022 davanti al Parlamento della Georgia, a Tbilisi, è rappresentata la “testa d’Ariete” per lo sfondamento della situazione cristallizzatasi nel 1992 – ’93: Mikheil Saak’ashvili.
Primo Ministro dal 2003 al 2005 e poi Presidente sostanzialmente fino al 2013, egli fu uno dei promotori della virata del Paese a Ovest, insieme all’allora madrina delle proteste: Julija Volodymyrivna Tymošenko.
Per Mosca una classica “Rivoluzione colorata”, come accaduto in tanti altri Paesi, spinta e fomentata dall’Occidente per allargare la propria sfera d’influenza nel mondo.
Situazione talmente esplosiva che nel 2008 deflagrò in un’altra guerra con la Federazione Russa e le Repubbliche Separatiste dell’Ossezia del Sud e dell’Abcazia da un lato e la Georgia sostenuta dall’Occidente dall’altro (in questa foto un ricordo di quei momenti).
Una guerra che terminò il 12 agosto dello stesso anno grazie anche alla mediazione dell’allora Presidente della Repubblica Francese Sarkozy.
Una guerra che spinse la Russia a riconoscere ufficialmente le due Repubbliche separatiste, garantendo a queste ultime anche un forte sostegno militare ed economico.
Sopra, le due bandiere delle Repubbliche riconosciute ufficialmente dalla Russia e dai suoi più stretti alleati.
Da ricordare che, in seguito al conflitto in Ucraina di questi giorni e a un tentativo generale di riassetto dei confini intorno alla Federazione Russa, prima l’Ossezia e poi l’Abcazia hanno espresso la volontà di unirsi definitivamente al territorio russo.
Mentre Tbilisi ha firmato ufficialmente la richiesta di adesione all’Unione Europea.
Di seguito una carrellata di foto da me scattate nel Marzo 2022 in Georgia e che mostrano chiaramente la presenza (e l’influenza) occidentale a Tbilisi. Presenza e influenza che, come in tanti altri Paesi ex – URSS tendono a scemare quando abbandoniamo le grandi città e le fasce di popolazione più giovane per addentrarsi nelle “periferie” dei vari Paesi.
Ciò che si nota in Georgia e non solo, infatti, è che nella maggioranza dei casi l’influenza occidentale è più marcata nei grandi centri urbani e fra le persone che vengono “investite” da ore e ore di programmi televisivi e siti internet con sede in Occidente (nonché fra gli studenti che seguono corsi universitari dove la “visione liberale” è considerata l’unica possibile), mentre rimangono più “resistenti” quei territori legati alle tradizioni e alla cultura secolari dell’area.
Territori che non bramano lo stile di vita occidentale, sia quello reale che quello veicolato dai mezzi informativi (nella quasi totalità dei casi presentato come il “Paese di Bengodi” di Boccacciana memoria).
Centro Informazioni della NATO e dell’Unione Europa (nello stesso palazzo).
Ufficio dell’USAID, agenzia USA ufficialmente dedita allo sviluppo internazionale e alla promozione della democrazia. Non particolarmente benvoluta, per usare un eufemismo, in tanti Paesi dell’America Latina e dei Caraibi non allineati alla politica di Washington. Malvoluta in quanto avvezza a finanziare, da decenni, tutto ciò che aiuti il rovesciamento di governi malvisti dalla Casa Bianca.
Sede del Governo Georgiano con le bandiere del Paese e dell’Unione Europea in bella mostra insieme. Da notare che questo è un segnale prettamente politico, in quanto la Georgia non fa parte dell’UE.
Targa che ricorda l’impegno e l’attenzione dell’Unione Europea verso i Paesi che la vedono come un faro di civiltà.
Uno dei vari McDonald’s presenti nel Paese.
Due immagini che mostrano l’odio di alcune frange della popolazione (e degli attuali governanti) verso il passato sovietico.
Nella prima immagine si nota la distruzione della falce e martello all’entrata del Palazzo del Parlamento, mentre nella seconda foto si nota una X spruzzata davanti al simbolo del lavoro che adorna un ponte sul fiume che taglia in due Tbilisi.
Da sottolineare che esiste anche un’ala del Museo Nazionale dedicata al periodo di “occupazione sovietica”.
Una veduta di Tbilisi dall’alto
Momenti di tradizione, con persone di fede ortodossa che pregano all’interno di una splendida Chiesa della Capitale.
La Religione ha ancora un ruolo molto importante in Georgia e a questa tradizione la maggioranza della popolazione non sembra che voglia rinunciare.
Case private e edifici pubblici impegnati a mostrare solidarietà all’Ucraina. A Tbilisi decine e decine di edifici mostravano le bandiere dei due Paesi insieme, a sottolineare che molte persone si sono schierate apertamente e senza tentennamenti dalla parte di Kiev e contro l’azione russa.
Questo l’ho notato decisamente anche io parlando con varie persone.
In conclusione, dunque, è possibile affermare come la Georgia sia certamente un Paese molto importante per tutta l’area eurasiatica. La sua posizione geografica incastonata nel Caucaso e confinante con la Federazione Russa rende questo Paese e il suo territorio molto significativi per gli assetti dell’area e per lo sviluppo delle relazioni fra le varie potenze regionali e globali.
Non è un caso che la sua “virata” ad Ovest sia stata così osteggiata dalla Russia e che l’Occidente abbia un occhio di riguardo verso Tbilisi, con impegni economici non indifferenti a suo vantaggio.
Un Paese in bilico, dunque, che le ostilità in Ucraina hanno portato alla ribalta. Sottolineando le ancora troppe “zone incendiate” che sono presenti ai confini russi.
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Reportage e foto di Alessandro Fanetti – da Tbilisi per ComeDonChisciotte.org
Alessandro Fanetti, studioso di geopolitica e relazioni internazionali, autore del libro Russia: alla ricerca della potenza perduta (Edizioni Eiffel, 2021).
NOTE
[1] http://www.limesonline.com/cartaceo/uno-stato-un-popolo-leredita-avvelenata-del-1914-18.
[2] https://eurasianet.org/perspectives-how-china-gains-from-armenia-azerbaijan-war.
[5] Per chi volesse approfondire anche questa questione, un articolo che scrissi nel 2019 può essere utile: https://isagitalia.org/moldavia-un-paese-diviso/wp_8846263/.