DI PAOLO BECCHI E GIOVANNI ZIBORDI
liberoquotidiano.it
Negli ultimi dieci anni il Pil dell’ Italia è aumentato di 100 miliardi. Poco, molto poco, parliamo del Pil “nominale”, vale a dire del valore in euro del prodotto annuale, che include anche l’ effetto dell’ inflazione. La ricchezza finanziaria (soldi, conti, titoli, polizze) è invece aumentata di 1,100 miliardi, dieci volte tanto. Prima dell’ introduzione dell’ euro, grazie anche all’ inflazione, il Pil nominale spesso aumentava anche del 7 o 8% l’ anno e persino nei primi anni dell’ euro cresceva del 4 o 5% l’ anno.
Questo ovviamente faceva sì che tutto il debito fosse più sostenibile, che pure i prezzi degli immobili salissero, che ci fossero pochi crediti “marci” in banca. Dal 2008 invece ci sono stati quattro anni in cui il Pil (inclusivo dell’ inflazione) è calato e dopo dieci anni è salito appena da 1,630 a 1,730 miliardi.
La ricchezza in euro in banca invece, dopo esser scesa inizialmente sui 3,200 intorno al 2009 è tornata ad aumentare di 1,100 miliardi, e ora è di 4,300 miliardi. Questo perché i valori dei titoli sono aumentati sui mercati grazie alle politiche della Bce e perché gli italiani hanno risparmiato molto di più.
Gli italiani hanno una ricchezza netta (al netto dei debiti) pro capite tra le più alte al mondo, maggiore dei tedeschi e degli inglesi e leggermente superiore anche a quella dei francesi. Questo dato della ricchezza finanziaria mostra una cosa: non è vero che tutto è andato male in questi anni, una parte della popolazione, quella più benestante e anziana non ha sofferto troppo. Se parliamo della ricchezza immobiliare invece sì, in Italia i valori degli immobili sono scesi e non si sono più ripresi.
La tabella di Bankitalia mostra l’ andamento della ricchezza netta di giovani e anziani in Italia. I dati sono fino al 2013, se si aggiornassero si vedrebbe un maggiore incremento, ma il quadro è abbastanza clamoroso. I prezzi degli immobili sono raddoppiati tra il 1999 e il 2008 e i giovani hanno quindi comprato dagli anziani case che costavano il doppio, che però si sono subito deprezzate. In aggiunta la crisi occupazionale e la riduzione dei salari con i contratti a tempo ha colpito i giovani e così le riforme delle pensioni, mentre la perdita di reddito per gli anziani è stata compensata grazie a titoli e investimenti vari
Padri e figli”, non nel senso del celebre romanzo di Turgenev, bensì in un senso molto più materialistico: i “padri” hanno ricchezza finanziaria e i “figli” vivono di lavoro o ne cercano disperatamente uno. Cosa si può concludere da questa divaricazione macroscopica tra Pil che aumenta poco e ricchezza che aumenta molto e tra situazione finanziaria degli anziani e dei giovani?
La politica di austerità, a cui ci ha costretto l’ Ue ha avuto l’ effetto di far aumentare la rendita, la ricchezza finanziaria, a scapito della produzione e del lavoro. La ricchezza, i “soldi in banca”, sono però sterili, non producono niente se non altri soldi tramite interessi e capital gain, che però alla fine sono una tassa indiretta su chi lavora e paga le tasse su quello che produce.
È però importante rendersi conto che non siamo tutti sulla stessa barca, la narrazione diffusa secondo la quale “tutti gli italiani hanno sofferto dell’ euro e dell’ austerità” è falsa. Una parte della popolazione ha continuato a stare bene ed è quella che ha rendite, soldi che fruttano altri soldi. In banca non ci sono mai stati tanti soldi, polizze, titoli e fondi che continuano a rendere. Chi aveva una ditta e l’ ha liquidata e ha messo i soldi in titoli, fondi e altro ha guadagnato. Chi la ditta l’ha tenuta aperta spesso invece si è mangiato parte o tutto il patrimonio. La politica dell’ austerità è stata buona per chi vive di rendita, mentre ha punito chi lavora e produce.
Ma la classe dirigente, sia imprenditoriale sia nei media, nella politica, nella magistratura ecc è ovviamente fatta di gente che ha soldi da parte. Il sistema dell’ euro e dell’ austerità preserva ed accresce i loro conti. Per loro la crisi è un fatto relativo, che non li tocca personalmente. Ecco perché tutti i ceti benestanti oggi sono compatti contro l’ uscita dall’ euro. Certo questi ceti non costituiscono la maggioranza nel paese e, come si vede, i “perdenti” cercano di votare in modo alternativo, sperando che le cose cambino. Ma le resistenze sono forti, molto forti, perché l’ euro non è stato negativo per tutti.
Paolo Becchi e Giovanni Zibordi per “Libero quotidiano”
7.03.2019