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La Redazione

 

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Egemonia 2.0

L'Egemonia Culturale auspicata cento anni fa da Gramsci è ormai realizzata pienamente dai suoi sedicenti eredi: peccato che sia al servizio di quello che Gramsci non avrebbe esitato a definire il Nemico.
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A cura di Franco Ferre
Il 15 Agosto 2024
15004 Views

Di Franco Ferrè per ComeDonChisciotte.org

Qualche giorno fa un amico mi ha fatto pervenire lo screenshot di un libro che probabilmente stava leggendo in quel momento. La sua lettura agostana erano i “Quaderni dal Carcere” di Antonio Gramsci (sì, lo so, ho amici strani). La citazione era questa

“Creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente delle scoperte ‘originali’, significa anche e specialmente diffondere criticamente delle verità già scoperte, ‘socializzarle’ per così dire e pertanto farle diventare base di azioni vitali, elemento di coordinamento di ordine intellettuale e morale. Che una massa di uomini sia condotta a pensare coerentemente e in modo unitario il reale presente è fatto ‘filosofico’ ben più importante e ‘originale’ che non sia il ritrovamento da parte di un’genio’ di una nuova verità che rimane patrimonio di piccoli gruppi intellettuali.”

La frase, che potrebbe tranquillamente essere sovrapponibile alla mission di siti come questo, può essere anche considerata la premessa necessaria per l’affermazione di quello che poi sarebbe diventato uno dei concetti più usati del pensiero del filosofo sardo, quello di “Egemonia Culturale”. Qui, in realtà, Gramsci non è ancora giunto a delineare come e con quale estensione le “verità già scoperte” che cita nel testo debbano poi essere tradotte in azioni reali, ma si vede molto bene la radice di quell’atteggiamento che nei decenni successivi l’area politico-culturale che anche dal suo pensiero è in qualche sghembo modo discesa ha poi fatto suo, ovvero la sua presunzione di superiorità prima di tutto intellettuale sulle altre persone meno colte.

Gramsci, però, non era affatto un intellettuale schizzinoso, anzi. Tuttavia viveva, pensava e scriveva in un contesto socio-politico nel quale l’analfabetismo era la regola e “farsi una cultura” aveva un valore univoco ed inequivocabile: leggere e scrivere prima, e studiare poi, significavano uscire effettivamente dall’ignoranza e capire meglio degli altri i meccanismi che regolavano il mondo: la conoscenza di base, quella che veniva dalla semplice esperienza personale, era in gran parte orientata alla lotta quotidiana per la sopravvivenza o poco più, e tranne rare eccezioni era comunque troppo limitata nello spazio (la gran parte delle persone viaggiava pochissimo o non viaggiava affatto) e nel tempo (l’aspettativa media di vita non superava i 50 anni) per permettere ai più di elaborare un pensiero originale sul mondo. Per questo frequentare qualcuno che possedeva gli strumenti innanzitutto culturali per interpretare in modo più ampio la realtà era merce rara, e su questa rarità Gramsci esorta i suoi lettori a fare leva, così da farsi ambasciatori il più possibile della diffusione dei concetti “giusti”, delle “giuste” categorie con cui leggere il mondo, in modo da spingere le altre persone ad agire di conseguenza e portare il mondo stesso verso una più retta via.

Questa visione del mondo, di cui Gramsci era giustamente consapevole nel suo tempo, andava diffusa in modo da diventare la più ampia possibile e creare la “massa critica” di persone consapevoli su cui si sarebbe potuto, a un certo punto, fare leva per cambiare le cose. Perché ciò avvenisse, appunto, bisognava che i “consapevoli” diventassero sempre di più ed occupassero man mano tutti i posti chiave di diffusione del pensiero per canalizzare i “giusti” concetti al maggior numero possibile di persone. Per questo fondò un giornale, e su questo si sarebbe dovuta fondare l’Egemonia Culturale dei suoi pari, forti della Verità e portatori del Bene a tutto il Popolo.

Poi che cosa è successo? Nei decenni del dopoguerra, molti anni dopo la morte di Gramsci, una lunga serie di circostanze ed eventi sia a livello mondiale che nazionale ha portato un consistente numero di persone che si riconoscevano (più o meno a ragione) nella parte politico-culturale erede di Gramsci ad occupare molti dei posti chiave nella sempre più ampia ed influente macchina dei Mass Media italiani. E non solo: persone più o meno riconducibili (alcuni per convinzione, altri per convenienza) a quell’area sono diventati magistrati, funzionari, dirigenti delle varie articolazioni della complessa macchina pubblica, al punto che negli ultimi decenni del secolo scorso e ancor più marcatamente nel nuovo millennio, la Sinistra autoproclamatasi erede di Gramsci può certamente dire di avere realizzato proprio quell’Egemonia Culturale che lui auspicava cento anni fa.

Tuttavia, facendo leva sull’aggettivo “criticamente” che Gramsci pone al centro del suo pensiero, è lecito porsi due domande:

  1. L’Egemonia è rimasta tale, cioè una forza magari preponderante nel campo culturale, ma non unica, o si è trasformata in qualcosa d’altro?
  2. La “Verità” degli eredi di Gramsci che ora è egemonica, è quella che Gramsci proponeva, oppure l’egemonia è stata messa al servizio di qualcosa di differente?

Riguardo alla prima domanda, è evidente a chiunque osservi con un minimo di distacco il dibattito pubblico che oggi la così detta Sinistra sembra essere andata ben oltre l’Egemonia, ed è passata al Controllo Culturale. Di fatto, è la Sinistra ad ispirare, in Italia come altrove in Occidente, il così detto “pensiero unico”, tanto da determinare giorno per giorno i temi del dibattito pubblico, determinando ampiezza ed estensione del “regime di ragione” (come lo definisce Andrea Zhok nella sua “Critica della Ragione Liberale“) in vigore tempo per tempo, ovvero il novero di argomenti di cui si può discutere e, soprattutto, di cui NON E’ PERMESSO farlo. Esempi? Solo per limitarci agli ultimi tre anni: Covid, vaccini, riscaldamento globale, guerra in Ucraina, invasione di Gaza. E, risalendo un po’ più indietro, Euro, Unione Europea, Welfare, Debito Pubblico, immigrazione. Tutti questi argomenti hanno in comune il fatto di avere trovato, a un certo punto, una loro definizione di base (più avanti vedremo perché proprio quella), che poi è stata rimbalzata in migliaia di rivoli in tutti i canali del dibattito pubblico, diventando così INDISCUTIBILE. Il Covid era terribile e solo i vaccini potevano sconfiggerlo, mentre i vaccini stessi erano “sicuri per definizione”, il cambiamento climatico è “sotto gli occhi di tutti”, in Ucraina senza dubbio “c’è un aggredito e un aggressore”, l’Euro è “irreversibile” e “ci fa lavorare un giorno in meno guadagnando come un giorno in più”, il debito pubblico è “brutto brutto” perchè “lo Stato è come una famiglia” (oppure, variante berlusconiana, “lo Stato è “come un’impresa”) etc etc. Questo è solo un breve e limitato elenco di temi sui quali da anni (decenni?) anche la più flebile voce critica o semplicemente dubbiosa viene immediatamente bollata con l’aggettivo che prima era riservato all’Olocausto nazista, simbolo di qualcosa talmente evidente che non si poteva negare, ma oggi è ormai sulla bocca di tutti: negazionista. Ormai non si può parlare in pubblico su uno di quei temi se non si premette qualcosa tipo “non sono un negazionista del XXX, ma…” oppure “l’Euro è stata una conquista per il nostro paese, ma…” oppure ancora “non mi sta simpatico Putin, ma…”. Eppure, ognuno di questi temi è il risultato di un insieme molto complesso di fattori, che ha posto e pone tuttora problemi di enorme rilevanza, diremmo quasi di sopravvivenza per il nostro modello sociale, temi che andrebbero discussi pubblicamente e sviscerati da molti diversi punti di vista prima di prendere una direzione o l’altra, prima di decidere da che parte stare (o SE stare da una parte). Sono temi complessi, carichi di conseguenze, che avrebbero un disperato bisogno di essere esaminati, valutati, discussi, soppesati tramite una pluralità di voci, e invece… invece niente. Nell’Euro “irreversibile” siamo entrati alla chetichella, senza nessun referendum e dopo un dibattito parlamentare semiclandestino, sul Covid si è viaggiato per due anni a colpi di Decreti del Presidente del Consiglio, così come pochi minuti dopo l’inizio dell’Operazione Speciale in Ucraina o l’attacco di Hamas a Gaza sono partite le dichiarazioni pubbliche “senza se e senza ma” che diventano poi il regime di ragione sull’evento stesso. Senza approfondimento, senza riflessione, senza valutazioni delle conseguenze di prendere una strada o l’altra, niente. Come i cani di Pavlov. Con tanto di decreti “anti fake news”, algoritmi che bloccano le fonti meno allineate e commissioni di “esperti” a certificare cosa si può dire e cosa no. Fino alle recenti grottesche notizie che giungono dal Regno Unito, dove importanti cariche pubbliche parlano pubblicamente di reati degni della Psicopolizia Orwelliana.

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Questa non è “Egemonia”, questo è CONTROLLO. Non credo che Gramsci avrebbe approvato.

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Venendo alla seconda domanda, sarebbe già preoccupante se gli argomenti egemonici imposti dal regime di ragione della Sinistra fossero ancora del tipo di quelli che trattava Gramsci, cioè, semplificando, temi “di Sinistra” che, citando l’ultimo libro di Sara Wagenknecht (prefazione di V.Giacchè),

“Sinistra” era un tempo sinonimo di ricerca della giustizia e della sicurezza sociale, di resistenza, di rivolta contro la classe medio-alta e di impegno a favore di coloro che non erano nati in una famiglia agiata (…). Essere di sinistra voleva dire perseguire l’obiettivo di proteggere queste persone dalla povertà, dall’umiliazione e dallo sfruttamento, dischiudere loro possibilità di formazione e di ascesa sociale, rendere loro la vita più facile, più organizzata e pianificabile.

Chi era di sinistra credeva nella capacita della politica di plasmare la società all’interno di uno Stato nazionale democratico e che questo Stato potesse e dovesse correggere gli esiti del mercato. […] Naturalmente ci sono sempre state grandi differenze anche tra i sostenitori della sinistra. […] Ma nel complesso una cosa era chiara: i partiti di sinistra, che fossero socialdemocratici, socialisti o, in molti paesi dell’Europa occidentale, comunisti, non rappresentavano le élite, ma i più svantaggiati.

Sarebbe “giusto”, ma comunque sarebbe preoccupante se fosse così, perché l’assenza di dibattito è un male in sé di qualunque sistema politico, anche il meglio intenzionato. Peccato che oggi i portatori (insani) di Egemonia Culturale non portino più avanti temi di quel genere, ma praticamente l’opposto. Tutti i temi sopra ricordati, su cui è incardinata l’egemonia odierna, realizzano, infatti, uno o più interessi delle élites o di parti di esse, sia attraverso la determinazione di vantaggi materiali tangibili (ad es. le industrie farmaceutiche che si arricchiscono coi vaccini) sia attraverso la realizzazione di “stati di fatto” che, pur danneggiando il proprio paese, poi possono essere usati in loro favore (ad es. fare carriera nelle istituzioni europee dopo avere “servito” l’Euro fedelmente). Ognuna di quelle “verità” era strettamente funzionale a qualcosa di favorevole per le élites, la cui affermazione era finalizzata generalmente a qualcosa di molto diverso da quello che veniva detto pubblicamente (memento il Pedante: se qualcosa non serve, serve a qualcos’altro). Per non parlare poi del “fuoco di copertura” esercitato quotidianamente dagli egemoni tramite i mass media con la miriade di temi irrilevanti elevati a centro del dibattito pubblico, ma sempre al servizio di egemoni che, ognuno nel proprio campo, si fanno portatori di una non-cultura genericamente definibile Woke, con tutto il suo pericoloso corollario di cose (fondamentali) da “smontare”. Insomma: non è azzardato dire che, oggi, gli Egemoni sono dei veri e propri “cavalieri del Male”, portatori di idee del tutto opposte a quelle di Gramsci, idee che, al momento, a sinistra solo la ricordata Sarah Wagenknecht sembra criticare.

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Sarah Wagenknecht

E’ paradossale, ma è così. Gramsci aveva ragione, l’Egemonia Culturale era necessaria per far cambiare rotta alla società, peccato però che l’Egemonia che lui auspicava è stata sì realizzata dai suoi presunti eredi, mettendola, però, al servizio di finalità opposte a quelle che avrebbe voluto lui. La società sta cambiando rotta, ma non va dove sperava Gramsci. Va dall’altra parte, in sostanza – date le numerose ed insanabili aporìe di cui è portatrice – va contro al muro.

Speriamo che il muro regga, in modo che, dopo lo schianto, si possano almeno raccogliere i cocci per ripartire, sperabilmente non verso una qualche forma di nuova Egemonia.

Di Franco Ferrè per ComeDonChisciotte.org

15.08.2024

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