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Nelle prossime ore i Capi di Stato europei si riuniranno per l’ennesima volta in videoconferenza nel tentativo di raggiungere un’intesa sulla distribuzione dei miliardi contenuti nel Recovery Fund. Questo strumento, assieme a Mes, Sure e Bei, è una delle quattro frecce presenti nella faretra di Bruxelles.
Dopo un lunghissimo tira e molla per far inghiottire la “medicina amara” ai Paesi frugali, cioè a quel gruppetto formato da governi rigoristi, assolutamente contrari a regalare denaro a pioggia agli Stati europei in difficoltà, sembrava che la strada per l’adozione del fondo d’emergenza fosse ormai spianata. Sbagliato: la discussione si era soltanto trasferita su un altro piano. Non più sullo strumento in sé, accettato a certe condizioni, quanto sulla quantità di aiuti e sulla tempistica.
La prima proposta, messa sul piatto da Francia e Germania, consisteva nel “mettere insieme un fondo temporaneo di 500 miliardi di euro”. La Commissione europea, guidata da Ursula von der Leyen, aveva rilanciato con 750 miliardi, 500 dei quali in sovvenzioni e 250 in prestiti. Insomma, le discussioni sulla suddivisione dei miliardi sono ancora in corso, e la sensazione è che ci vorrà ancora del tempo prima di arrivare a un punto d’intesa.
Criteri controversi
In ogni caso è interessante leggere l’articolo pubblicato dal quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung. Tutto ruota attorno a una domanda che pochi si sono posti: che cosa c’entra il Recovery Fund con il coronavirus? O meglio: questo fondo di emergenza temporaneo ha davvero a che fare con l’emergenza sanitaria in atto? A giudicare dai finanziamenti pianificati da Bruxelles per le varie economie dell’Europa, sembrerebbe proprio di no.
Già, perché se è vero che questo strumento aiuterà le economie dei Paesi più colpiti dal virus a ripartire, è altrettanto vero che altri Stati, molto meno colpiti dal Covid, riceveranno vantaggi ancora più grandi. Scendendo nel dettaglio, la maggior parte dei soldi finirà rispettivamente in Bulgaria, Croazia e Grecia. Sofia riceverà fondi pari al 16% del proprio pil; Zagabria il 15% e Atene il 14%.
L’Italia, uno degli Stati più colpiti d’Europa, riceverà il 5% del proprio prodotto interno lordo; la Spagna il 7%; la Polonia l’8%. Un altro esempio? Il Covid ha colpito allo stesso modo tanto la Francia quanto la Romania. Solo che Parigi dovrà accontentarsi di sovvenzioni pari al 2% del pil, a fronte del 10% che invece finirà nelle tasche di Bucarest. Misteri burocratici del Recovery Fund.
Chi ci rimette e chi ci guadagna
In base alle percentuali citate, sembra quasi che il Recovery Fund non serva a equilibrare – come ha sempre sostenuto Bruxelles – le conseguenze della crisi scaturita in seguito alla pandemia, ma ad aiutare gli Stati economicamente più deboli mediante una sorta di “ridistribuzione” di denari.
Calcolatrice alla mano, infatti, a Francia e Germania saranno destinati 43 e 34 miliardi; all’Italia 86 miliardi, alla Spagna 81, alla Polonia 38. Una ricerca dell’Istituto tedesco per l’economia (IW) – che dall’inizio della crisi ha delineato l’entità degli aiuti in rapporto allo sviluppo economico dei vari Paesi – ha fatto emergere un risultato sorprendente.
I principali beneficiari delle sovvenzioni europee? La Bulgaria. Alle spalle dei bulgari troviamo Croazia, Polonia, Romania e Lettonia. Sofia deve fare i conti con una perdita del pil pari al 7% ma, grazie a un transfer pari al 15%. E, invece, quali sono i Paesi che ci rimettono di più? Irlanda, Francia, Belgio, Olanda e Germania. Tutti questi governi riceveranno molti meno soldi rispetto a quanti ne hanno persi durante la pandemia di Covid.
19.06.2020
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