di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Diciamolo chiaramente, per ben dodici lunghissimi anni, la paura per i tanto paventanti mantra dello “spread” e dei “mercati”, ci ha accompagnato a pranzo e cena, fino a non farci dormire la notte.
Non passava giorno, senza che i vari e “così detti” economisti di regime di casa nostra – rappresentati in prima linea da Marattin, Brunetta ed il banchiere fiorentino Bini-Smaghi con moglie a seguito (l’economista Veronica De Romanis) – ci ricordassero attraverso i loro social o nelle loro ospitate televisive quotidiane, quanto il destino del nostro debito pubblico, fosse in mano ai mercati finanziari.
I più fervidi credenti dopo tale e ripetuta predica, nelle loro preghiere serali, sono arrivati addirittura ad affiancare a Nostro Signore il “Dio dei mercati”. Sì, avete capito bene, oggi, quando parliamo con qualcuno, in particolare con chi opera nel mondo finanziario, si ha la netta percezione che molti, ancora considerino i mercati alla stregua di una divinità degna delle opere di Omero.
Il “mercato” sopra tutto e tutti e che nessuno più comandare e distruggere, insomma la paura assoluta da infondere nel genere umano e da sbandierare ogni volta sia necessario imporre qualcosa al popolo ignaro.
Dire, oggi ancora una volta: “Noi ve lo avevamo detto, che i mercati non contano niente di fronte alla potenza di fuoco di una banca centrale….!!!” – non serve a niente e fa apparire “Megas” e tutti gli studiosi della Modern Monetary Theory, antipatici e perfino narcisisti.
Vi assicuro che non è così!
Molti di noi (la maggior parte per passione e sete di verità), hanno dedicato anni di studio e di verifica sulla bontà di quanto affermato da Warren Mosler ed i suoi allievi, in merito al funzionamento della moneta fiat e dei sistemi monetari moderni.
Ma veniamo al dunque: se ancora qualcuno avesse dubbi sul fatto che i tassi di interesse non li decidono i mercati ma le banche centrali, negli ultimi due mesi ne abbiamo avuto l’ulteriore prova, che va a sommarsi a tutte quelle già intascate dal famoso “whatever it takes” di Draghi in poi.
La tensione sui titoli di stato italiani, che ha raggiuto i suoi massimi a metà giugno, oggi si è notevolmente placata, come segnala la discesa dello spread.
Se ricordate, in quel periodo il differenziale raggiunse i 250 punti base. In pratica, un BTp a 10 anni arrivò ad offrire un rendimento del 2,50% più alto di quello di un Bund di pari durata. In queste ultimissime sedute, il differenziale si è ristretto in area 200 punti.
Ragionando secondo il falso pensiero che tutto dipende dai mercati – se consideriamo che nel frattempo i tassi stanno aumentando per mano delle banche centrali, è caduto il governo Draghi e l’Italia è piombata in campagna elettorale, i fondamentali economici del nostro paese non sono certo migliorati ed addirittura è arrivata la comunicazione che Moody’s ha variato l’outlook per il rating sovrano assegnato all’Italia da “stabile” a “negativo” – dovremmo stare qui a chiederci del perché i mercati stessi avrebbero reagito acquistando di fronte ad eventi e previsioni così nefaste per il nostro paese.
La risposta è presto detta: a ridurre gli spread ci ha pensato la mano della BCE, attraverso lo strumento del PEPP.
Se vi ricordate, in occasione della presentazione del nuovo scudo anti-spread (TPI), il governatore Christine Lagarde in conferenza stampa tenne a precisare come “la prima linea di difesa” per i bond dell’Eurozona fosse data dai reinvestimenti realizzati, appunto con il PEPP.
Il PEPP è il piano anti-pandemico varato nel marzo 2020 e rimasto attivo fino al 31 marzo scorso. In tutto, 1.690 miliardi di euro di titoli acquistati in due anni senza le limitazioni fissate per il “quantitative easing”.
In pratica, la BCE ha potuto deviare dal “capital key”, la regola che lega le quantità di bond acquistate alle dimensioni delle singole economie dell’Eurozona. Man mano che questi titoli in portafoglio scadono, l’istituto potrà impiegare la liquidità ottenuta per ridurre gli spread dei bond colpiti da vendite.
I dati di giugno e luglio scorso dimostrerebbero che ciò stia già avvenendo.
Ecco gli acquisti netti realizzati con il PEPP per ciascun paese in milioni di euro:
- Austria: 144
- Belgio: 6
- Cipro: 0
- Germania: -14.279
- Estonia: 0
- Spagna: 5.914
- Finlandia: 536
- Francia: -1.213
- Grecia: 1.089
- Irlanda: 172
- Italia: 9.762
- Lituania: 19
- Lussemburgo: 12
- Lettonia: 0
- Malta: -6
- Olanda: -3.383
- Portogallo: 514
- Slovenia: 10
- Slovacchia: 0
- Totale: -705
Complessivamente, in due mesi la BCE ha ridotto il suo portafoglio PEPP di 705 milioni di euro, ma nel frattempo ha accresciuto le esposizioni verso alcuni paesi, mentre le ha ridotte verso altri. I principali beneficiari sono stati Italia (9,76 miliardi), Spagna (5,91 miliardi) e Grecia (1,09 miliardi). Viceversa, i principali sfavoriti sono risultati Germania (-14,28 miliardi), Olanda (-3,38 miliardi) e Francia (-1,21 miliardi).
Cos’è successo nel concreto? Per ridurre gli spread, la BCE ha comprato BTp, Bonos e titoli di stato della Grecia, mentre ha venduto Bund, bond olandesi e Oat francesi. Questa è l’ulteriore prova che il riavvicinamento dei rendimenti sia opera esclusiva della BCE e non dovuto ai meccanismi di mercato.
In definitiva, la Banca Centrale Europea sta svolgendo in pieno il ruolo di prestatore di ultima istanza (The Lender of Last Resort), caratteristica essenziale di ogni banca centrale che possa definirsi tale sul pianeta Terra.
L’aspetto drammatico di tutto questo, è che si sia dovuto attendere dodici anni e la totale distruzione del tessuto economico sociale di due paesi dell’Unione europea – quali appunto Italia e Grecia – per far sì che la BCE facesse quello che avrebbe potuto fare fin da subito.
Che dietro a questo agire, o meglio “agire a comando” per lunghi anni, da parte della BCE, ci sia stato un disegno ben preciso è indubbio. Stiamo parlando di professionisti e non de “l’uomo della strada” – professionisti che sanno bene quello che fanno e non possono certo venire a raccontarci, che quello che fanno oggi per salvare la moneta euro, era a loro sconosciuto ieri, quando invece si sarebbe dovuto trattare di salvare famiglie ed imprese dal dramma che tutt’ora stanno vivendo.
Nell’analizzare quanto argomentato nel presente articolo mi sono imbattuto in alcuni articoli che pur non potendo non evidenziare in modo chiaro la realtà riguardo all’operato della BCE, arrivano poi a considerazioni talmente assurde, sia in tema di inflazione che di garanzia dei debiti pubblici da parte di Francoforte, che riescono a contraddirsi all’interno dell’articolo stesso.
Uno su tutti è questo articolo apparso su Investireoggi [1] – dove l’autore Giuseppe Timpone – seppur avendo descritto perfettamente l’azione della BCE sugli spread, nel suo articolo del giorno prima [2] – arriva a contraddirsi in maniera direi del tutto inspiegabile, per chi usa le normali logiche dell’intelletto.
Se diamo per certo, a questo punto, che il livello dei tassi è deciso esclusivamente dall’azione delle banche centrali, proprio perché sono gli unici soggetti che per loro caratteristica, possono svolgere il compito di prestatore di ultima istanza, che senso ha poi affermare, come afferma Timpone, che “l’istituto (la BCE), non potrà continuare a ridurre significativamente la quota dei bond di alta qualità per fare spazio a quelli di qualità inferiore. Rischierebbe di essere percepita come una “bad bank” sui mercati finanziari. E ciò impatterebbe negativamente sull’efficacia della sua stessa politica monetaria”.
Come vedete, dopo aver constatato con i fatti, la supremazia della Banca Centrale sui mercati, si torna nuovamente ad adorare la divinità del “Dio mercato”. Addirittura si prefigura un concetto tra i più folli che, chi vi scrive abbia mai ascoltato: si ipotizza il nefasto evento, che una banca centrale possa essere considerata una “bad bank”.
Di fatto si equipara la BCE ad una qualsiasi banca commerciale che agisce all’interno del settore privato e che deve rispettare criteri di bilancio ben precisi: costi e ricavi, attività e passività su tutti.
Ma le banche centrali, come sappiamo e come più volte hanno dovuto confessare alcuni dei loro più illustri governatori (da Mr Powell a Madame Lagarde), non potranno mai essere a corto di liquidità, stante il loro esclusivo potere di creare denaro dal nulla che permette loro di poter coprire qualsiasi tipo di passività presente e futura.
Quindi una banca centrale, per sua stessa natura, non potrà mai essere una “bad bank” e quindi per nessuna ragione al mondo i mercati potranno percepirla come tale.
L’altra affermazione avventata, Timpone la fa sul tema inflazione collegato alla riduzione degli acquisti (“tighthering”):
“ma la motivazione di fondo è più ampia: il PEPP è finito e avendo la BCE la necessità di ridurre la liquidità in circolazione per fermare la corsa dell’inflazione, deve sterilizzare i nuovi eventuali acquisti. Come? Contrapponendo loro le vendite di altri bond”. [1 ibidem]
Se pur vero, come abbiamo visto, che vendere un titolo a rendimento inferiore ed acquistarne un altro a rendimento maggiore, fa parte della politica monetaria della BCE per ridurre gli spread all’interno del sistema-euro, dove ancora sopravvive una assurda (per chi usa la stessa moneta) frammentazione in relazione ai debiti degli stati membri; è completamente errato il concetto, posto da Timpone, che prefigura, attraverso una riduzione degli acquisti netti, una riduzione della liquidità in circolo per far fronte agli attuali fenomeni inflazionistici.
Come abbiamo spiegato più volte, i vari strumenti di politica monetaria che le banche centrali utilizzano per determinare il livello dei tassi (su tutti il ben noto “quantitative easing”), non aumentano la quantità di moneta in circolazione, poiché in pratica, consistono solo nel trasformare un conto di riserva in un conto deposito. Ovvero chi prima aveva un BTp oggi si trova il suo controvalore depositato sul proprio conto corrente.
Anzi se proprio vogliamo dirla tutta, la decisione di aumentare i tassi – di fatto una scelta di politica fiscale che spetterebbe ai governi, i quali poi danno l’indirizzo alla banca centrale – di per se, sarebbe una misura inflattiva. Infatti, pagando somme più alte di interessi sui propri titoli, lo Stato di fatto aumenta la moneta in circolazione e di conseguenza la capacità di spesa del settore privato.
Anche questo conferma, quanto Warren Mosler ci mostra in un suo recente “framework” sull’analisi del livello dei prezzi e dei tassi di interesse [3] – ovvero che i banchieri centrali interpretano al contrario la politica sui tassi e come sempre sostenuto e dimostrato, per controllare e gestire i fenomeni inflattivi, l’unica via sono le politiche fiscali dei governi; oggi purtroppo totalmente assenti, o peggio ancora messe in atto con l’esclusivo scopo di trasferire ricchezza dalla massa all’élite di comando.
Poi certamente, ironia della sorte, quando il fenomeno inflattivo in corso (dovuto per la quasi totalità a fenomeni speculativi di mercato), invertirà la tendenza, leggeremo sui giornali, che la politica di aumentare i tassi ha funzionato; mentre, noi sappiamo che il motivo reale non sarà certo questo, ma bensì, che la domanda di greggio o di alimenti sarà scesa ad un livello tale, che per acquistarli dovranno, gioco forza, scendere anche i prezzi.
di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
NOTE
[1] Perché la BCE sta vendendo titoli di stato tedeschi e per quanto tempo (investireoggi.it)
[2] C’è la mano della BCE dietro lo spread, ecco i numeri di giugno e luglio (investireoggi.it)