DI TONGUESSY
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Quel cimitero era enorme, quasi una città. All’inizio c’erano tombe che davano sfoggio di magnificenza con lapidi di splendida fattura e abbondanti fiori freschi. Tombe recenti. Ma via via che si proseguiva verso la parte opposta l’aspetto cambiava radicalmente. Lapidi modeste con foto sbiadite troppo uguali, ed erbacce che crescevano un po’ dovunque a dimostrazione della mancanza di interesse verso quei luoghi una volta ritenuti sacri e ora profanati dall’incuria ed onorati solo da rimasugli di fiori di plastica stinti e rovinati dalle intemperie.
L’anziano aveva voluto essere cremato. Una scelta che mi pone delle domande su quando la Greta di turno tuonerà contro questa usanza barbara che consuma enormi quantità di risorse naturali generando nel contempo CO2 altrimenti evitabile tramite il lodevole e noto meccanismo della decomposizione naturale. In generale però si tende a garantire l’ultimo desiderio al morituro. Ma con svariate eccezioni. Come quei giovani morti sotto il fuoco nazista che non avevano un ultimo desiderio; ne avevano molti che volevano essere parte di una lunga serie, tipico di chi si aspetta di avere una vita davanti. La lapide che ricopriva il loro grande loculo dimostra l’affetto dei parenti e la loro volontà di iscrivere nel marmo l’insensatezza e la disperazione per una vita troncata così prematuramente. Eppure anche quella sacralità era in uno stato di abbandono. Quei genitori e fratelli saranno morti, anche loro sepolti da qualche parte e anche a loro saranno stati tributati tutti gli onori dovuti. Ma di quei figli uccisi in epoca relativamente lontana ormai s’era persa la memoria, a giudicare dallo stato delle lapidi.
Ci si dimentica. Le nostre promesse fatte vengono tritate dal Tempo, che ne sparge i resti nel cimitero della memoria dove tutto giace silente ed immobile. Il tribunale dei ricordi è inflessibile e la condanna irrevocabile: tutto viene dimenticato. Al massimo se ne ricordano frammenti per lo più irrilevanti: la grandezza di quell’impero, le gesta di quel conquistatore. Le miriadi di sofferenze sono invece gettate sotto all’eterno tappeto dei dimenticati.
Tanto vale dimenticare già da subito. Gettare quel corpo ormai rigido nella fossa comune in modo che l’oblio ricopra da subito il luogo fisico destinato alle erbacce e ai fiori di plastica. Va a finire sempre così, a giudicare da quello che ho visto.
L’officiante, come tutti gli officianti, pur non essendo legato ad alcun culto (il morto era tutto tranne che credente) celebra con frasi vacue e fatue la spettrale quanto scontata cerimonia. Nell’indifferenziato postmoderno cultura laica e religiosa sono ormai indistinguibili come le relative omelie. Le roi est mort, vive le roi! Fatto che rende immortali eroi e vigliacchi, infami e santi, colpevoli ed innocenti. E’ una faccenda morale, quella del morto santificato, che vede impegnati tutti a partire dalle pompe funebri. Un esercito di volonterosi Caronte si offrono a traghettare le comunque meravigliose anime oltre lo Stige, nella terra promessa. O forse, più correttamente, obbligata. Se c’è una verità, è quella legata alla irrinunciabile dipartita. Questo, e solo questo, ci rende tutti uguali. Per il resto le differenze sono davvero esagerate. Un morto, ho avuto modo di sapere, si era lamentato perché poco prima di lasciarci aveva organizzato una cena con svariati parenti e diceva di avere speso una cifra spropositata. Il che lo faceva più povero, all’atto della dipartita, di qualche centinaio di euro. Mi risulta difficile catalogare questo episodio.
L’auto dell’impresa funebre proseguiva lentamente lungo i filari di tombe ben ordinate a destra e sinistra. Le distanze in quel cimitero erano tali da consigliare l’uso di mezzi meccanici. L’anziana parente seduta a lato del guidatore non aveva ben compreso la necessità di allacciarsi le cinture di sicurezza all’interno del cimitero mentre l’auto procedeva a passo d’uomo. L’allarme intanto fischiava insistentemente. Tipica questione di ignoranza artificiale, il contraltare mai nominato dell’intelligenza artificiale di cui quotidianamente si tessono le lodi e al cui cospetto impallidiscono anche le purghe staliniane: la ratio, per quanto attiene all’automotive, rimane il compiacere al computer di bordo, qualsiasi cosa decida. Anche allacciarsi le cinture all’interno del cimitero con auto che procede a 10 km/h.
Via via che ci si avvicinava al limite estremo del cimitero si passava, dicevo, dagli importanti monumenti funerari delle prime file (pole position) ai retrocessi, salme che il Tempo aveva relegato a posizioni congrue con l’oblio che si era impossessato di chi avrebbe dovuto onorare quelle passate esistenze. Lapidi sempre più grigie ed anonime scivolavano davanti ai finestrini mentre fiori sempre più improbabili pretendevano di arredare un contesto in evidente stato di abbandono generale.
L’impresario funebre parcheggia nello stretto viale, e ci invita a salire sul marciapiede che costeggia il muro di cinta. Poco distante c’è il luogo stabilito. Si presenta l’incaricato comunale con il sacchetto di polvere. Ce lo fa toccare. Non so se sia un gesto apotropaico oppure affettuoso verso chi fino a pochi giorni prima poteva ancora chiamarci per nome. Polvere sei e polvere tornerai. Ok, ma con calma. Soddisfatto di quella improbabile e brevissima cerimonia, l’incaricato si cala lunga una botola e deposita sopra ad un ripiano nel sottostante terreno il sacchetto vicino ad altri sacchetti e urne. Cosa ne sarà di quel sacchetto non è dato sapere. Alla domanda l’incaricato allarga le braccia: forse non gli mancano troppi anni prima di andare in pensione. Poi anche per lui ci sarà una cerimonia funebre, ma vissuta dall’altra parte della staccionata. Ci saranno solenni esequie con officianti che declameranno le virtù di quella magnifica persona. Verrà sepolto in pole position, ed i parenti tutti faranno a gara per addobbare gli splendidi manufatti di arte funeraria posati in suo onore con fiori e piantine. Poi lentamente ma inesorabilmente i parenti si dimenticheranno, la pole position non sarà più tale e le piantine diventeranno arbusti stonati in un contesto di generale abbandono. I celebrati per le loro virtù cadranno invariabilmente nell’oblio, facendoci riflettere sul senso stesso di virtù, tritate dal Tempo nell’indifferenziato valore dei dimenticati.
L’affannosa rimozione del concetto di morte e di lutto associato trova nel gaudente della spritz society un ineffabile endorser. Tutto giusto, per carità. Ma io ripenso a quelle tombe e a quanto labile la memoria umana sia, con tutti gli esclusi volutamente dimenticati senza celebrarne le gesta perché giudicate sconvenienti sulla base di precetti morali od opportunistici. Il Reale si dipana così tra memorie e dimenticanze, in un balletto troppo spesso poco equilibrato dove i valori assumono significati variabili a seconda di circostanze e convenienze.
La liturgia lineare (quella stessa della crescita infinita) prevede che si transiti dal punto A al punto B (rigorosamente migliore di A) tramite il percorso più breve. Poi si prosegue verso C, poi D e via così. Non deve quindi stupire che se nel bel mezzo di questa palese menzogna succede l’irreparabile si sviluppi l’affannosa ricerca della negazione e dello scongiuro. Come sia potuto succedere rimane il segreto custodito dai chierici di tale liturgia, mentre si moltiplicano le operazioni di destrutturazione del fenomeno: “siamo ormai fuori della crisi”, “la disoccupazione ha subito un arresto”, “gli angeli hanno accompagnato la persona amata verso la vita eterna”. Mentre nel mondo fisico la crisi imperversa, la disoccupazione è una grossa piaga sociale e la morte continua a mietere vittime anche tra gli innocenti, nel mondo metafisico uno stuolo di entità “positive” è stato incaricato di ridare credibilità al disastro semplicemente negandolo ed insabbiandolo. La mano invisibile del mercato o degli angeli sembra funzionare solo in ipotetici non-luoghi. L’evento si guadagna quindi un indimenticabile posto in pole position mentre il tribunale del Tempo ha già emesso la propria sentenza. Nei tempi televisivi attuali dimenticare la ciclicità della vita diventa un obbligo per onorare la liturgia lineare e nel contempo redimere una coscienza che si affievolisce fino a scomparire. The spritz society must go on mentre la Milano da bere si apre fiduciosa al pensiero positivo, utile per i parlanti e indispensabile per muti e mutanti.
Andrà tutto bene, perché questa è l’unica strada percorribile. E se andrà male, dimenticheremo.
“Dimenticare è molto spesso determinato da un motivo inconscio e permette sempre di dedurre le intenzioni segrete della persona che dimentica.” Sigmund Freud- L’interpretazione dei sogni
Tonguessy
Fonte: www.comedonchisciotte.org
luglio 2020