Cittadini di una sola classe

Lettera aperta a Giorgio Agamben

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di Stefano Vespo
comedonchisciotte.org

Tutti corsero incontro alle loro catene
credendo di assicurarsi la libertà”
J. J. Rousseau, Discorso sull’origine della disuguaglianza tra gli uomini.

Egregio professor Agamben,

Le scrivo per sottoporLe una riflessione che mi ha suggerito il suo intervento dal titolo “Cittadini di seconda classe”. Lei scrive che ogni volta che si istaura un regime d’emergenza, ovvero un regime dispotico, “il risultato è, come è avvenuto per gli Ebrei sotto il fascismo, la discriminazione di una categoria di uomini”.

È evidente che viviamo da quasi due anni in una condizione di continua sottrazione dei diritti giustificata da uno stato d’emergenza; emergenza grazie alla quale profondi istinti missionari hanno potuto scatenarsi, oltre che nei governanti, anche in molti amministratori locali, generando una pletora di ordinanze restrittive prive di qualsiasi fondamento giuridico, e sostenute unicamente dal terrore della propaganda.

Tuttavia, è il termine discriminazione che mi sembra inadeguato ad esprimere la novità di quello che oggi stiamo vivendo. Il termine discriminazione, ovvero la distinzione tra cittadini dotati di diritti e cittadini a cui importanti diritti civili vengono sottratti, non descrive esattamente la situazione alla quale ci consegna il green pass. Il confronto con gli eventi storici del passato ci aiuta a leggere meglio il presente, non solo nei suoi elementi di continuità, ma anche nei suoi elementi di novità

Oggi, credo, non si vuole affatto attuare una distinzione così netta, come quella che si attuò in passato tra Ebrei e non Ebrei. Durante la dittatura nazista e fascista, lo status di Ebreo era una condizione assoluta e immodificabile. Oggi la divisione avviene tra vaccinati e non vaccinati. Tuttavia, lo status di vaccinato non è assoluto, come poteva essere lo status di Ebreo, ma è legato ad una scelta: la vaccinazione. Inoltre, dal momento che già si parla di terze, quarte, e infinite altre dosi per fronteggiare ogni futura variante, lo status di vaccinato finisce per acquistare un carattere fortemente transitorio: richiede la ripetizione periodica della scelta, a confermare infinitamente, ma mai una volta per tutte, il proprio status.

Ma c’è qualcosa di più. Qualcosa che priva i vaccinati della sensazione di appartenere ad una classe eletta, anche se la propaganda mira in ogni modo a presentarla così, ribadendo che i vaccinati sono persone colte e intelligenti, che si affidano alla scienza invece di perdersi in pericolose fantasie negazioniste. In realtà, neanche categoria dei vaccinati gode affatto dei diritti dei quali la categoria dei non vaccinati viene privata. È vero che ai vaccinati i diritti vengono concessi, ma a condizione che si vaccinino. E che, con ogni probabilità, compiano periodicamente quel rito che confermi il loro status.

Il green pass, in fondo, è la negazione che gli uomini possano godere dei diritti fondamentali semplicemente in quanto uomini. E questo vale per tutti, perché la privazione di questo diritto riguarderà tutti: rendere condizionati i diritti di cui i cittadini devono godere il quanto cittadini, vuol dire negarli.

Un diritto condizionato non è un diritto; un diritto concesso a certe condizioni trasforma in suddito chi lo riceve. In concreto, lo priva del diritto a godere dei propri diritti.

Per questo, credo che oggi non si possa parlare di discriminazione, ma di un trasferimento di tutti i cittadini in uno scompartimento di infima classe, ovvero di una trasformazione di tutti in non-cittadini. L’operazione di polarizzazione dell’opinione pubblica tra chi è vaccinato e chi non lo è, operazione alla quale ogni singolo utente dei social partecipa attivamente con enorme dispendio di tempo ed energie, in fondo mira a mascherare questa identità fondamentale, questa pericolosissima trasformazione collettiva.

Certo, sembra una condizione ancora peggiore di quella creata dalle dittature novecentesche, della condizione della discriminazione. E sicuramente è così. Eppure, ciò potrebbe non essere un fatto necessariamente negativo. Dimostra invece il limite oltre il quale la propaganda ben presto non potrà più andare.

I temi sui quali questa ha insistito per spingere quanta più gente possibile a vaccinarsi sono stati quelli della colpevolizzazione e dell’esclusione sociale: vaccinarsi per proteggere gli altri, vaccinarsi per sconfiggere il virus e riavere la libertà sono stati i motivi che hanno spinto moltissima gente ad accalcarsi negli hub vaccinali. Tuttavia, i vaccini sembra che non proteggano dalle varianti, oltre ad esporre ad effetti avversi, di cui i bugiardini si arricchiscono ogni giorno di più; inoltre, non hanno restituito tutte quelle libertà sperate. I vaccinati, più che gli appartenenti ad una classe di eletti, si sono sentiti persone espostesi con generosità ad un sacrificio che non ha dato loro alcun risultato. Mi chiedo: potrà la propaganda insistere indefinitamente sull’identico tema della colpevolizzazione, del sacrificio, della realizzazione del sogno collettivo sempre rimandato? Si potrà vivere indefinitamente schiacciati tra da un’aspettativa perennemente delusa, e il terrore dell’esclusione sociale, della colpevolizzazione?

Per non parlare dell’estrema facilità con cui, in quasi due anni, abbiamo via via sostituito i simboli del male: i ragazzi, gli asintomatici, adesso i non vaccinati. Sempre in modo da renderli funzionali all’interesse del momento: la didattica a distanza, i confinamenti, la vaccinazione obbligatoria.

La ragione è spesso un commento alle proprie passioni, e questa mia riflessione non sfugge alla regola. È forse il bisogno di vedere una fine, un errore nella macchina, che mi spinge a esprimere queste idee.

Viviamo un periodo in cui la vera guerra si combatte all’interno della propria psiche. Un tempo nel quale non possiamo più avere aiuto neanche dalle categorie politiche per vederne il seguito, per immaginarne l’oltre.

Eppure, è un bisogno vitale poter gettare lo sguardo oltre in nostro tempo. Da cosa nasce questo bisogno, questa urgenza? Dal fatto che il tempo attuale è un tempo di massima crisi. È il tempo in cui le strutture materiali su cui si modella la nostra intera esistenza si sono rivelate non solo una complessa architettura burocratica, una immensa macchina che il singolo soggetto non può né conoscere né influenzare; ma anche una struttura oppressiva e ricattatoria, che può compromettere la fruizione dei diritti più elementari. Questo fatto è ormai evidente. Il tempo di massima crisi è il tempo dell’evidenza del fallimento. Per questo lo sguardo ha bisogno di vedere oltre, il linguaggio ha bisogno di nuove categorie di analisi

Il rapporto con la tecnica è la chiave del nostro tempo. Basti considerare il modo in cui viene sfruttato dalla propaganda: lo scienziato, presentato come depositario di un sapere assoluto e indubitabile, occupa costantemente la scena dello spettacolo. Come scriveva Ortega y Gasset all’inizio del Novecento, l’uomo-massa, che è il prototipo dell’uomo attuale, è “un primitivo, che dalle quinte è scivolato sul palcoscenico della civiltà”; cioè, un primitivo che usufruisce della tecnologia come di “un frutto spontaneo di un albero edenico”, ignorando totalmente il processo scientifico che sta dietro ogni conquista. Ignorando totalmente la razionalità della scienza, e incapace di istaurare una relazione razionale e creativa con il mondo. Capace solo di un rapporto di dipendenza passiva e acritica nei confronti della tecnica, di una fede assoluta in ciò che invece è la negazione più radicale di ogni fede e dogmatismo.

La tecnica, a partire da questa visione passiva e acritica, finisce per mostrarsi in una dimensione di assoluta potenza, di fronte a cui ogni limite morale non può che apparire bigotto, reazionario e ipocrita. Ma questo può accadere solo se si è resa la tecnica l’unica dimensione razionale entro cui concepire la vita umana.

Se perduriamo in questo stato di primitivi che semplicemente fruiscono dei frutti della civiltà, rinunciando ad esercitare noi stessi la facoltà razionale, a coltivare una relazione col mondo fondata sulla ricerca soggettiva e creativa di senso, sarà difficile cominciare a vedere un oltre.

Con ammirazione
Stefano Vespo

Pubblicato da Tommesh per Comedonchisciotte.org

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