Dietro alle grandi opere boliviane la multinazionale Usa che continua ad
operare all’estero.
A chi ancora parla di sviluppo sostenibile in Bolivia basta fare un nome che
è tutto un programma: Enron, la compagnia che, dal 2001, è diventata
sinonimo di bancarotta e trucchi contabili. Ma in Bolivia Enron significa
anche disastro ambientale, corruzione e mazzette, e non sorprende che gli
indigeni, i contadini e i sindacalisti vedano come il fumo negli occhi
qualsiasi ulteriore privatizzazione delle risorse naturali del paese.Il gasdotto Cuiaba della Enron passa ad appena 180 metri da San Miguelito,
un villaggio indigeno situato nella foresta tropicale boliviana di
Chiquitano. Quando Enron riuscì ad accaparrarsi il controllo del controverso
progetto assicurò che la comunità sarebbe stata risarcita. Oggi, il leader
del villaggio Bolnino Socore, ci mette poco a fare la lista dei
risarcimenti: 50 vacche e un pozzo per l’acqua in cambio della merce più
preziosa del mondo. «La compagnia ha detto che era abbastanza, ma noi
dobbiamo convivere con le conseguenze del gasdotto almeno per i prossimi
quarant’anni», ha dichiarato. E le conseguenze sono parecchie. Ci sono le
strade aperte dalla Enron per i cantieri, che hanno aperto la foresta ai
cacciatori di frodo e al contrabbando. Ci sono i rischi di fuoriuscita,
un’ipotesi niente affatto remota visto che nel 2000, un oleodotto della
Enron ha riversato in un fiume delle Ande circa 30 mila barili. Oggi perfino
il governo boliviano ha dovuto rimangiarsi le sue promesse di sviluppo e
aprire un’inchiesta contro la compagnia per i danni sociali, ambientali ed
economici causati nel paese dalla corporation.
“Aiuti per l’ambiente”
E’ noto l’amore che l’attuale amministrazione ha per la Enron. I suoi
lobbisti sono stati talmente attivi da riuscire a ottenere dei finanziamenti
per le operazioni della compagnia in America latina, sotto la dicitura
“aiuti all’ambiente”. Fra le opere “ambientali” c’era appunto il gasdotto di
390 miglia che avrebbe unito Santa Cruz, in Bolivia, a Cuiaba, nello stato
brasiliano del Mato Grosso, dove era destinato ad alimentare la nuova
centrale da 480 megawatt della Enron. La conduttura passa proprio in mezzo
alla foresta di Chiquitano, l’ultima grande foresta tropicale secca del
mondo che, secondo il Wwf, è uno degli habitat più rari e biologicamente più
ricchi della terra e, proprio per questo motivo, fa parte delle circa 200
regioni definite eco-sensibili perché ospita da sola circa 90 specie in via
di estinzione.
Nella foresta di Chiquitano vivono circa 271 diverse comunità di indigeni,
più o meno 60 mila persone la cui sopravvivenza dipende interamente dalla
foresta, o almeno così è stato fino all’arrivo della Enron. Le proteste sono
cominciate subito, appena è stato inaugurato il primo cantiere, e sono
continuate fino al 2000, quando la corporation ha accettato di trattare un
risarcimento pari a due milioni di dollari per finanziare un Fondo per lo
sviluppo indigeno. Nel 2002 il gasdotto era stato completato ma i soldi
ancora non si erano visti. Nella primavera del 2003 la compagnia ha
distribuito astutamente degli spiccioli fra alcuni dei membri più influenti
della comunità mentre i danni irreversibili causati dal gasdotto, che ha
ormai compromesso la foresta aprendola alle miniere, ai cacciatori, agli
allevatori e all’agricoltura intensiva, costringeva le popolazioni locali a
lasciare la foresta e a raggiungere le baraccopoli delle città.
Il gioco delle tre carte.
Secondo le indagini del Congresso statunitense, gli investimenti della Enron
in Bolivia facevano parte integrante della complessa architettura
finanziaria della corporation, il castello di carte crollato nel 2001. I
profitti del Cuiaba project, ad esempio, continuarono a venire messi in
attivo per tre anni di seguito anche se il gasdotto aveva già pompato tutto
il gas che doveva pompare alla fine del Œ98. Sopravvalutando il Cuiaba
project, e poi rivendendone le azioni da una succursale all’altra della
stessa compagnia, Enron è riuscita a ricavare profitti per più di un milione
di dollari.
Nel 2001, com’è noto, il gioco è finito. Le operazioni della Enron in
Bolivia non sono comunque incluse nella procedura di bancarotta della
compagnia, il cosiddetto Capitolo 11, e anzi pare che il Cuiaba sia
considerato un aspetto chiave dei progetti di riorganizzazione della
corporation. Secondo i manager, il collasso finanziario non impedirà alla
compagnia di onorare i propri impegni nei confronti delle comunità indigene.
Nel frattempo, però, l’inchiesta voluta dal governo di La Paz va avanti, e
potrebbe risultare che Enron ha ottenuto illegalmente l’autorizzazione per
costruire il gasdotto e i diritti di trasporto del gas. La storia risale al
1994, quando Enron, insieme alla Shell, vinse la gara d’appalto battendo la
compagnia statale Ypfb. Come ha fatto? E’ semplice: è bastato acquisire il
controllo della società pubblica per la durata della gara. Poi, prima che il
nome del vincitore venisse reso noto, ha rivenduto le azioni della Ypfb,
recuperando in pieno quanto aveva speso per acquisire il controllo della
concorrente pubblica. In perfetto stile Enron, appunto.
di Sara Moretti
da Liberazione(14/10/03)