Se la Russia “vede il bluff” di Washington sull’Ucraina agli Stati Uniti restano poche opzioni
Ted Galen Carpenter – Antiwar.com – 19 aprile 2021
Le crescenti tensioni tra la Russia e l’Ucraina stanno producendo un’ondata di spacconate da parte dell’amministrazione Biden, così come da parte dei “falchetti” dei think tank di Washington. L’amministrazione continua ad assicurare al governo dell’Ucraina che gli Stati Uniti e la NATO spalleggeranno Kiev nel suo confronto con i separatisti sostenuti dalla Russia nella regione orientale del Donbass e con la Russia stessa. Un comunicato stampa della Casa Bianca del 2 aprile ha confermato che, in una telefonata al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Biden “ha ribadito il deciso sostegno degli Stati Uniti alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina di fronte alla continua aggressione della Russia nel Donbass e in Crimea“. Altri funzionari di alto livello dell’amministrazione, tra cui il Segretario alla Difesa Lloyd Austin e il Segretario di Stato Antony Blinken hanno fatto lo stesso.
In superficie, i russofobi americani sembrano quasi avere voglia di una resa dei conti militare con Mosca. Le relazioni bilaterali complessive sono ulteriormente peggiorate il 15 aprile, quando l’amministrazione ha imposto una serie di sanzioni aggiuntive alle imprese ed al governo russi per una serie di presunti misfatti, tra cui la [pretesa] interferenza nelle elezioni americane del 2020, il maltrattamento di Alexei Navalny e altri dissidenti interni, e il comportamento aggressivo verso i paesi vicini. Usando una logica e un linguaggio simile a un ragazzo di scuola media che sperimenta un aumento di testosterone e contempla di sfidare un rivale del parco giochi, l’ammiraglio James Stavridis, ex comandante delle forze della NATO, ha affermato in un editoriale che Putin stava puntando all’espansione territoriale a spese dell’Ucraina, e che Biden deve “fare il muso duro”.
Esperti credibili, tuttavia, dubitano che gli Stati Uniti andrebbero effettivamente in guerra contro la Russia per difendere l’Ucraina. Lo studioso del Quincy Institute, Anatol Lieven, afferma categoricamente che gli Stati Uniti “non hanno alcuna intenzione di combattere la Russia” e dovrebbero, quindi, smettere di armare l’Ucraina e incoraggiare la posizione sempre più bellicosa di Kiev contro il suo vicino più grande e molto più potente. Si spera che Lieven abbia ragione e che, anche se scoppiassero combattimenti tra la Russia e l’Ucraina, la sanità mentale prevarrebbe e i leader statunitensi non lancerebbero una guerra che comporta il rischio intrinseco di un olocausto nucleare.
Una precedente amministrazione statunitense aveva incoraggiato uno dei vicini della Russia a “fare il figo” e mostrare i muscoli militarmente, solo per abbandonare quel cliente quando sono scoppiati i combattimenti reali. George W. Bush ha portato il presidente della Georgia, Mikheil Saakashvili, a credere che il suo paese fosse un prezioso alleato degli Stati Uniti e che gli Stati Uniti e la NATO sarebbero venuti in soccorso della Georgia se si fosse trovata coinvolta in un conflitto armato con la Russia. Saakashvili aveva tutte le ragioni per pensare di avere il sostegno incrollabile di Washington. L’amministrazione Bush aveva fornito milioni di dollari in armi a Tbilisi, addestrato le truppe georgiane e aveva fatto pressioni attive sulla NATO per accettare la Georgia come nuovo membro.
Ma quando un Saakashvili troppo sicuro di sé ha cercato di riprendere il controllo su una regione secessionista e ha ucciso le truppe russe di pace di stanza laggiù, Mosca ha lanciato una controffensiva che ha presto sbaragliato le unità georgiane. Nonostante le precedenti indicazioni di sostegno di Washington, le forze USA e NATO si sono prudentemente ritirate. La Georgia ha dovuto firmare un umiliante accordo per porre fine ai combattimenti.
Washington potrebbe trovarsi ad affrontare una situazione simile se l’Ucraina, confidando nel sostegno degli Stati Uniti e della NATO, dovesse stupidamente cercare di strappare la Crimea alla Russia o lanciare una nuova offensiva contro i separatisti filorussi nel Donbass. Avendo impegnato così pubblicamente il prestigio degli Stati Uniti nel sostenere Kiev, per Washington sarebbe più difficile abbandonare l’Ucraina di quanto lo sia stato per l’amministrazione Bush abbandonare la Georgia al suo destino. I soliti noti insisterebbero che gli Stati Uniti non potrebbero ritirarsi senza subire un danno irreparabile alla loro “credibilità” come superpotenza. Eppure anche funzionari ragionevolmente prudenti probabilmente riconoscerebbero che un intervento militare USA-NATO contro le forze russe potrebbe rivelarsi decisamente troppo pericoloso.
Date queste pressioni contrastanti, la risposta più probabile degli Stati Uniti sarebbe quella di colpire militarmente un simbolo del potere e dell’influenza russa, ma che non comporti un confronto militare diretto con Mosca. La situazione ricorda le opzioni che i leader statunitensi vagliavano durante la Guerra Fredda se l’Unione Sovietica avesse assorbito l’enclave occidentale a Berlino Ovest. L’aspettativa più comune era che Washington si sarebbe astenuta da un confronto nucleare in Europa, ma si sarebbe vendicata eliminando l’alleato di Mosca nell’emisfero occidentale, Cuba.
Una simile risposta “occhio per occhio” è forse ancora più probabile oggi, se l’attuale confronto con la Russia culminerà in combattimenti tra le forze russe e ucraine. Tuttavia, la lista degli obiettivi possibili per una ritorsione da parte degli Stati Uniti non è lunga. Tornare a colpire la Serbia, come l’amministrazione di Bill Clinton fece con entusiasmo negli anni ’90, sarebbe inutile. Anche se Belgrado mantiene stretti legami con Mosca, il paese è democratico e cerca anche di essere ammesso nell’Unione Europea. Anche gli alleati dei media più sicofanti dell’amministrazione Biden avrebbero difficoltà a ritrarre la Serbia di oggi come un’odiosa dittatura o una minaccia alla pace regionale.
La Siria sarebbe un candidato molto più credibile, ma lanciare una grande offensiva per spodestare Bashar al-Assad sarebbe rischioso quasi quanto attaccare le forze russe in Ucraina. Mosca ha una base navale di importanza cruciale in Siria, e migliaia di militari russi operano in quel paese. Il pericolo di uno scontro tra le forze statunitensi e russe, innescando così una guerra su larga scala, sembrerebbe altamente probabile.
Cuba rimane un possibile obiettivo, ma ne esiste uno più facile per una ostentata “guerra di liberazione” statunitense, che costituirebbe anche un’umiliazione geopolitica per la Russia: il Venezuela. L’amministrazione di Donald Trump non ha fatto mistero di volere che il regime di estrema sinistra di Nicolas Maduro venga abbattuto. Non solo l’amministrazione ha fornito sostegno diplomatico e finanziario al leader dell’opposizione Juan Guaido, ma ha chiesto alla Russia di smettere di sostenere il governo di Maduro. Mosca ha certamente sostenuto ampiamente Maduro, e non è esagerato dire che il Venezuela è uno stato cliente del Cremlino. Durante gli anni di Trump, gli Stati Uniti e la Russia hanno condotto una vera e propria lotta per procura riguardo al Venezuela.
Nonostante le aspettative diffuse che Biden avrebbe perseguito un approccio più conciliante, l’amministrazione ha continuato la politica di Trump. Washington riconosce ancora Guaido come presidente legittimo del Venezuela, e la Casa Bianca continua la “dichiarazione di emergenza” di Trump che definisce il Venezuela una minaccia alla sicurezza nazionale.
Nonostante il sostegno economico e politico esistente, qualsiasi intervento militare russo a favore del Venezuela sarebbe altamente improbabile, e i leader statunitensi sarebbero fiduciosi della continua moderazione di Mosca, indipendentemente dalle azioni di Washington. Anche l’opposizione interna ad una guerra di cambio di regime potrebbe essere contenuta senza troppi problemi, anche se alcuni degli alleati progressisti del presidente non ne sarebbero certamente felici. L’amministrazione (insieme con le sue legioni di alleati nei media) farebbe passare l’intervento come necessario sia per rimuovere una dittatura brutalmente repressiva che per prevenire una minaccia russa alla sicurezza nel “cortile di casa” dell’America.
Una guerra di cambio di regime contro il Venezuela è precisamente il tipo di risposta “occhio per occhio” che i mandarini della politica estera statunitense, umiliati ma ancora arrabbiati e aggressivi, potrebbero scegliere per salvare un po’ di prestigio se la Russia dovesse “vedere il bluff” di Washington sulla difesa dell’Ucraina. C’è, naturalmente, un modo molto più facile per i falchi da poltrona e i bombardieri da laptop dell’America di evitare il pericolo di una tale umiliazione. Ma questo approccio richiederebbe loro di smettere i fare i gradassi e di “agitare le sciabole nei foderi”, e non sembrano inclini a scegliere un approccio tanto elementare quanto prudente.
Ted Galen Carpenter, senior fellow in studi di sicurezza al Cato Institute, è autore di 12 libri e più di 900 articoli sugli affari internazionali.
Scelto e tradotto da Arrigo de Angeli per ComeDonChisciotte