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La Redazione

 

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CAPITALISMO: UN SISTEMA DESTINATO AL FALLIMENTO

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A cura di Davide
Il 5 Gennaio 2005
65 Views
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DI MASSIMO FINI

L”Organizzazione internazionale

dellavoro (Ilo), organismo
dell’Onu, ci informa
che nel mondo circa un

miliardo e mezzo di persone

vive con meno di due dollari

al giorno e, di queste, più di

mezzo miliardo con meno di

un dollaro.

In sé il dato non dice nulla.

In un’economia di sussistenza,

basata sull’autoproduzione,

l’autoconsumo e il

baratto, su cui per secoli e

millenni ha vissuto buona

parte dell’umanità – e fino

all’alto Medioevo europeo

tutta la popolazione del pianeta

– uno o due dollari possono

anche essere superflui.Cosa serve il denaro quando

si ha da mangiare, da vestire,

un’abitazione, famiglia,

amici e feste?

Il fatto è che l’economia

monetaria, industriale, di

libero mercato, nata in

Inghilterra attorno al 1750

con la Rivoluzione industriale,

e diventato il modello

di sviluppo dell’Occidente

(Europa e Stati Uniti) attorno

al 1870, ha pian piano

eroso, nel secolo successivo,

anche tutte le economie di

sussistenza del cosiddetto

Terzo Mondo, con un’accelerazione

vertiginosa negli

ultimi trent’anni. È qui che

una parte consistente del

mondo è diventata povera,

anzi miserabile.

Un conto è,

infatti, se un agricoltore

africano o pachistano vive

sul suo e del suo, sulla propria

terra, altro è se lo stesso

individuo vive in una città

di cinque milioni di abitanti

come Nairobi o di dodici

come Karachi dove due dollari

sono appena sufficienti

a sfamarsi memtrte nel primo

caso se ne poteva fare

anche a meno.

Ecco perché

il trionfalismo con cui lo

stesso “Ilo” sottolinea che

comunque negli ultimi dieci

anni la percentuale di chi

vive con due dollari al giorno

è diminuita dal 57,2% al

49,7% e sarebbe quindi

diminuita anche la povertà,

è del tutto fuori luogo. Ciò

significa semplicememte che

un altro dieci per cento della

popolazione

mondiale è stata strappata

dall’economia di sussistenza, in

cui si vive anche senza due dollari

al giorno, e portata in quella

monetaria in cui con due dollari

si fa la fame, ma si esce

dalle statistiche. La povertà

planetaria è quindi aumentata,

ad onta di queste statistiche fatte

senza ragionarci su.

Ed è

perciò pura utopia la previsione

della stessa Onu che entro il

2015 la povertà mondiale sarà

dimezzata. Sarà caso mai allargata

l’area di coloro che essendo

entrati a far parte dell’economia

mondiale integrata non

potranno fare a meno di vendersi,

magari per tre dollari

invece che per due, sfuggendo

così ufficialmemnte dall’area

della povertà.

D’altra parte nemmeno l’agricoltore

terzomondista che

rimanga sul suo campo si salva.

Lo spopolamento delle campagne

e la globalizzazione economica

gli impediscono quel minimo

di interscambio, con i vicini

e con la città, che prima integrava

e rendeva possibile la sua

economia di sussistenza. In

Mongolia, un Paese che ha vissuto

per migliaia di anni dei latticini

locali, gli empori sono pieni

di burro tedesco. In Kenya il

burro importato dall’Olanda

costa la metà di quello locale. Il

Venezuela è stato sempre un

gran produttore di carne, oggi

la importa per più della metà

del suo fabbisogno e l’eventuale

minor prezzo dei prodotti

importati non compensa minimamente

la disgregazione complessiva

portata nei Paesi del

Terzo Mondo dall’intrusione del

modello economico occidentale.

La conclusione è che il modello

di sviluppo su cui abbiamo puntato

tutte le nostre carte ha

enormemente impoverito, nel

complesso, la popolazione mondiale

senza nemmeno sanare le

feorci disuguaglianze all’interno

dei Paesi cosiddetti sviluppati,

e ne ha aumentato in grande

misura la violenza, potenziale e

reale. Ciò non di meno si continua

a lavorare per rendere

questo modello ancor più planetario

e totalizzante e assicurargli

un successo definitivo e senza

ritorno. D’altro canto è

anche vero che siamo incrodati.

Sia che si vada avanti, sia che

si torni indietro, le prospettive

sono catastrofiche. Come ha

scritto il filosofo tedesco Wolfang

Sachs, nel suo “Development

Dictionary”, «solo il successo

di questo modello di sviluppo

sarebbe peggiore del suo

fallimento».

Massimo Fini
Fonte:Arianna editrice
“AAAriannaEditrice”
dicembre 2004

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