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Bush: ''Censurare i funerali dei marines morti!''

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A cura di Truman
Il 2 Marzo 2005
222 Views
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391 militari della coalizione sono morti da quando il presidente Bush ha proclamato la cessazione delle ostilità sono morti . Ma non conviene diffondere immagini sulle tradizionali cerimonie funebri organizzate nelle basi militari Usa. Lo dimostra la percentuale di americani favorevoli al rientro dei soldati aumentata dal 32, del mese scorso, al 39 per cento. Un bel guaio, con le elezioni quasi alle porte…
Di Redazione Clorofilla.itWASHINGTON – Cresce l’inquietudine degli americani per la presenza delle truppe Usa in Iraq. Si tratta complessivamente di 242mila militari, secondo quando riferisce il segretario americano alla Difesa, Donald Rumsfeld, nella conferenza stampa di lunedì al Pentagono. Di questi, 133mila sono americani, 24mila provengono da 32 Paesi che fanno parte della coalizione internazionale, 85mila sono iracheni e svolgono soprattutto compiti di polizia o di sorveglianza delle strutture petrolifere.

Secondo un nuovo sondaggio, però, l’appoggio dell’opinione pubblica alla decisione di restare nel Paese del Golfo fino alla sua stabilizzazione è sceso dal 64 per cento il mese scorso al 58%. In altri termini, la percentuale di americani favorevoli al rientro dei soldati il più presto possibile è aumentata dal 32% il mese scorso al 39%. Tuttavia, quasi il 40% è convinto, come dice il presidente George W.
Bush, che i media esagerano e che la situazione in Iraq è meno drammatica di quanto non si sia dato di vedere in televisione.

Sta di fatto che con l’incidente di martedì, il numero dei militari americani rimasti uccisi nel conflitto in Iraq è salito a 340. Un soldato americano è rimasto ucciso, e uno ferito, in un incidente avvenuto mentre i due stavano facendo lavori di manutenzione non meglio specificati. Entrambi appartenevano al 377/o comando dell’esercito per il supporto al teatro delle operazioni.

L’incidente, di cui si ha notizia da fonti militari, è accaduto nei pressi della città di Balad, a nord di Baghdad, in un acquartieramento chiamato Camp Anaconda. Dal primo maggio, cioè da quando il presidente George W. Bush proclamò la cessazione delle ostilità, sono stati 202. I membri della coalizione morti sono complessivamente 391, compresi 50 britannici (17 dal primo maggio) e un danese. Senza tener conto dei 5700 iracheni morti durante l’attacco delle prime sei settimane. E degli oltre duemila civili deceduti, secondo l’organizzazione americana Iraq body count, dalla cosiddetta “fine” della guerra.

Ma quel che è peggio (per la Casa Bianca) è la modalità di rientro in patria di quei ragazzoni americani. Sotto i riflettori delle telecamere. Ma avvolti in bandiere a stelle e strisce. Con un effetto devastante sull’opinione pubblica. Meglio allora – ha pensato Bush – proibire alla stampa di coprire le tradizionali cerimonie ufficiali organizzate nelle basi militari Usa per rendere omaggio ai militari morti in guerra. Lo rivela il Washington Post, secondo cui quello del ritorno in patria delle bare è un problema che preoccupa i presidenti americani sin dai tempi della guerra in Vietnam, viste le conseguenze che tali immagini televisive possono avere sull’opinione pubblica e sulla popolarità dell’inquilino della Casa Bianca.


Bush, che spera di essere rieletto nel novembre prossimo, ha scelto quindi la soluzione più drastica, quella della censura, per risolvere il problema.
Già nel marzo scorso, quando la guerra in Iraq era imminente, il Pentagono aveva deciso di proibire la copertura stampa nelle basi militari dove generalmente le salme dei caduti toccano il suolo americano.

Secondo il WP, Bush non ha mai partecipato a tali cerimonie, contrariamente ai suoi predecessori, però ha spesso incontrato i familiari delle vittime. Per di più, nell’incontro con i giornalisti, Rumsfeld ha confermato che ci sarà presto un avvicendamento di parte delle truppe: coloro che sono nell’area del Golfo da circa un anno potranno presto tornare a casa, come previsto. Il segretario alla Difesa ha escluso qualsiasi riduzione di truppe, almeno per il momento, confermando che gli Stati Uniti rimarranno in Iraq «il tempo necessario, con il numero di militari necessario».

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