di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Per parlare di lavoratori e salari, ritengo necessario aprire questo articolo invitandovi a leggere e riflettere su questo scritto di Paul Davidson – professore presso l’Università del Tennessee – un macroeconomista americano che è stato uno dei principali portavoce del ramo americano della scuola post-keynesiana in economia.
Lo scritto fa da introduzione al lavoro di Warren Mosler – padre fondatore della teoria della Moneta Moderna (MMT) – Full Employment AND Price Stability – che riporto nelle note finali per chi avesse voglia di approfondire maggiormente l’argomento. [1]
Il lavoro e soprattutto la sua retribuzione sappiamo bene essere uno dei temi fondamentali, se non il più importante, che riguarda la maggioranza degli abitanti del nostro pianeta e ne influenza in modo determinante le loro vite.
Sulla linea immaginaria dove corre il numero delle ore lavorative, la condizione ed il trattamento economico dei lavoratori, viene a posizionarsi anche il limite invalicabile, oltre il quale un sistema economico possa dirsi di fatto, in modo più o meno esplicito, basato sulla schiavitù e lo sfruttamento degli essere umani.
Le parole del professor Davidson sono chiare e limpide, nell’indicare dove e quando si inizia a riscontrare il fenomeno della disoccupazione involontaria: il fenomeno è entrato a far parte delle nostre economie solo e soltanto quando sono comparsi due elementi: la moneta e le tasse.
La moneta ed i salari sono da sempre le uniche due alternative con cui è possibile mantenere in equilibrio i sistemi economici moderni, mediante la svalutazione della prima o deflazionando i secondi.
Se con la svalutazione della moneta non muore nessuno, al contrario con la deflazione salariale infinità invece si arriva a quello status di sostanziale schiavitù con famiglie ed imprese costrette quotidianamente a sofferenze immani. In sostanza quello che sta avvenendo nel nostro paese in conseguenza delle politiche di austerity e deflazione salariale in atto da oltre due decadi.
Di questo pare che il nostro Alberto Bagnai – ribattezzato “Pluto”, tra chi frequenta i corridoi di Palazzo Madama – se ne renda ben conto, tant’è vero che nel 2016 – quanto ancora la politica l’aspirava e non la respirava – dalle colonne del Wall Street Italia, da keynesiano convinto, si prese la rivincita nei confronti dell’allora ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan, costretto alla verità dottrinale in materia, rispetto alla sua nota posizione di estremo difensore del pensiero unico globalista, che vede come unica strada per tornare competitivi all’interno del sistema dei cambi fissi dell’euro, la deflazione salariale.
Ecco quanto dichiarò Bagnai allora:
“Se il resto del mondo va in crisi, compra di meno da noi. Visto che il cambio non può flettersi, per rilanciare le esportazioni dobbiamo far calare i prezzi dei nostri prodotti, e quindi i rispettivi costi, primo fra tutti quello del lavoro. Ma siccome nessuno accetta volentieri un taglio del salario, ecco che con austerità e Jobs act si crea un po’ di disoccupazione, sperando che chi si trova a spasso accetti di farsi pagare di meno, e che ciò renda più “competitivi” (cioè più convenienti per l’estero) i nostri prodotti”. [2]
Sono passati quasi sette anni da allora e Bagnai oggi con i polmoni pieni dell’aria che si respira nelle putride stanze della politica, non solo si muove alla perfezione quando è seduto sui banchi dell’opposizione, ma è diventato persino maestro su come farsi scivolare le verità di dosso quando invece il suo partito occupa le poltrone di governo.
E se quando la Lega governava con i cinquestelle, fu abile prima ad ingannare gli elettori che gli chiedevano conto, con la storiella dei numeri primi 17 e 71 (“con il 17% fai quello che puoi mentre con il 71% quello che vuoi”) e salvato poi da Salvini, che nel tempo di bere un mojito al Papeete, lo riportò nelle più tranquille poltrone dell’opposizione. Oggi invece la strada per evitare di mettere la faccia sulle “fregnacce” che è costretto a sostenere per stare di nuovo seduto sulla meno comoda poltrona di governo, è pressoché impossibile da percorre e sempre più priva di scuse da raccogliere.
Ecco che il buon Alberto, tirato in ballo sul tema scottante del salario minimo, è costretto a tirare fuori dal cilindro un classico del repertorio del politico modello:
“Salari bassi? colpa di Sindacati e sinistra. La sinistra negli ultimi 40 anni ha assistito al crollo della quota salari, ragione per cui ora non può fare la paternale in materia di redistribuzione fiscale”.
Perfetto, come da manuale si tira in ballo il predecessore! ad onor del vero, con una verità direi perfettamente lapalissiana.
In effetti, come dargli torto, visto che numeri, grafici e profonde ferite sulla nostra pelle, ci dicono in modo chiaro ed incontrovertibile che l’Italia è l’unico paese in Europa dove in 30 anni i salari medi sono persino calati [3]:
Eh sì! non vi è alcun dubbio, il Bagnai ha pienamente ragione nel puntare il dito contro l’ammucchiata di stampo lobbistico e trasversale che compone il partito democratico, il quale più di tutti ha pascolato nelle stanze di governo nel periodo storico appena citato. Sostenendo e sponsorizzando con tutte le sue forze l’integrazione europea, per mezzo di un sistema che costringe le economie meno competitive a riallineare gli squilibri macroeconomici attraverso la compressione dei salari; fatto assai poco “di sinistra”.
C’è un però! grosso come un castello…..
Il senatore leghista oggi è lui al governo, ed oltre alla dovuta e comprensibile querelle politica per la sopravvivenza sulla poltrona, nessuno griderebbe allo scandalo se con pieno diritto gli chiedessimo di mettere in atto quelle che sono le scelte giuste per il bene del popolo italiano, quantomeno per il rispetto del ruolo istituzionale che ricopre.
Oltretutto, dopo che ha dimostrato a più riprese (per averlo rinfacciato, con puntuale precisione dottrinale, agli altri) di essere ben ferrato in materia e quindi perfettamente in grado di sapere quale siano le cose giuste da fare per il bene della nazione intera.
Ed invece ecco come, Bagnai – con una disonestà intellettuale oltre l’indecenza – liquida il tema fondamentale del salario minimo:
“la stessa UE dice che non esiste un tema di salario minimo in Paesi come l’Italia, dove la contrattazione collettiva ha una copertura estesissima”
Ancora una volta, come già avvenuto sul tema trasferibilità dei crediti fiscali, Bagnai è costretto a prostituirsi intellettualmente, per allinearsi alla posizione del governo che sostiene. Un governo che come ben sappiamo, sui temi fondamentali, è completamente appiattito su quello precedente guidato da Mario Draghi, contrarietà al salario minimo compresa.
Il “non va bene all’Europa” usato dal senatore leghista per abbattere la trasferibilità dei tax-credit diventa il “ce lo dice l’Europa”, per togliere definitivamente di mezzo l’idea del salario minimo.
Salvo poi constatare nella realtà dei fatti, che l’Europa in queste decisioni non c’entra un bel niente!
Riguardo all’uso ed ai criteri di contabilizzazione nel bilancio dello Stato dei tax-credit, Eurostat ha definitivamente demandato ad Istat e per quanto concerne il salario minimo, ogni paese membro è libero di decidere in piena autonomia il tipo di azione fiscale da intraprendere.
Tant’è vero che la Germania, sarebbe pronta ad aumentare il salario minimo da 12 a 14 euro l’ora, di fatto andando nella direzione opposta alla nostra. Quello che i nostri governanti non vi dicono è che nel paese “falco” per eccellenza, dal 2015 su spinta del Partito socialdemocratico (Spd) – allora partner di governo della grande coalizione guidata dalla cancelliera Angela Merkel – è pressoché in atto una specie di scala mobile che da 8,5 euro all’ora ha visto gli stipendi arrivare ai 14 euro del sopracitato aumento in addivenire. [4]
Ma Bagnai non si ferma qua, va ben oltre! dichiara addirittura che la massiccia presenza della contrattazione collettiva sarebbe elemento che rende impossibile l’introduzione del salario minimo nel nostro paese, di fatto smentendo se stesso ed i suoi studi.
Cosa c’entra mettere sullo stesso piano una decisione di politica fiscale del governo (l’introduzione del salario minimo) – di fatto l’unico soggetto che nel sistema economico può agire in modo anticiclico e decidere autonomamente il livello dei salari in quanto monopolista della moneta – con la contrattazione collettiva che avviene tra due soggetti che appartengono al settore non-governativo e che operano con obbiettivi opposti?!
I due soggetti in questione, che si trovano ad affrontare una partita non del tutto equa, sono: i lavoratori, i quali cercano il lavoro per mangiare e gli imprenditori che al contrario cercano i lavoratori solo e soltanto se intravedono l’opportunità di ottenere un profitto.
Nella partita della contrattazione collettiva, si aggiunge anche un terzo “player” – che come giustamente conferma anche Bagnai stesso – negli ultimi trenta anni ha responsabilità enormi su come si è approdati all’attuale livello di estrema precarietà nel mondo del lavoro.
Sto parlando dei sindacati, che da baluardo protettore dei lavoratori, si sono lentamente prima appiattiti e poi definitivamente seduti sul tavolo delle trattative, dalla parte dei grandi imprenditori – i quali poi nella realtà sono coloro che alla fine decidono l’ammontare del salario – e che a differenza dei lavoratori, hanno sempre avuto molti più argomenti per garantire ai maggiori esponenti delle varie sigle sindacali, carriere e poltrone sempre più appetibili.
Quindi, è talmente chiaro e provato in dottrina, che in base alla teoria dei giochi ben nota al mondo accademico (che il prof. Bagnai certamente conosce alla perfezione), è del tutto indispensabile – per rendere la partita equa – che a questo tavolo partecipi il governo in qualità di produttore infinito di quella merce, che denomina appunto i contratti di lavoro in questione.
Il governo è l’unico che può mettere mano per risolvere in modo definitivo la questione e fare in modo che i lavoratori possano tornare ad avere quella tranquillità finanziaria necessaria per poter crescere le loro famiglie con la dovuta serenità.
Ed oggi al governo ci sei TU, Caro Alberto Bagnai….. con tutte le competenze necessarie che ti riconosciamo, per mettere fine a questa immane tragedia che colpisce la maggioranza dei lavoratori italiani, ormai da troppo tempo.
In difetto, sarai responsabile come tutti gli altri ed anche più degli altri, visto che sai perfettamente come funzionano le cose!
di Megas Alexandros
Fonte: Bagnai o “Bagnarola”….. come si cambia sulla poltrona! (parte 2^) – Megas Alexandros
Note:
[1] Full-Employment-AND-Price-Stability.pdf (moslereconomics.com)
[2] Bagnai attacca Padoan: perché | Wall Street Italia
[3] Italia l’unico paese in Europa dove in 30 anni i salari medi sono calati – Il NordEst Quotidiano
[4] Salario minimo a 14 euro l’ora: la Germania non segue l’esempio dell’Italia (money.it)