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La Redazione

 

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AVANTI, MIEI PRODI

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A cura di Davide
Il 14 Febbraio 2005
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DI ANDREA CINQUEGRANI

3 giugno 2004. Nella splendida cornice del lago Maggiore, in uno degli alberghi più esclusivi di Stresa, si festeggia un compleanno: i 50 anni del Gruppo Bilderberg, una delle lobby economico-politiche più potenti del mondo. Ma praticamente ignota ai cittadini italiani, così come a quelli degli altri Paesi. «Altro che Davos – commenta un autorevole membro – lì ci si va per farsi vedere. Qui si va per sentire senza farsi vedere». «Davos è meno elitaria – viene aggiunto – il suo obiettivo è influenzare i mezzi d’informazione, si limita a considerazioni generali sullo stato del mondo. Al Bilderberg, invece, si parla di geopolitica, di strategia. La differenza che passa fra un ‘ricevimento mondano’, una ‘fiera con i suoi stands’ e un summit ristretto dove si fanno le cose sul serio». E a Stresa – coperti dal più assoluto riserbo – lo scorso anno sono arrivati parecchi pezzi da novanta, e più, della politica e della finanza internazionale, da Henry Kissinger a Richard Perle, da David Rockfeller a Melinda Gates. Di tutto rispetto la nostra pattuglia: per fare qualche nome, Rodolfo De Benedetti, Franco Bernabè, Mario Draghi, Gabriele Galateri, Mario Monti, Tommaso Padoa Schioppa, Corrado Passera, Paolo Scaroni, Domenico Siniscalco, Giulio Tremonti, Marco Tronchetti Provera. Un’Italia che sa far sentire – anche se nella più stretta privacy – la sua voce: sul totale dei 126 partecipanti al raduno, infatti, dopo gli Stati Uniti (con 33), si è attestato proprio il nostro Paese (con 16); distanziate seguono Gran Bretagna (9) e Germania (8), poi alla spicciolata tutte le altre nazioni, una trentina. Al summit di Stresa – secondo le pochissime indiscrezioni trapelate – si sarebbe parlato soprattutto dei rapporti Usa-Europa, e nel contesto della politica statunitense, di Iraq, Medio Oriente, della Cina emergente; e ancora, in agenda, Nato ed energia. Alle precedenti riunioni, comunque, i nomi di casa nostra sono stati ancor più altisonanti. Molto qualificata la ‘delegazione’ politica: Walter Veltroni (all’epoca direttore dell’Unità), Virginio Rognoni (in qualità di ministro della Difesa, oggi vice presidente del Csm), Emma Bonino (come membro della commissione europea), gli ex big del garofano ora tornati in auge Claudio Martelli (a quel tempo Guardasigilli), Gianni De Michelis (Esteri), nonché dell’edera con Giorgio La Malfa. Forza Italia scende in campo con i suoi economisti di punta, Domenico Siniscalco e Giulio Tremonti (presenti anche al summit di Stresa).

Ma nel corso degli anni la presenza politica più significativa ai summit Bilderberg è quella di Romano Prodi, invitato – in cima alla lista fra tutti – in qualità di docente di Economia Industriale all’Università di Bologna. Seguono le forze economiche. In primis, il dispiegamento dei big di casa Fiat: per anni Giovanni e Umberto Agnelli hanno preso parte al ristretto e super elitario advisory group, mentre nel gruppo era segnalata la presenza di un altro vertice della casa torinese, Paolo Fresco; quindi Renato Ruggiero, ex ministro del Commercio estero (poi per una breve stagione agli Esteri prima del siluramento berlusconiano); e ancora, Innocenzo Cipolletta, eterno direttore generale di Confindustria; Rainer Masera, ex direttore generale Imi e oggi alla guida dell’Imi San Paolo che ha incorporato il Banco di Napoli; Alessandro Profumo, al timone dell’ex colosso bancario Credito Italiano.

«Insomma – è un’altra confidenza raccolta – alle riunioni partecipa il gotha del potere con la P maiuscola, in un luogo tenuto segreto fino all’ultimo minuto, non è assolutamente ammessa la presenza della stampa, tranne quei giornalisti che intervengono come opinion makers». E a spegnere le 50 candeline sulle rive del lago Maggiore sono intervenuti Ferruccio De Bortoli, oggi neodirettore del Sole 24 Ore, Lucio Caracciolo, direttore di Limes, Gianni Riotta, editorialista del Corsera.

Tutto è sempre filato liscio come l’olio, per amici e affiliati di Bilderberg, fino a che nel Parlamento europeo, nelle ultime settimane del 2004, non è salito alla ribalta (comunque regolarmente oscurato dai media) il caso Diamandouros. Ecco i fatti. A Strasburgo si trattava di eleggere il nuovo mediatore europeo, il cosiddetto ombudsman, ovvero colui il quale è tenuto a tutelare le ragioni dei cittadini vessati in questo o quel campo dell’amministrazione pubblica, e non solo. Insomma, una sorta di figura super partes capace di combattere abusi, prevaricazioni e torti subiti da parte dei poteri più o meno forti. Il mediatore uscente, il greco Nikiforos Diamandouros, ha riproposto la sua candidatura. Ci si sarebbe aspettata una partecipazione attiva da parte di diversi rappresentanti di questo o quel Paese: invece niente, il silenzio più assordante, una sorta di unanimismo preconfezionato. Alla fine è spuntata una sola candidatura alternativa, quella del difensore civico alla Regione Campania, Giuseppe Fortunato, avvocato, ex Alleanza Nazionale.

Una sfida impari. Fortunato, però, cocciutamente ci ha provato e ha dato subito battaglia, contestando la candidatura stessa di Diamandouros, spalleggiato da qualche parlamentare europeo che sul nome del greco aveva già espresso più di una perplessità. Sotto accusa, in primis, l’appartenenza di Diamandouros al Gruppo Bilderberg. «Questa potentissima lobby – attacca Fortunato – mira a conquistare posizioni nelle istituzioni dell’Unione Europea a vantaggio dei suoi membri ed è strutturata con il meccanismo della segretezza quale obbligo assoluto dei membri. Chi vuol essere mediatore Europeo non può vantare la partecipazione come membro di una lobby. Diamandouros ha persino partecipato ad una apposita conferenza Bilderberg come membro, mentre era Ombudsman greco». «Diamandouros – continua – ha cercato di occultare tutto questo, cancellandolo nel curriculum del suo portale web, dove prima era evidente, e nel suo curriculum in italiano; ma la notizia resta espressa nel curriculum in inglese e in tedesco che ha presentato come candidato mediatore. E ciò dimostra l’imbarazzo di chi vuol negare, ma non sa e non può negare». Al voto di fine anno la candidatura di Diamandouros è passata con una maggioranza bulgara, oltre 500 voti; meno di una cinquantina quelli del rivale Fortunato.

Ma sono in parecchi, oggi, a domandarsi nelle aule di Strasburgo «come è stato possibile avere per anni un commissario italiano come Mario Monti, membro a tutti gli effetti di Bilderberg». E, soprattutto, «come è stato possibile avere un commissario europeo quale Romano Prodi, sicuro supporter di quella lobby». Alla sinistra italiana resta da chiedere se il nostro domani, il nostro futuro, debba essere affidato alle lobby. E se Romano Prodi sia davvero l’uomo adatto per rappresentare le ragioni di una effettiva alternativa.

UN MEDIATORE MOLTO PARTICOLARE

I dubbi e le perplessità emersi a livello europeo sulla candidatura di Nikiforos Diamandouros sono stati di vario tipo. Sul versante politico, alcuni si erano chiesti se fosse compatibile la figura di un mediatore socialista, quando il presidente del parlamento europeo è espresso dallo stesso schieramento politico. Le contestazioni più pesanti riguardavano però il suo curriculum: non c’è traccia di una laurea in legge né di specializzazioni in campo giurisprudenziale. Si passa poi all’efficienza dell’ufficio di mediatore europeo retto da Diamandouros nei due anni precedenti: al suo attivo risultano solo due azioni avviate a tutela dei cittadini. Una media non esaltante mentre, secondo gli addetti ai lavori, «il mediatore europeo dovrebbe ogni giorno mettersi al lavoro per contrastare i tantissimi abusi commessi ai danni dei cittadini e regolarmente impuniti». «Per tutta la durata del suo mandato – precisa inoltre l’articolo 195 del Trattato che regola la materia a livello Cee – il mediatore non può esercitare alcuna altra attività professionale, remunerata o meno».

E invece, l’iperattivo Diamandouros ha fatto, negli anni del suo mandato, incetta di incarichi: vice presidente della Sottocommissione per l’Europa Meridionale al Consiglio delle Ricerche nelle scienze sociali di New York; condirettore della collana editoriale The New Southern Europe, nonché membro del comitato direttivo di South European Society and Politics. «Dello stesso comitato direttivo – denuncia Giuseppe Fortunato, il candidato italiano rimasto escluso – fa parte Ives Meny, presidente dell’Istituto universitario europeo, le cui attività sono sottoposte al controllo del mediatore». Non basta, perché lo stesso Diamandouros ha dovuto esaminare, nel corso del suo mandato, alcuni ricorsi presentati da cittadini contro l’Istituto: li ha respinti, senza avere nemmeno il pudore di astenersi per l’evidente conflitto d’interessi.

Agli atti di Strasburgo esiste infine un carteggio fra un docente cinese da anni trapiantato nel nostro Paese, Jian Ming Zohu, sia col vertice del parlamento europeo, Joseph Barrell, che con altri parlamentari e con lo stesso Diamandouros, per denunciare una sfilza di irregolarità nella gestione dell’Istituto Universitario Europeo, uno dei pomi dell’incompatibilità per il mediatore greco. Ha ricevuto solo risposte evasive. Ciliegina sulla torta, le assidue frequentazioni di Diamandouros col Gruppo Bilderberg.

I MASSONI E LA SINISTRA ITALIANA

Il Gruppo Bilderberg nasce nel 1952, ma viene ufficializzato due anni più tardi, a giugno del 1954, quando un ristretto gruppo di vip dell’epoca si riunisce all’hotel Bilderberg di Oosterbeek, in Olanda. Da quel momento le riunioni si sono svolte una o due volte all’anno, nel più totale riserbo. In occasione di una delle ultime, nella splendida e appartata resort di Sintra, in Portogallo, il settimanale locale News riportò una notizia secondo cui il Governo avrebbe ricevuto migliaia di dollari dal Gruppo per organizzare «un servizio militare compreso di elicotteri che si occupasse di garantire la privacy e la sicurezza dei partecipanti». Ma torniamo agli esordi. I primi incontri si sono svolti esclusivamente nei paesi europei, ma dall’inizio degli anni ’60 anche negli Usa. Tra i promotori – precisano alcuni studiosi della semi sconosciuta materia – occorre ricordare due nomi in particolare: sua maestà il principe Bernardo de Lippe, olandese, ex ufficiale delle SS, che ha guidato il gruppo per oltre un ventennio, fino a quando, nel 1976, è stato travolto dallo scandalo Lockheed; e Joseph Retinger, un faccendiere polacco al centro di una fittissima trama di rapporti con uomini che per anni hanno contato sullo scacchiere internazionale della politica e dell’economia.

«La loro ambizione – viene descritto – era quella di costruire un’Europa Unita per arrivare a una profonda alleanza con gli Stati Uniti e quindi dar vita a un nuovo Ordine Mondiale, dove potenti organizzazioni sopranazionali avrebbero garantito più stabilità rispetto ai singoli governi nazionali. Fin dalla prima riunione vennero invitati banchieri, politici, universitari, funzionari internazionali degli Usa e dell’Europa occidentale, per un totale di un centinaio di personaggi circa».

Ecco cosa hanno scritto alcuni giornalisti investigativi inglesi nel magazine on line di Bbc News a pochi giorni dal meeting di Stresa. «Si tratta di una delle associazioni più controverse dei nostri tempi, da alcuni accusata di decidere i destini del mondo a porte chiuse. Nessuna parola di quanto viene detto nel corso degli incontri è mai trapelata. I giornalisti non vengono invitati e quando in qualche occasione vengono concessi alcuni minuti a qualche reporter, c’è l’obbligo di non far cenno ad alcun nome. I luoghi d’incontro sono tenuti segreti e il gruppo non ha un suo sito web. Secondo esperti di affari internazionali, il gruppo Bilderberg avrebbe ispirato alcuni tra i più clamorosi fatti degli ultimi anni, come ad esempio le azioni terroristiche di Osama bin Laden, la strage di Oklahoma City, e perfino la guerra nella ex Jugoslavia per far cadere Milosevic. Il più grosso problema è quello della segretezza. Quando tante e tali personalità del mondo si riuniscono, sarebbe più che normale avere informazioni su quanto sta succedendo».

Invece, tutto top secret. Scrive un giornalista inglese, Tony Gosling, in un giornale di Bristol: «Secondo alcune indiscrezioni che ho raccolto, il primo luogo nel quale si è parlato di invasione dell’Iraq da parte degli Usa, ben prima che ciò accadesse, è stato nel meeting 2002 dei Bilderberg». Di parere opposto un redattore del Financial Times, Martin Wolf, più volte invitato ai meeting: «L’idea che questi incontri non possano essere coperti dalla privacy è fondamentalmente totalitaria; non si tratta di un organismo esecutivo, nessuna decisione viene presa lì». Fa eco uno dei fondatori, anche lui inglese, lord Denis Healey: «Non c’è assolutamente niente sotto. E’ solo un posto per la discussione, non abbiamo mai cercato di raggiungere un consenso sui grandi temi. E’ il migliore gruppo internazionale che io abbia mai frequentato. Il livello confidenziale, senza alcun clamore all’esterno, consente alle persone di parlare in modo chiaro».

Ed ecco cosa scrive un altro studioso di ordini paralleli e di gruppi e associazioni che agiscono sotto traccia, Giorgio Bongiovanni. «Bilderberg rappresenta uno dei più potenti gruppi di facciata degli Illuminati (una sorta di super Cupola mondiale, ndr). Malgrado le apparenti buone intenzioni, il vero obiettivo è stato quello di formare un’altra organizzazione di facciata che potesse attivamente contribuire al disegno degli Illuminati: la costituzione di un Nuovo Ordine Mondiale e di un Governo Mondiale entro il 2012. Sembra che le decisioni più importanti a livello politico, sociale, economico-finanziario per il mondo occidentale vengano in qualche modo ratificate dai Bilderberg».

«Il Gruppo – scrive ancora Bongiovanni – recluta politici, ministri, finanzieri, presidenti di multinazionali, magnati dell’informazione, reali, professori universitari, uomini di vari campi che con le loro decisioni possono influenzare il mondo. Tutti i membri aderiscono alle idee precedenti, ma non tutti sono al corrente della profonda verità ideologica di alcuni membri principali». I veri ‘conducator’- secondo questa analisi – i quali a loro volta fanno anche parte di altri segmenti strategici nell’organigramma degli Illuminati. Due in particolare: la Trilateral e la Commission of Foreign Relationship, nata nel 1921, la quale riunisce a sua volta tutti i personaggi che hanno fra le loro mani le leve del comando negli Usa. «Questi membri particolari – prosegue Bongiovanni – sono i più potenti e fanno parte di quello che viene definito il ‘cerchio interiore’. Quello ‘esteriore’, invece, è l’insieme degli uomini della finanza, della politica, e altro, che sono sedotti dalle idee di instaurare un governo mondiale che regolerà tutto a livello politico e economico: insomma, le ‘marionette’ utilizzate dal cerchio interiore perché i loro membri sanno che non possono cambiare il mondo da soli e hanno bisogno di collaboratori motivati e mossi anche dal desiderio di danaro e potere». Passiamo, per finire, alla Trilateral, vero e proprio luogo cult del Potere nascosto, in grado comunque di condizionare i destini del mondo. Ovviamente ‘sponsorizzato’ dalle star dell’imprenditoria multinazionale, come Coca Cola, Ibm, Pan American, Hewlett Packard, Fiat, Sony, Toyota, Mobil, Exxon, Dunlop, Texas Instruments, Mitsubishi, per citare solo le più importanti.

L’associazione nasce nel 1973, sotto la presidenza “democratica” di Jimmy Carter e del suo consigliere speciale per la sicurezza, Zbigniew Brzezinski, il vero deux ex machina. A ispirare il progetto, le famiglie Rothschild e Rockefeller, i Paperoni d’America. Un progetto che ha irresistibilmente attratto i potenti del mondo, a cominciare proprio dai presidenti Usa, con un Bill Clinton in prima fila. Così descriveva Giovanni Agnelli la Trilateral: «Un gruppo di privati cittadini, studiosi, imprenditori, politici, sindacalisti delle tre aree del mondo industrializzato (Usa, Europa e Giappone, ndr) che si riuniscono per studiare e proporre soluzioni equilibrate a problemi di scottante attualità internazionale e di comune interesse». Il solito ritornello.

Di diverso avviso il giornalista Richard Falk, che già nel 1978 – quindi a pochissimi anni dalla nascita – scrive sulle colonne della Monthly Review di New York: «Le idee della Commissione Trilaterale possono essere sintetizzate come l’orientamento ideologico che incarna il punto di vista sopranazionale delle società multinazionali, che cercano di subordinare le politiche territoriali a fini economici non territoriali». E’ la filosofia delle grandi corporation, che stanno privatizzando le risorse di tutto il pianeta, a cominciare dai beni primari, come ad esempio l’acqua: non solo riescono a ricavare profitti stratosferici ma anche ad esercitare un controllo politico su tutti i Sud – e non solo – del mondo. La logica della globalizzazione. E i bracci operativi di questo turbocapitalismo sono proprio due strutture che dovrebbero invece garantire il contrario: ovvero la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale.

«Entrambe – scrive uno studioso, Mario Di Giovanni – sotto lo stretto controllo del ‘Sistema’ liberal della costa orientale americana. Agiscono a tutto campo nell’emisfero meridionale del pianeta, impegnate nella conduzione e ‘assistenza’ economica ai paesi in via di sviluppo». E proprio sull’acqua, la Banca Mondiale sta dando il meglio di sé: con la sua collegata IFC (Internazionale Finance Corporation) infatti sta mettendo le mani sulla gran parte delle privatizzazioni dei sistemi idrici di mezzo mondo, soprattutto quello africano e asiatico, condizionando la concessione dei fondi all’accettazione della privatizzazione, parziale o più spesso totale, del servizio. Del resto, è la stessa Banca a calcolare il business in almeno 1000 miliardi di dollari… Scrive ancora Di Giovanni: «Le decisioni assunte dai vertici della Trilateral riguarderanno sempre di più quanti uomini far morire, attraverso l’eutanasia o gli aborti, e quanti farne vivere, attraverso un’oculata distribuzione delle risorse alimentari. Decisioni che riguarderanno l’ingegneria genetica, per intervenire nella nuova ‘umanità’. In una parola, tutto ciò che definitivamente distrugga il ‘vecchio’ ordine sociale, cristiano, per la creazione di un nuovo ordine. Ma tutto questo senza particolari scossoni. Non vi sarà bisogno di dittature, visto che le democrazie laiche e progressiste, condotte da governi di ‘centrosinistra’, servono già così efficacemente allo scopo. Governi che riproducono – conclude – una formula già sperimentata lungo l’intero corso del ventesimo secolo e plasticamente rappresentata dal passato governo Prodi-D’Alema: l’alleanza fra la borghesia massonica e la sinistra, rivoluzionaria o meno».

Andrea Cinquegrani
Fonte: lavocedellacampania.it
febbraio 2005

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