Atene altrimenti – quello che i turisti non vedono

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DI FRANZ FERRE’

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Atene Altrimenti, recita lo slogan di Panagiotis Grigoriou quando cerca di guadagnarsi da vivere facendo la guida turistica. E  io. il traduttore dei suoi pezzi per Comedonchisciotte, mi sono fatto guidare dall’etnografo greco alla scoperta degli angoli di Atene meno conosciuti, legati alla storia degli ultimi due secoli fino all’ultimo dopoguerra ed al recente decennio di crisi. A Plaka sembra tutto normale, ma basta svoltare l’angolo e si aprono scenari di guerra: negozi chiusi, vetrine sfondate, angoli spettrali, mentre nelle orecchie scorre il racconto di quello che un tempo non troppo lontano ancora succedeva in quel quartiere, in quella piazza. E, percorrendo i vari passaggi della storia greca, si scopre che i problemi con certi paesi stranieri sono sempre gli stessi.

Panagiotis Grigoriou mi aspetta sotto casa, preciso, in perfetto orario. Ha voluto sapere anche il numero civico, per venirci a prendere ed accompagnarci fin dal primo metro, ed io ho scelto un affittuario rigorosamente greco e “mono-proprietario”, dopo avere tradotto le sue invettive contro gli stranieri che stanno “airbnb-izzando” Atene, acquistando appartamenti a grappoli nei quartieri più belli per poi affittarli ai turisti tramite agenzie. Non si sa mai, magari poi me lo chiede. Siamo in centro di Atene, l’offerta era sterminata ed i prezzi stracciati, 50 euro si prendeva un attico vista Acropoli dalle agenzie, io per cercare un privato greco ho pagato qualcosa in più e non ho la vista, ma sono a due passi dallo stadio Olimpico del 1896, che mi toglie il fiato ogni volta che ci passo davanti, facendomi scorrere flash di concerti, gare, comizi, opere… che cosa dev’essere stare lì in mezzo con le gradinate piene.

Lo stadio Olimpico del 1896

Ci muoviamo a piedi e Panagiotis ci porta sulla via delle ambasciate e del Palazzo del Presidente della Repubblica, dove scopro che la Grecia moderna è stata fin dall’inizio uno stato sotto tutela delle grandi potenze, anche quando, nel 1823, dichiarò la propria indipendenza dopo quattrocento anni di dominio turco. I primi partiti si chiamavano con i nomi dei loro protettori, Partito Francese, Partito Inglese, eccetera, il primo sovrano era un principe bavarese (Ottone) e bavaresi furono i primi architetti che costruirono i palazzi della rinascita ateniese, che riportò in auge quella che era stata la città più potente e che, all’epoca, era un villaggio di soli cinquemila abitanti. Quando poi la Baviera fu inglobata nel nascente stato tedesco, quarant’anni più tardi, mi racconta Panagiotis, i neo-tedeschi avrebbero chiesto (ed ottenuto) dai Greci il risarcimento delle spese sostenute dall’ex-stato per edificare la nuova Atene… sempre loro, e sempre la stessa storia: vogliono i soldi dei greci. Peccato che, nel secondo dopoguerra, quando sarebbero stati loro a dover pagare i debiti di guerra alla Grecia cui avevano distrutto intere città, ne abbiano chiesto la remissione (oggi si direbbe “haircut”) dopo averne pagati solo una minima parte. E la Grecia, come atri stati europei, gliela concesse, per favorire la loro ripresa e la pacificazione in Europa; altro che “l’UE ci ha portato la pace”: la pace è venuta da questi gesti di generosità e dal progresso economico keynesiano postbellico, due cose del tutto estranee alla UE attuale. Per la cronaca, la remissione fu chiesta (e concessa) solo ai tedeschi dell’ovest, quelli dell’est – come racconta Vladimiro Giacchè in “Anschluss” – pagarono tutto fino all’ultimo centesimo all’URSS, gli stessi tedeschi est poi schiantati dai “fratelli” dell’ovest nel 1989.

Sempre loro, sempre gli stessi che oggi sono accaniti assertori del piano di “risanamento” dell’ennesimo debito greco, questa volta senza sconti, neanche minimi, perché i creditori sono loro. Ma nulla, mi racconta la mia guida, avrebbero potuto fare senza la complicità della classe dirigente autoctona. Arriviamo davanti al “Parlamento” (lui mette sempre e virgolette): c’è uno dei numerosi gatti sdraiato su un muretto e lui mi dice “delle centinaia di esseri viventi presenti in questo palazzo, lui è quello più degno di starci”. Il disprezzo verso la classe dirigente greca, ed in particolare il ceto politico, è totale e diffuso, mi dice. Mi racconta un episodio successo ai primi tempi di Syriza al governo, quando accompagnò un giornalista francese ad intervistare un ministro e questi si profuse per la prima mezz’ora di colloquio a mostrare al suo perplesso intervistatore quanto fosse bello il suo ufficio, e come si fosse sistemato bene, e quanto fosse gradevole la vista, e la sublime fattura della mobilia etc etc. In un momento che era già drammatico per il paese, il ministro pensava solo al suo status, alle prebende, all’ufficio (ci sarà stata la pianta di Ficus, simbolo del potere?). “Sono una classe di arrivisti, il loro obiettivo è stare il più possibile dove sono e sono disposti a tutto, anche, come si sta vedendo, a distruggere il loro stesso paese”. Infatti, quel ministro è ancora in carica.

L’essere più degno del Parlamento

Il racconto si sposta sugli anni della seconda guerra mondiale, con l’occupazione prima italiana e poi, a seguito delle sconfitte delle armate di Mussolini, anche tedesca e lì, mi racconta Panagiotis, i Greci poterono accorgersi delle differenze. Durante quel periodo la Grecia subì una terribile carestia e Mussolini stesso, in visita ad Atene, se ne rese conto e fece presente al suo alleato che c’era bisogno di aiuto, al che Hitler rispose “aiutateli voi”. La guerra, in Grecia, non finì nel 1945, ma proseguì fino al 1949, sotto forma di guerra civile, a causa della volontà delle potenze occidentali di evitare la vittoria ai partigiani locali (tutti comunisti) che avevano contribuito a cacciare i tedeschi e che alla fine della guerra controllavano quasi la metà del paese, con istituzioni, leggi, e moneta proprie. Vediamo ancora i segni delle pallottole dei combattimenti tra la resistenza ed i miliziani filo-inglesi (erano loro i primi attori della contro-resistenza) sui palazzi vicino a Piazza Syntagma, non segnalati da alcun cartello, senza nessuna targa a ricordare quei fatti che, nel bene nel male, sono parte della storia del paese.

I muri vicino a Syntagma, ancora segnati dai combattimenti del 1944

Passiamo poi all’attualità, attraversando la piazza della Banca Di Grecia, Piazza Kotsia, un tempo centro di uno dei quartieri più eleganti della città, con tanto di scavi antichi in un angolo; a due passi dalla statua di Pericle una stele ricorda lo sforzo di risanamento della città, e della piazza, concluso nella risistemazione attuale del 1998. La stele è imbrattata di scritte in arabo, e tutto intorno bivaccano extracomunitari senza documenti, dediti il più delle volte ad attività criminali. Le strade intorno vedono solo negozi chiusi per diversi isolati, il quartiere dei tessuti e dei negozi di abbigliamento, che aveva sede lì vicino, oggi è una zona quasi spettrale, pochissimi gli esercizi ancora aperti, molte vetrine buie, qualche nuovo bar con scarsa clientela. Una grande ed ariosa galleria commerciale che potrebbe essere viva e brulicante come quella di Milano è invece spettrale e vuota, senza nemmeno un negozio funzionante.

La stele ricoperta di scritte
Stoa Vivliou – una volta (Foto Michanicos Online)
Stoa Vivliou oggi (da Efsyn.gr)

La morte è compagna delle vicende di moti ateniesi: un suo cugino, una tempo ricco commerciante di tessuti, si è suicidato non molto tempo fa perchè incapace di mantenere in vita la sua attività. Non era povero, aveva ancora i suoi risparmi, la sua auto, due case, ma non sopportava l’idea di chiudere l’azienda (in Italia si stimano quasi quattrocento suicidi per motivi economici dall’inizio dell’anno) E pure la morte altamente simbolica di un ragazzo greco, avvenuta nei giorni scorsi, di cui Panagiotis ha parlato in un suo recente articolo (traduzione italiana su Vocidallestero) dove riporta l’episodio di un ragazzo greco, emigrato in Scozia, ucciso sulla collina di Filopappo (o delle Muse) in un tentativo di rapina da tre immigrati pregiudicati mai espulsi grazie alla reiterazione delle rispettive domande di asilo (cui non avrebbero avuto diritto, ma ogni domanda permetteva di guadagnare tempo). Era in vacanza con la sua ragazza Portoghese, anch’essa in fuga dal proprio paese per trovare lavoro, ed ha toccato con mano la dura realtà di un paese che ormai non sembra più il suo, invaso da persone che nessuno ha invitato e sul cui ingresso, mi dice, nessuno ha chiesto il consenso ai padroni di casa, cioè ai greci. Questo articolo ha suscitato reazioni contrarie anche da parte di persone sue amiche, provenienti come lui da ambienti della vecchia sinistra del paese, ambienti, però, con i quali ora egli non vuol più avere a che fare, perché (come qui da noi) ciechi ai problemi del paese e del tutto refrattari ad ogni forma di autocritica ed analisi dei problemi da loro creati. Quelli che si indignano sono spesso esponenti di professioni non toccate ancora dal fenomeno, professori, funzionari pubblici, settori dove non è ancora avvenuta la sostituzione sperata – per motivi diversi – tanto dai mondialisti radical-chic quanto dai più beceri datori di lavoro. Eppure – ci diciamo – è gente che avrebbe i mezzi culturali ed intellettuali per vedere il problema anche se non li tocca (per ora) personalmente.

Gli chiedo allora di quando saranno le prossime elezioni e se potrà cambiare qualcosa, e lì il discorso passa velocemente dalla sua totale sfiducia nei partiti attuali alla totale mancanza di una forza che interpreti il sentimento di odio e frustrazione dei greci. Panagiotis mi dice apertamente che lui, nel 2019, inviterà all’astensione da qualunque elezione (Europee di sicuro, ma probabilmente anche politiche). Da loro nessuno sta veramente interpretando e canalizzando il dissenso in un modo nemmeno lontanamente paragonabile – pur con tutti i dubbi e le cautele possibili – ai partiti del governo attuale italiano, mi dice. Alba Dorata è il vero “gatekeeper” del panorama politico greco, fintamente contrario, ma funzionale al gioco, mentre tutti gli altri non fanno neanche finta e sono apertamente allineati con la Troika e l’austerità. Gli domando allora della Chiesa Ortodossa, che, girando per il paese, mi è sembrata l’unica istituzione “terza” dotata di presa sulla popolazione, ma anche provvista di una potenza simbolica potenzialmente sufficiente a catalizzare il sentimento popolare (tutte le chiese, dalla più grande cattedrale alla più piccola cappella in riva a un dirupo, portano a fianco la bandiera nazionale) e la risposta è triste e lapidaria “pas d’espoir, ils sont avec la Troika”.

Game, set and match.

La conclusione è prevedibile: “ora lo vedo bene, la Grecia non avrebbe potuto far saltare l’Euro, troppo piccola, troppo debole storicamente e politicamente. L’Italia è un’altra cosa: voi siete 60 milioni di abitanti, la terza economia d’Europa, avete il peso per far saltare il banco, e per ridare speranza anche a noi”. Questo concetto, a dire il vero, in queste due settimane in giro per la Grecia, non me l’ha espresso solo Panagiotis, ma anche il noleggiatore di auto di Santorini e il proprietario della casa a Kamari, e tutti coloro con i quali mi era capitato di parlare di politica nel corso del mio giro. Qualcuno mi ha detto che la Grecia faceva gola per le varie ed abbondanti risorse minerarie, citate fin dai testi dell’antichità. Può darsi, ma non ho tempo di verificare, domani devo tornare a lavorare.

Ma forse bastava guardare Atene dall’alto del Licabetto per capire cosa ha sempre fatto veramente gola a tedeschi, inglesi e compagnia varia: la bellezza, accompagnata dal pensiero, che in questa città è onnipresente (per dirne una, sotto il Partenone c’è un villaggio cicladico in miniatura che sfocia in via della Teoria, a pochi passi dall’Agorà dove passeggiavano i Peripatetici). E mentre guardo il panorama, mi ritorna in mente l’avvertimento di Panagiotis, espresso a voce durante il nostro giro e in tanti articoli dal blog ovvero che i nuovi invasori non vogliono solo i soldi, ma stanno attaccando l’essenza stessa della civiltà e della società greca. Non c’è niente da fare: ai barbari del nord, ‘sti greci, gli sono sempre stati sul gozzo, mica come i romani, che si presero il comando, ma conservarono tutti gli elementi culturali – come dimostra l’ellenismo – e pure materiali del paese appena conquistato, tanto che – mi racconta la mia guida – ad Atene nessun monumento romano ha sostituito quelli precedenti, ma tutti vi si sono affiancati: l’Agorà romana sta a fianco di quella greca.

Anafiotika, ovvero le Cicladi sotto le mura dell’Acropoli
La via della Teoria

I giro si conclude, sono le tre e abbiamo sforato i tempo previsto, parlando di noi e dei tempi che ci attendono. Panagiotis mi racconta che vive in un quartiere borghese di Atene, in una casa da classe media, dove però oggi non c’è più il riscaldamento, perchè i condòmini non si possono permettere di sostituire la caldaia fuori uso. L’inverno scorso ad Atene ha nevicato, e la sua compagna ha dovuto ricorrere più volte alle cure dei medici, dove andava di primo mattino per essere tra i primi ad essere visitata (in Grecia i medici di base hanno le visite contingentate, a causa dei tagli, e possono visitare gratis solo un certo numero di pazienti al giorno; dopo quel numero, le visite diventano a pagamento). Saluta calorosamente e si attarda a fare raccomandazioni ai miei figli, che prenderanno il testimone dopo di noi.

Lo saluto esortandolo a continuare a raccontarci la crisi greca, così ammonitrice per le crisi italiane passate e future. Noi qui faremo il possibile per non fargli mancare l’aiuto ed il sostegno.

Un brindisi ai lettori italiani di Greekcrisis

Franz Ferrè

Fonte: www.comedonchisciotte.org

Milano, 12 settembre 2018

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