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La Redazione

 

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Assassino israeliano condannato ad una pena più indulgente dei palestinesi che lanciano pietre

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A cura di Davide
Il 12 Marzo 2017
480 Views

DI RICHARD HARDIGAN

counterpunch.org

Martedì 21 febbraio il soldato dell’IDF (Israel Defense Forces) Elor Azaria ha ricevuto una sentenza che lo condanna a 18 mesi di carcere per l’uccisione di un palestinese. L’intera scena è stata ripresa in un video che è stato ampiamente diffuso, ma nemmeno questo è stato sufficiente perché egli venisse condannato a qualcosa che si possa definire una giusta punizione. Dall’altra parte, i palestinesi ricevono condanne molto più dure per crimini meno gravi, come il lancio di pietre.

Azaria ha ucciso il palestinese di 21 anni Abdel al-Fattah al-Sharif nel marzo 2016. C’è poco da discutere sulla dinamica dell’incidente. A quanto pare due palestinesi, tra cui al-Sharif, avevano cercato di pugnalare un soldato israeliano nel quartiere di Tel Rumeida ad Hebron. Il video mostra ciò che è accaduto dopo. Al-Sharif giace a terra, immobile, dopo essere già stato colpito da un’arma da fuoco, quando Azaria gli si avvicina e gli spara un proiettile in testa da una distanza ravvicinata. Inizia a scorrere un rivolo di sangue. In seguito l’autopsia confermerà che la vittima era viva fino a quel momento. È stato il proiettile di Azaria ad ucciderlo.

Sarebbe difficile immaginare un caso di assassinio così evidente. Tutte le prove sono sotto i nostri occhi. Il crimine è stato ripreso nel video e chiunque può vederlo. Azaria non ha mostrato alcun rammarico per l’omicidio e addirittura è stato sentito mentre, non sapendo di essere ascoltato, diceva che al-Sharif meritava di morire.

https://youtu.be/q9H2KDYPptg

L’IDF evita intenzionalmente e con regolarità di investigare sui crimini commessi dai propri soldati

Ufficialmente, il regolamento dell’IDF richiede di aprire un’indagine ogni volta che si verifica un incidente che porta alla morte di un palestinese in Cisgiordania, sebbene la ONG israeliana B’Tselem rivela che questa norma viene il più delle volte ignorata. Nel 2015, ad esempio, 116 palestinesi sono stati uccisi tra la Cisgiordania e Gerusalemme Est e tuttavia sono state aperte solo 21 indagini.
Un caso tipico è quello del diciottenne palestinese Tayeb Shohada. Era un venerdì pomeriggio del luglio 2014 nel villaggio di Huwarra, vicino a Nablus. Un colono israeliano si lanciò con l’auto nel mezzo di una festa di locali e iniziò a sparare, uccidendo una persona e ferendone altre tre. Durante gli scontri che ne seguirono tra giovani palestinesi e forze armate israeliane, i soldati usarono gas lacrimogeni e i giovani lanciarono delle pietre. Fu una manifestazione di protesta come tante altre. Ad un tratto un cecchino israeliano decise di fare fuoco sulla vittima. Il motivo non è chiaro, dato che i dimostranti si trovavano, secondo le testimonianze, ad almeno 100 metri di distanza dai soldati e non costituivano alcuna minaccia. Secondo i testimoni, il cecchino ha sparato direttamente nell’occhio della vittima. Poco dopo, il suo comandante fu visto congratularsi con lei e darle una pacca sulla spalla.

Qual è dunque la differenza tra questo episodio e quello che ha visto coinvolto Azaria? In ognuno dei due casi dei soldati israeliani hanno giustiziato dei palestinesi che non rappresentavano alcuna minaccia per loro. A Huwarra non c’è stata nessuna ripresa video e la soldatessa non è mai stata giudicata in tribunale, né identificata pubblicamente. A Hebron, l’assassino non è stato altrettanto fortunato.

La prima incarcerazione per omicidio colposo di un soldato dell’IDF dal 2005

 Nel caso di Azaria, l’IDF ha aperto un’indagine sull’uccisione, trattandola inizialmente come un caso di omicidio volontario, ma alla fine l’accusa è stata di omicidio preterintenzionale. È stato incarcerato il 4 gennaio. Sebbene chiaramente inadeguata, la sentenza di omicidio preterintenzionale costituisce un importante passo avanti, dato che per la prima volta dal 2005 un soldato israeliano è stato riconosciuto colpevole del reato di cui era imputato. In quel caso, tuttavia, c’erano rilevanti circostanze discriminanti a favore della vittima. Si trattava del giovane attivista britannico Thomas Hurndall, mentre il colpevole era un soldato beduino che aveva sparato a Hurndall a Gaza mentre quest’ultimo stava portando in salvo un gruppo di bambini durante uno scontro tra palestinesi e soldati dell’IDF. A seguito delle pressioni sia della famiglia di Hurndall sia del governo britannico, il soldato Taysir Hayb è stato condannato a otto anni di carcere, di cui ne ha scontati sei e mezzo.

La maggior parte degli ebrei israeliani è dalla parte di Azaria

La situazione di al-Sharif è totalmente differente. Era palestinese e non aveva il vantaggio di un potente governo occidentale che agisse in suo sostegno. E, forse ancora più importante, il soldato beduino non godeva del supporto incondizionato della popolazione di Israele, come invece è nel caso di Azaria.

Alcuni sono dell’opinione che le azioni di Azaria abbiano macchiato la condotta, solitamente impeccabile, dell’esercito. Moshe Ya’alon, ministro della Difesa al tempo dell’omicidio, ha dichiarato che “il fatto è molto grave e totalmente contrario ai valori dell’IDF e alla sua etica in combattimento. Non possiamo permetterci, anche se il sangue ci ribolle nelle vene, una tale perdita di controllo sulle nostre facoltà mentali. Questo incidente verrà trattato nella maniera più rigorosa possibile”.
La stragrande maggioranza degli ebrei d’Israele, tuttavia, vede Azaria come una vittima, se non addirittura una specie di eroe. Sono state organizzate manifestazioni in suo supporto, e i politici di destra si sono schierati in blocco dalla sua parte. Ancora prima che venisse emessa la sentenza, il ministro dell’Educazione Naftali Bennet ha affermato che, anche se fosse stato giudicato colpevole, Azaria non avrebbe dovuto scontare neanche un giorno in carcere.

“Non c’è soldato che non sappia che è contro le regole sparare ad un terrorista che è già stato neutralizzato. D’altra parte, è necessario supportare i nostri soldati sul campo, che stanno rischiando la vita per far fronte ad un terrorismo assassino,” ha detto. Poco dopo la sentenza si è unito ad altri politici per chiedere che Azaria venisse graziato. “La sicurezza dei cittadini di Israele rende necessario un immediato perdono per Elor Azaria,” ha detto.
Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha detto dopo l’annuncio del verdetto che “i soldati dell’IDF sono i nostri figli e le nostre figlie e devono rimanere al di sopra di qualsiasi disputa”. Bennet e Netanyahu sono tutt’altro che i soli a pensarla in questo modo. Secondo un sondaggio condotto poco dopo il giudizio su Azaria, il 67% degli israeliani sono in favore della grazia, mentre il 19% è contrario.
Alcune voci, come quella della ONG israeliana Adalah, si sono espresse per una pena più severa, criticando il fatto che la sentenza indulgente è emblematica “dell’impunità di cui gode il personale della sicurezza israeliano accusato di crimini contro i palestinesi”. Tuttavia, queste voci sono decisamente isolate.
Ciò che è davvero preoccupante in tutta questa vicenda è che il dibattito sulla giustizia per la vittima palestinese è stato quasi inesistente. Al contrario, la discussione si è concentrata sugli effetti che la condotta di Azaria poteva avere sulla reputazione dell’esercito. La vittima non gioca nessun ruolo nel dibattito. Non ha alcuna importanza. Era un palestinese, un terrorista.

I palestinesi ricevono sentenze di condanna più severe per crimini meno gravi

Nel marzo 2013, un colono donna venne coinvolto in un incidente d’auto vicino al villaggio di Hares, in Cisgiordania, nel quale una delle sue figlie riportò gravi traumi, a causa dei quali è morta due anni dopo. In un primo momento la donna disse che l’incidente era stato causato da un camion che si era fermato sul ciglio della strada per riparare una gomma a terra, ma poi ritrattò. Non era stato il camion a causare l’incidente, ma diversi giovani palestinesi che lanciarono delle pietre, facendole perdere il controllo del veicolo. Non c’erano testimoni oculari e la testimonianza della donna e del conducente del camion presentavano molte incongruenze, ma ciò non impedì alle autorità israeliane di proseguire nell’indagine.

Qualche giorno dopo l’incidente, iniziarono a girare voci che si era trattato di un attacco terroristico e la tempesta mediatica che ne seguì fece uscire allo scoperto 61 testimoni, che dichiararono che anche le loro auto erano state danneggiate da pietre lanciate sulla stessa strada quel giorno. Venne coinvolto lo stesso Primo Ministro Netanyahu, che annunciò con orgoglio “che aveva preso i terroristi che avevano commesso quel reato”.

L’esercito entrò in azione, arrestando diciannove adolescenti di Hares e di un altro villaggio vicino. I giovani vennero torturati fino a quando cinque di loro furono costretti a confessare il crimine del lancio di pietre. La tragica storia di questi ragazzi, che vennero soprannominati i Ragazzi di Hares, guadagnò l’attenzione internazionale, ma non fu sufficiente a salvarli dal loro destino. Il 26 novembre 2015 vennero condannati a 15 anni di carcere.
È probabile che in futuro i palestinesi si troveranno a scontare pene sempre più severe per quelli che sono di solito considerati crimini minori. Nel 2015, il governo israeliano ha approvato una legge che stabilisce una pena minima di quattro anni per il reato di lancio di pietre, più del doppio della sentenza di Azaria. Nel marzo del 2016, cinque giovani palestinesi sono stati messi in prigione sulla base di questa legge, per aver lanciato pietre a Gerusalemme Est.

Azaria e i Ragazzi di Hares

Come è possibile paragonare la situazione di Elor Azaria e dei Ragazzi di Hares? Da una parte c’è la prova inequivocabile di un omicidio in stile esecuzione. Dall’altra, ci sono perfino scarse prove che sia stato commesso un qualsiasi omicidio, e tantomeno che i Ragazzi di Hares vi siano stati coinvolti. E, nonostante ciò, Azaria riceve una sentenza di condanna di 18 mesi, mentre gli adolescenti palestinesi spenderanno 15 anni della loro vita in carcere.

 

Richard Hardigan è un professore universitario che vive in California. Sta scrivendo un libro intitolato “The Other Side of the Wall” (“Dall’altra Parte del Muro”) basato sulla sua esperienza nei Territori Occupati. Il suo sito web è http://richardhardigan123.wixsite.com/mysite. Potete seguirlo anche su Twitter: @RichardHardigan.

Fonte: www.counterpunch.org

Link:  http://www.counterpunch.org/2017/03/03/israeli-killer-receives-more-lenient-punishment-than-palestinian-stone-throwers/

3.03. 2017

 

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ELEONORA FORNARA

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