Ancora esperimenti in corso nel Laboratorio Grecia

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Di Luca Lanzalaco per ComeDonChisciotte.org

Introduzione

La crisi greca è stata un laboratorio socio-politico, nel quale si sono testati i limiti estremi di tenuta del sistema politico e del tessuto sociale della democrazia, sottoposti ad una austerità estrema e prolungata

(Pagoulatos 2020)

Una austerità che lo stesso Fondo monetario internazionale non ha esitato a definire eccessiva. “La Grecia ha stabilizzato la sua economia e in gran parte ha posto fine ai suoi squilibri, ma ad un costo elevato” in quanto “la politica fiscale è stata più restrittiva di quanto richiesto dal raggiungimento degli obiettivi di risanamento fiscale” (IMF 2018, 5, corsivo nostro).

La Grecia, come è noto, uscì dai tre piani di “aiuti finanziari” in condizioni drammatiche. Dal 2009 al 2018 tutti i principali indicatori economici erano nettamente peggiorati. Il debito pubblico, la cui riduzione costituiva il principale obiettivo delle politiche di gestione della crisi, era passato dal 126.7% al 181.1% del Pil (prodotto interno lordo).

La disoccupazione era aumentata dal 9.6% al 19.3% della forza lavoro attiva, raggiungendo il picco del 27.5% nel 2013. Gli investimenti si erano ridotti dal 49.4% al 20.5%.

Gli unici due dati apparentemente positivi sono il riequilibrio della bilancia dei pagamenti, che dopo anni di disavanzi, nel 2018 raggiunge il pareggio, e il deficit pubblico che da un disavanzo del 15.1% passa ad un avanzo dell’1.1%.

Diciamo apparentemente positivi perché il pareggio nella bilancia dei pagamenti fu raggiunto non per un aumento delle esportazioni, che rimangono sostanzialmente stabili, ma per una riduzione delle importazioni dovuta alla contrazione della domanda interna generata dalle politiche di svalutazione interna.

Considerazioni simili si possono fare anche per quanto riguarda il miglioramento dei conti pubblici. La riduzione del deficit totale del 16.2%, infatti, è imputabile principalmente alla massiccia contrazione del disavanzo primario (entrate meno spesa pubblica corrente) del 15.5% del Pil e solo dell’1.7% degli interessi che, anzi, raggiungono nel 2011, al termine primo fallimentare piano di aiuti il 7.3% del Pil.

Non è una questione meramente tecnica, in quanto ci dice che il “miglioramento” dei conti pubblici è avvenuto in seguito ad un aumento delle tasse (+8.9%) e a una riduzione della spesa pubblica corrente (-5.7%) provocando una contrazione della domanda interna da 248.1 a 179.8 miliardi di euro e degli investimenti da 49.4 a 20.0 miliardi di euro.

Ancora più disastrosa, se possibile, è la situazione sul piano sociale. Alla fine dei tre piani di aiuti, il 31.8% della popolazione era a rischio di povertà o di esclusione sociale (media europea 21.5%) e il 16.7% a rischio di grave deprivazione materiale (media UE 5.9%). A livello politico, non solo si è aperta una lunga fase di instabilità, ma per imporre le politiche di austerità, data la loro impopolarità, è stato necessario sospendere la democrazia per quasi un decennio (Lanzalaco 2022, capitolo 8).

Insomma, riprendendo il titolo di un articolo uscito sul Sole 24 Ore, quotidiano della Confindustria, il 20 agosto 2018 La Grecia esce dalla crisi ma il paese è a pezzi (Sorrentino 2018). E nel secondo rapporto del Fondo monetario internazionale si afferma che “la crescita, la competitività e la sostenibilità del debito non sono state ripristinate” (IMF 2017, 42, corsivo nell’originale).

Se non vi sono dubbi che al termine dei tre piani di aiuti la situazione economico-sociale della Grecia sia drammatica, siamo altrettanto sicuri che effettivamente la Grecia sia “uscita dalla crisi”? No, non lo siamo, per almeno tre ordini di ragioni che conviene analizzare dettagliatamente.

La sovranità fittizia. Un primo dato da cui emerge chiaramente che la crisi non è conclusa è che la Grecia è comunque ancora commissariata. Più esattamente, è sottoposta ad un regime di sorveglianza rafforzata (enhanced surveillance).

Ogni tre mesi, a partire dall’agosto 2018, viene stilato un rapporto sulla situazione economica e finanziaria greca. Il rapporto più recente, redatto da una missione di ispettori della Commissione europea in concerto con la Banca centrale europea, il Fondo monetario internazionale e il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) o “fondo salva stati”, è stato pubblicato il 23 febbraio 2022.

Il fatto che le organizzazioni internazionali – una specie di Troika allargata al Mes – abbiano ritenuto necessario proseguire nel “commissariamento” della Grecia significa che la situazione è tutt’ora precaria. D’altronde lo ammette la stessa Commissione nel suo ultimo rapporto:

L’implementazione della sorveglianza rafforzata per la Grecia riconosce il fatto che è necessario che la Grecia continui a implementare misure per fronteggiare le fonti o le potenziali fonti di difficoltà economiche e finanziarie, mentre sta implementando riforme strutturali per sostenere una crescita economica solida e sostenibile

European Commission 2022, 7

Quindi, la crisi non è conclusa, fonti di instabilità sono ancora presenti.

Il debito perpetuo e l’austerità infinita. La principale fonte di instabilità paradossalmente è contenuta proprio nelle condizioni di estinzione del debito nei confronti delle organizzazioni internazionali e nell’accordo con cui si è concluso il terzo piano di aiuti. Quando venne concordato il primo piano di assistenza di 110 miliardi di euro, la crisi si sarebbe dovuta concludere nel 2012 e il debito sarebbe stato estinto entro il 2015. Al termine del terzo programma di “aiuti” la Grecia è indebitata per 277.8 miliardi, anche dopo la ristrutturazione del 2012, e il debito si estinguerà nel 2060 (PDMA 2021, 11).

Si tratta evidentemente di una situazione debitoria insostenibile o difficilmente sostenibile. E, infatti, nella decisione con cui veniva attivata la sorveglianza rafforzata si affermava esplicitamente che

La Commissione conclude che la Grecia continua ad essere esposta a rischi di instabilità finanziaria che, se si dovessero concretizzare, potrebbero avere ripercussioni negative sugli altri Stati membri della zona euro. Queste ricadute negative potrebbero manifestarsi indirettamente incidendo sulla fiducia degli investitori e, di conseguenza, sui costi di rifinanziamento delle banche e degli emittenti sovrani in altri Stati membri della zona euro

Commissione europea 2018, 2, punto 9

Onde scongiurare questo rischio, nel giugno 2018, quindi due mesi prima della conclusione del piano di aiuti, il governo greco aveva raggiunto con i propri creditori un accordo in cui in cambio di alcune facilitazioni finanziarie finalizzate a mantenere nel medio- lungo-periodo il peso degli interessi al di sotto del 15-20% del Pil, la Grecia si impegnava, non solo a realizzare una lunga serie di riforme strutturali (razionalizzazione del settore sanitario, contenimento della spesa pubblica, snellimento della pubblica amministrazione, ecc.), ma a mantenere un avanzo primario del 3.5% del Pil fino al 2022 del 2.2% fino al 2060, in pratica un regime di austerità per i successivi quarant’anni.

Si trattava evidentemente di un obiettivo totalmente irrealistico. In un importante documento il Fondo monetario internazionale (IMF 2018) non solo dimostrava, sulla base di una analisi condotta su 90 paesi nel periodo 1945-2015 che i casi in cui si era riusciti a mantenere l’avanzo primario a livelli così elevati per lunghi periodi di tempo erano rarissimi, ma metteva in evidenza come i fattori che avrebbero potuto generare una tale situazione, per esempio una crescita sostenuta e cospicui investimenti, nel caso greco erano assenti. Per cui,

I Direttori [del Fondo monetario internazionale] hanno concordato che, dato il significativo risanamento raggiunto ad oggi, la Grecia non richiede un ulteriore consolidamento fiscale, e nel frattempo hanno notato come il raggiungimento di un elevato obiettivo di bilancio primario può avvenire a scapito della crescita, implicando alte tasse e limitando le spese sociali e gli investimenti. (…) I Direttori hanno richiesto un ulteriore ribilanciamento fiscale al fine di ridurre le imposte dirette e aumentare le spese sociali finalizzandole a sostenere la crescita e a ridurre i livelli di povertà ancora troppo elevati

IMF 2018, 4

In altri termini, il Fondo monetario internazionale – si noti, considerato la mecca dell’ortodossia neoliberista – consigliava di andare nella direzione esattamente opposta a quella imboccata dalla Commissione europea.

Precarietà finanziaria. La terza ed ultima ragione per cui la crisi greca non può dirsi conclusa, oltre a quelle già analizzate è costituita dal supporto finanziario offerto alla Grecia.

Alla fine del terzo programma viene trasferita alla Grecia l’ultima tranche degli aiuti, cioè 15 miliardi di euro che andandosi ad aggiungere ai 9 miliardi già accumulati costituiscono una riserva di 24 miliardi di euro che dovrebbe essere sufficiente a far fronte al fabbisogno finanziario dello stato greco per 22 mesi, cioè fino a giugno 2022.

A questo “tesoretto”, l’Eurogruppo aggiunge altri 5.5 miliardi per far fronte ai servizi del debito (restituzione annua di quota del capitale e pagamento degli interessi) e si impegna a versare, nel caso di necessità, altri 9.5 miliardi su un conto dedicato alla ricostituzione delle riserve di cassa (European Commission 2018, Eurogroup 2018).

Infine, l’Eurogruppo stabilisce di verificare nel 2032 – ricordiamo che siamo nel 2018! – se siano necessarie misure addizionali sul debito. Insomma, la situazione finanziaria della Grecia è ancora precaria, incerta e il rischio di una nuova crisi nel medio-lungo periodo è plausibile, se non probabile.

Questa ampia gamma di supporti finanziari e di meccanismi di monitoraggio ci dicono che le politiche di gestione della crisi in Grecia hanno lasciato delle palesi vulnerabilità finanziarie ed economiche di cui la Commissione e l’Eurogruppo sono ampiamente consapevoli.

Queste previsioni pessimistiche sembrano essere smentite da quanto accade nei diciotto mesi successivi. Dal 2018 al 2019 il prodotto interno lordo passa da 179.6 a 183.3 miliardi di euro, la disoccupazione cala di ben due punti percentuali, dal 19.3% al 17.3% della fora lavoro attiva e l’avanzo (o surplus) di bilancio aumenta dal 0.9% al 1.1% del Pil. Le previsioni che vengono fatte sulla base di questi dati sono ancora più incoraggianti. Sulla stampa e nei documenti ufficiali si parla di un nuovo inizio della Grecia che diventa esempio di virtù economiche e finanziarie.

Ma ben presto questa euforia lascia spazio allo sconforto con l’arrivo della pandemia e qui, come si suole dire, tutti i nodi vengono al pettine. La sanità greca, duramente colpita dalle politiche di austerità e dai tagli alla spesa pubblica a fatica riesce a far fronte al diffondersi del Covid-19. La spesa pubblica aumenta vertiginosamente e si passa da un surplus di bilancio del 1.1% del Pil nel 2019 a un disavanzo del 10.1% nel 2020 e del 9.9% nel 2021 e il debito supera nel 2020 il 200% del Pil.

La minaccia della crisi, nonostante nessuno usi esplicitamente questa parola, riappare all’orizzonte. La Grecia torna ad essere il “malato d’Europa”. Lo testimoniano vari fatti. Anzitutto, il trattamento di riguardo riservato alla Grecia che viene ammessa al PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme o Programma temporaneo di acquisto per l’emergenza pandemica) approvato il 18 marzo 2020 dal Consiglio direttivo della Banca centrale europea, nonostante i titoli pubblici greci non abbiano i requisiti necessari (BCE 2020, art. 7).

Questa deroga, che verrà poi prorogata di fatto fino al 2024, non è l’unico indicatore della peculiarità della situazione greca. Come emerge da un recentissimo documento del Parlamento europeo (2022), il governo greco ha chiesto, per la realizzazione del suo Piano di Rinascita e Resilienza 30.5 miliardi di euro, di cui 17.8 in finanziamenti a fondo perduto e 12.7 in prestiti che, non solo sono la cifra massima consentita, ma vanno ad aggiungersi ai debiti pregressi.

I 30.5 miliardi richiesti corrispondono al 4.2% dell’intero Fondo di Rinascita e Resilienza europeo, che ammonta a 723.8 miliardi di euro e al 16.7% del prodotto interno lordo greco nel 2019.

Per capire la consistenza del finanziamento richiesto e concesso si tenga conto che il Pil della Grecia è intorno al 2% di quello europeo e che il Fondo di Rinascita e Resilienza costituisce il 5.2% del prodotto interno lordo dell’Europa dei 27. La Grecia risulta essere, quindi, il paese che, in termini di finanziamenti procapite, ha beneficiato maggiormente del Fondo di Rinascita e Resilienza europeo, con 1 666 euro di contributi a persona, nonostante non sia stata tra i paesi più colpiti dalla pandemia (Armigeon et alii 2022, figura 5).

Insomma, più che una risposta all’emergenza creata dal Covid 19,

Si tratta del quarto piano di risanamento finanziario sotto mentite spoglie

D’altronde, i conti pubblici greci non sono affatto rassicuranti. Ad oggi, il 75% del debito pubblico greco è detenuto da istituzioni pubbliche europee e internazionali e solo il 25% da investitori privati, una situazione identica a quella del 2015. La quota del 75% è sottostimata in quanto non include i titoli acquistati con il PEPP e, in secondo luogo, è costituita in gran parte da debiti contratti durante i tre piani di “aiuti” che si sono susseguiti dal 2010 al 2018 che costituiscono il 70% dell’intero debito pubblico (PADMA 2021, 9 e nota 1).

La Grecia rimane quindi fortemente dipendente dalle istituzioni internazionali e, soprattutto, dall’Unione europea che è il suo principale creditore.

Questo spiega l’evidente acquiescenza del governo greco che non ha esitato ad incorporare nel proprio Piano di Rinascita e Resilienza, significativamente intitolato Grecia 2.0, il modello di crescita neoliberista, completamente estraneo alla sua storia, che a partire dal 2010 il Fondo monetario internazionale, la Banca centrale europea e la Commissione europea cercano di imporre alla Grecia (Lanzalaco 2020, Theodoropoulou 2022).

La condizionalità politica rigida ed invasiva che ha caratterizzato lo scorso decennio si ripresenta oggi.

La pandemia ha offerto una finestra di opportunità alle élite europee ed internazionali per imporre un “reset” all’economia greca

come recita il titolo di un articolo sul Financial Times (Varvitsioti, 2021), ovvero per cambiare dalle fondamenta il modello economico greco rendendolo più competitivo e rivolto all’esterno, secondo le parole del primo ministro di centrodestra Kyriakos Mitsotakis.

Ancora una volta, nonostante un decennio di evidenti fallimenti, una situazione economica precaria caratterizzata da palesi vulnerabilità e, ultimo ma non ultimo, un debito chiaramente insostenibile, si tenta di imprimere una torsione innaturale al sistema economico e sociale greco. Il Laboratorio Grecia è ancora aperto.

Di Luca Lanzalaco per ComeDonChisciotte.org

21.04.2022

Luca Lanzalaco è professore ordinario di Scienza politica presso l’Università di Macerata. Ha recentemente pubblicato, con Giampiero Cama e Sara Rocchi, Le banche centrali prima e dopo la crisi. Politica e politiche monetarie non convenzionali (ATì editore, 2019) e Fragile Boundaries. The Power of Global Finance and the Weakness of Political Institutions (Rivista Italiana di Politiche pubbliche, 2/2015, il Mulino).

Ancora esperimenti in corso nel Laboratorio GreciaE’ autore del libro L’euro e la democrazia. Dalla crisi greca al nuovo Mes (Youcanprint, Bari, 2022) – La crisi greca è un caso esemplare molto istruttivo. Lo scarso peso economico e politico della Grecia ha consentito che le pressioni dei mercati, i vincoli delle interdipendenze finanziarie e monetarie, le pretese dei più potenti partner europei e le direttive delle organizzazioni internazionali non trovassero contrappeso di alcun tipo e potessero così dispiegarsi pienamente. L’analisi del caso greco – che non costituisce una eccezione, come dimostra anche quanto accaduto in Italia – mette in evidenza gli stretti legami esistenti tra rinuncia alla sovranità monetaria, cessione della sovranità politica e declino della qualità della democrazia. Con il pretesto di arginare la crisi greca e di salvare l’euro si è inaugurata la nuova governance delle politiche economiche e sociali  – dal Fiscal compact al Semestre europeo fino al nuovo Mes – e il processo di integrazione europea ha assunto sempre più i connotati di una forma di federalismo coercitivo. E’ arrivato il momento di ripensare criticamente l’assioma secondo cui la moneta unica è il pilastro su cui costruire l’unione tra i paesi europei. Progettare un’Europa senza euro forse è l’unico modo per evitare un’Europa senza democrazia.

“Ancora esperimenti in corso nel Laboratorio Grecia” – Riferimenti bibliografici articolo

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