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La Redazione

 

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Alla British Library non c’è bisogno di “trigger warnings”

I bibliotecari stanno insultando l'intelligenza dei lettori
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A cura di CptHook
Il 19 Aprile 2023
11110 Views

Colgo l’occasione per dare il benvenuto di tutta la redazione (ed il ringraziamento personale di Markus e mio per questo aiuto di cui abbiamo grandemente bisogno) ad un nuovo cercatore di “elaboratori carnevaleschi” (o anche di “animali marini dall’identità confusa”, tanto per attenerci ad un tema di attualità di cui tratteremo in un altro, prossimo benvenuto), qui sibi nomen imposuit Samuele. Benvenuto e buon lavoro, Sam! (Lo so, forse avrei dovuto premettere “Adnuntio vobis gaudium magnum…” ma, insomma, non volevo che ti montassi la testa). Voglio anche aggiungere che, per quanto mi/ci faccia piacere (e, personalmente, ritenga quasi un obbligo) tradurre quanto più possibile la terminologia “anglo”, in questo caso specifico e dopo una sofferta consultazione, ci siamo entrambi tappati il naso ed abbiamo (dolorosamente, invero) lasciato nella lingua di origine alcuni termini. Che il Sommo e “quel tal Sandro” ci perdonino…

 

Joanna Williams – spiked-online.com – 13 aprile 2023

 

Quella del bibliotecario è sempre stata considerata un’occupazione tranquilla, se non noiosa. Poche vite vengono messe a repentaglio se i volumi vengono archiviati scorrettamente. È più probabile che gli utenti infastiditi diano qualche segno di disapprovazione piuttosto che diventino violenti. Perciò la notizia che al personale della British Library venga ora fornito un ‘supporto emotivo’ per aiutarlo a gestire i traumi da lavoro può sorprendere molti.

Sembra che sia addirittura cambiata la descrizione del lavoro. I bibliotecari non sono più semplici catalogatori di libri: d’ora in poi saranno in prima linea nella lotta contro il razzismo. Il “Piano d’azione per l’uguaglianza razziale” della British Library, pubblicato in sordina l’anno scorso ma rivelato questa settimana dal Telegraph, incarica il personale di redigere ‘un glossario completo della terminologia spinosa e inclusiva’ in cui ci si può imbattere durante la catalogazione di ‘materiale culturalmente sensibile’. Questi nobili guerrieri devono controllare le collezioni della British Library alla ricerca di ‘descrizioni razziste’ al fine di redigere trigger warnings o note informative appropriate. Sono ossessionati dall’idea di doverci proteggere, che lo vogliamo oppure no.

I trigger warnings sono emersi più di dieci anni fa dalla rete, quando i blogger si misero a farne uso per segnalare contenuti potenzialmente traumatizzanti (di solito descrizioni di stupri, molestie sessuali o malattie mentali). Tale pratica si è presto diffusa nel mondo accademico, dove i ‘burocrati della diversità’, già inclini a considerare gli studenti come persone vulnerabili, hanno cercato di difendere i loro incarichi da tutto ciò che poteva suscitare sentimenti di angoscia. Nel frattempo, la tipologia di contenuti considerati traumatizzanti si è ampliata all’inverosimile. Insomma, si sostiene che razzismo, sessismo, classismo, transfobia e omofobia necessitino tutti di trigger warnings.

Ormai nei campus universitari i trigger warnings vengono lanciati dappertutto come fossero confetti. Sono stati applicati a qualsiasi cosa, dalla Bibbia a Moby Dick, dalla trattazione dello stupro nei corsi di legge al fatto che siano presenti delle ossa durante i corsi di archeologia. Persino la parola ‘trigger’ (grilletto) è ora considerata provocatoria nei riguardi delle vittime di violenza da arma da fuoco, pertanto i docenti sono esortati a fornire in alternativa un content advice. Il presupposto che tutti questi argomenti possano causare disagio porta inevitabilmente alla censura: se un qualche testo è a tal punto problematico da meritare un’etichetta di avviso, sicuramente non è prudente leggerlo.

Proprio quando nei campus è stato raggiunto il picco di trigger warnings, ecco che hanno iniziato a comparire anche altrove. Musei e gallerie d’arte, articoli di riviste, film e produzioni teatrali sono ora regolarmente accompagnati da un testo introduttivo che mette in evidenza tutti gli aspetti problematici riguardo al contenuto che si sta per vedere. Tornando alla British Library, il Piano d’azione per l’uguaglianza razziale suggerisce di affiggere in tutti gli spazi pubblici ‘che presentano materiali sensibili’ dei comunicati che offrano opportune spiegazioni supplementari. In linea con i principi fondamentali della teoria critica del razzismo, si parte dal presupposto che tutti gli enormi cataloghi della British Library nascondano contenuti razzisti che devono essere sradicati e smascherati, anche se l’autore non ha mai avuto intenti razzisti e nessun lettore si è offeso.

I trigger warnings sono sempre stati un concetto fasullo. Non c’è alcuna prova che le persone che hanno sofferto, ad esempio, di anoressia o che abbiano subito una violenza sessuale, possano trarre un qualche giovamento da un trigger warning. Il vero scopo dei trigger warnings è quello di mettere in mostra le credenziali ‘woke’ di chi li emette e di smorzare il dibattito su determinate tematiche. Nel corso degli anni, si è passati da avvertimenti contenenti solo poche parole a interi testi esplicativi. Per esempio, il busto del cofondatore della British Library Sir Hans Sloane presenta ora una serie di etichette che ‘contestualizzano’ i suoi legami con la tratta degli schiavi. A volte questo ‘contesto’ può essere fuorviante o falso: il personale della British Library ha dovuto presentare delle scuse ai discendenti del poeta Ted Hughes, che era stato erroneamente incluso in un elenco di persone che si sono arricchite grazie allo schiavismo.

Questa pratica non è limitata alla British Library. All’inizio degli anni 2000, Clive Upton dell’Università di Leeds ha co-fondato un vasto database etnografico e linguistico a partire dai materiali di ricerca dell’ex Istituto di studi sul dialetto e sulla vita popolare di Leeds. Alcune parti di questo archivio, un tempo appannaggio degli accademici, vengono ora digitalizzate per essere rese pubbliche. È un’iniziativa che va accolta con favore. Tuttavia, sembra che alle persone comuni non sia consentito fare le proprie considerazioni in autonomia riguardo a ciò che vedono o sentono su tale piattaforma. L’intero database è corredato da un avviso generale che avverte gli utenti: “I titoli del catalogo o le descrizioni di questa collezione possono contenere terminologia e frasi che oggi sarebbero considerate inaccettabili”. Nel contempo, i singoli reperti sono corredati da ulteriori avvertenze.

Upton, che non è coinvolto nel lavoro di digitalizzazione, sostiene che queste avvertenze specifiche sembrano essere adoperate in modo arbitrario. Per esempio, i materiali che hanno a che fare con la macellazione commerciale di animali o con gli sport sanguinari sono accompagnati da un’avvertenza sul contenuto, mentre le discussioni sulla morte umana, le malattie, gli omicidi, la stregoneria e l’occulto non lo sono. Questo dimostra che le avvertenze riflettono le preoccupazioni di chi le pubblica. Upton aggiunge: “Non è chiaro chi sia autorizzato a ideare e inserire i trigger warnings, quali siano i criteri oggettivi per farlo e quanto sia approfondito l’esame del materiale prima di inserire tali avvertenze”.

In apparenza, l’obiettivo del ‘Piano d’azione per l’uguaglianza razziale” della British Library è quello di proteggere le persone da danni emotivi, consentendo al pubblico di effettuare ricerche nei suoi archivi in modo ‘sicuro’, evitando ‘un linguaggio discriminatorio e dannoso’. L’assunto di fondo è che siamo tutti psicologicamente vulnerabili o, peggio, che siamo pronti a trasformarci in bigotti razzisti se siamo lasciati liberi di trarre le nostre conclusioni dalla fruizione di un testo o di un’opera d’arte. Questo è un insulto al pubblico dei lettori. I bibliotecari dovrebbero rispettare i lettori e lasciar perdere i trigger warnings.

 

joanna_williamsLa Dr.ssa Joanna Williams, editorialista di Spiked e autrice di How Woke Won,è stata insegnante di inglese nelle scuole secondarie e successivamente docente di istruzione superiore e pratica accademica presso l’Università del Kent. Ha inoltre diretto il Kent’s Centre for the Study of Higher Education fino al 2016. Altre sue opera sono Consuming Higher Education-Why Learning Can’t Be Bought (Bloomsbury, 2012) e Academic Freedom in an Age of Conformity (Palgrave Macmillan, 2016). Il suo libro più recente è Women vs Feminism (Emerald, 2017).

 

Fonte: https://www.spiked-online.com/2023/04/13/the-british-library-does-not-need-trigger-warnings/

 

Scelto e tradotto da Samuele per ComeDonChisciotte

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