Abbiamo votato il M5S perché ci siamo rotti i coglioni

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DI ROSANNA SPADINI

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Alla fine i giullari delle scie chimiche, definiti incapaci, incompetenti, populisti, cialtroni ed impresentabili si sono rivelati una strepitosa macchina del consenso, sguinzagliati sul web e sul territorio a cercare voti, come i pellegrini di un tempo diffondevano il verbo di Dio, ora questi  diffondono il verbo stellato, promettono sicurezza e protezione, garantiscono giustizia politica e sociale, baciano la reliquia di San Gennaro e rassicurano i poteri smorti. Accusati di essere visionari e complottisti, scienziati del no-vax e truffatori di Rimborsopoli, sono lì ad un passo dal governo, e se il loro progetto fallisse, la prossima volta arriveranno a percentuali bulgare, con Di Battista in dispensa per assumere il premierato.

Non so se le elezioni del 4 marzo potranno definirsi una possibile liberazione, sicuramente sono state una vera ribellione dei cosiddetti populismi contro il sistema oppressivo eurocentrico. Piccola e media borghesia più proletariato sono stati tartassati dai danni della globalizzazione e dell’UE, nelle sue espressioni più invadenti (euro e trattati), ed ora si sono apertamente ribellati all’ordine vigente, ed hanno votato partiti che raccolgono la protesta. Anche se non tutto è populismo, non si può certo credere che il cavaliere ottuagenario, incatramato e rimbambito, simbolo del liberismo affaristico che ha privatizzato tutto ciò che gli è stato possibile (mafia a libro paga e ponte sullo stretto), possa essere considerato una novità ed una liberazione.

Le conseguenze di una crisi che dura da 10 anni sono state devastanti per la vita degli italiani. Mentre il PD sembra ormai morto, per i guasti nefasti prodotti dall’austerità, non sembrano esserli quegli organismi che lo hanno sempre appoggiato e che hanno appena firmato un accordo sul sistema contrattuale, cioè i vertici di CgilCislUil e quelli di Confindustria. Dice Cremaschi che l’accordo sancisce la riduzione dei salari escludendo la possibilità di aumenti nei contratti nazionali e legando rigidamente quelli aziendali ai massimi profitti dell’impresa. Così flessibilità e precarietà diventano elementi costitutivi del rapporto di lavoro, mentre sono destinati ad aumentare l’orario di lavoro e l’intensità della prestazione.

Hanno realizzato un sindacato unico di regime in cui padroni e vertici sindacali operano di comune accordo in una sola corporazione. Un accordo vergognoso, sottoscritto senza neanche un’assemblea nei luoghi di lavoro, una vera e propria congiura, operata dal turbocapitalismo per abbattere diritti, salario e libertà in tutto il modo del lavoro.

Sindacati liberisti finora si erano visti solo nel mondo anglosassone. I metalmeccanici tedeschi hanno raggiunto le 28 ore settimanali con aumento dei salari, mentre l’Italia sembra essere destinata ad economia da terzo mondo e a terra di sfruttamento. CgilCislUil  e Confindustria dimostrano così di osteggiare contratti decorosi per i lavoratori, e stanno già progettando privatizzazioni di fondi pensione, sanità privata, formazione sul lavoro, perché questo sembra essere diventato il loro primo interesse.

Intanto la sinistra radicale si è crogiolata in comparsate antifasciste in assenza di fascismo, con la conseguenza encomiabile di arruolarsi come braccino armato del sistema. Nell’assoluta inconsapevolezza che il vero fascismo oggi sta da tutt’altra parte, un fascismo liberista ed europeista, vera culla del massacro dei diritti, mentre certe scenografie sono una vera manna per i media, che le spacciano per i reali problemi del paese.

Al contrario dall’altra parte c’è chi si è mosso con più intelligenza strategica e con migliore empirismo realistico, perché i problemi reali sono chiari. Il vero pericolo da abbattere è la dittatura finanziaria, attraverso il recupero dell’egemonia della politica e il ritorno ad un sistema economico sovranista e keynesiano.

Contro il turbocapitalismo bisognerebbe recuperare un forte intervento della politica. La Lega propone una sorta di liberismo corretto con lo stato forte e con un bel po’ di mancette ai ricchi (Flat Tax), mostrandolo come soluzione. Ma è un partito del sistema, alleato con un vecchio capitalista rincoglionito, che però possiede ancora piena lucidità nel mantenere lo scettro del comando.

L’immigrazione poi andrebbe risolta senza i falsi miti dell’accoglienza universale della sinistra, ma affrontata per quello che è, una sorta di esercito industriale di riserva (Karl Marx, Il Capitale), funzionale all’esistenza stessa del sistema capitalistico, poiché alimentando la concorrenza tra gli operai, garantisce il dumping salariale, così utile agli oligarchi. Quindi il messaggio martellante sull’immigrazione intesa come una risorsa cerca di oscurare le vere cause del fenomeno, sconfessando del resto l’esperienza concreta dei ceti operai. Il peggioramento del mercato del lavoro, dovuto al Jobs Act e alle formule liberiste, dovrebbe essere individuato come la causa principale del peggioramento delle condizioni di vita, quindi affrontato come tale.

Altro fondamentale problema è quello dell’euro e dell’UE, che i cittadini cominciano a percepire come un danno, ma di cui non hanno ancora una chiara consapevolezza.

A questo proposito «Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa» di Vladimiro Giacché, illustra la configurazione dell’attuale capitalismo europeo e dei rapporti di forza che lo manovrano, mostrando come la riunificazione delle due Germanie abbia consentito  allo stato tedesco di riconquistare quella centralità politica ed economica nel continente europeo, che aveva perduto nel 1945 dopo l’esito catastrofico della seconda guerra mondiale.

Ma la riconquista di questa centralità ha provocato squilibri, anche se ha rappresentato un formidabile acceleratore del processo d’integrazione, perché il pegno che la Germania avrebbe pagato per la propria riconquistata unità sarebbe stato proprio la creazione di un organismo sovranazionale, e la stessa moneta unica europea era concepita come un tassello di questo disegno.

Da quel momento la Banca Centrale Europea è diventata una sorta di Bundesbank continentale, e l’ortodossia neoliberalista e mercantilista tedesca si è imposta in tutta Europa, così come quella della Germania dell’Ovest si era imposta su quella dell’Est, causandone una completa deindustrializzazione, la perdita di milioni di posti di lavoro e un’emigrazione selvaggia verso Ovest, che spopolò intere città.

In quel caso la forza del vincolo monetario, e la sua potenza fondativa anche dal punto di vista  politico, ha visto la Germania diventare politicamente unita il giorno stesso della raggiunta unione monetaria, perché il vero trattato che unifica la Germania è quello monetario del 1° luglio del 1990, e non quello politico entrato in vigore il 3 ottobre, che ne è stato una pura e semplice conseguenza. L’unione monetaria si è rivelata quindi il solido impasto che ha cementificato l’unificazione.

Allo stesso modo la moneta unica europea, introdotta in assenza di una sufficiente convergenza tra economie asimmetriche, è la causa principale della crisi che sta investendo i paesi periferici dell’Unione Europea.

Ma tornando all’esito delle elezioni, il sistema sembra essere stato sconfitto dal voto, rifiutato l’impianto politico-economico imposto dal Pd, fedele esecutore dei diktat di Bruxelles, mentre hanno vinto le forze percepite come anti-establishment, M5S e Lega.

Parallelamente, il risultato disastroso di LeU è stato marcato dalla mancanza di un’analisi onesta  della realtà, e dal ricorso a tematiche moralistiche e antistoriche, come lo ius soli e l’antifascismo, che in realtà svelano la concreta incapacità di cogliere le vere sfide sociali del momento. Mentre la strategia vincente è riuscita alle destre, che hanno immediatamente individuato come primo problema dell’Italia la «sicurezza» intesa in senso lato, la difesa dei diritti sociali, la sicurezza del lavoro, della sanità, del Welfare, oltre alla tutela delle libertà personali.

Naturalmente, quella della destra è una «sicurezza» a sua volta parziale e demagogica, perché dipendente dal progetto neoliberista e ordoliberista dell’euro, che se anche viene osteggiato apertamente da Salvini, però viene difeso dall’ottuagenario di Arcore, che dovrà tutelare i propri interessi.

Per capire poi il successo del M5S al Sud bisognerebbe leggersi il libro di Andrea Del Monaco, esperto di Fondi UE, «Sud Colonia Tedesca, la questione meridionale oggi», che parte dalla premessa per cui l’austerità sarebbe generatrice di nuovi fascismi, come lo fu il Trattato di Versailles del 1919, vessatorio per la Germania, cui impose un debito di guerra insostenibile, e premessa per la futura nascita del Nazismo. Andrea Del Monaco spiega la riduzione dell’Italia e dei Mezzogiorni d’Europa a colonia tedesca.

Da vent’anni il Sud è assente nelle politiche nazionali. Renzi ha inaugurato la variante di valico dell’A1 ma non ha completato le tre ferrovie Alta Capacità al Sud: la Napoli-Bari-Lecce-Taranto, la Salerno-Reggio Calabria e la Messina-Catania-Palermo. Il Fiscal Compact blocca gli investimenti e favorisce il disinteresse del Governo italiano per il Mezzogiorno.  La classe dirigente meridionale investe poco e male gli unici soldi disponibili, proprio i fondi europei. Nel contempo la Germania ha rilanciato il suo Sud, l’ex Germania Est, spendendo bene i fondi UE. Fino al 2020 il Mezzogiorno avrà 50 miliardi: occorre investirli in un Piano di sviluppo che crei lavoro vero. Ma con governi che hanno sempre sfruttato il sud ciò sarà possibile.

Ma anche lo scrittore Pino Aprile, esperto della questione meridionale, conferma la stessa tesi «Il confine geografico del successo Cinque Stelle è esattamente lo stesso dell’ex Regno delle due Sicilie» dice «È il risultato di 150 anni di saccheggi. Voteremmo anche belzebù pur di mandare via questi politici» quindi «Il Sud ha votato in blocco i Cinque Stelle perché si è rotto i coglioni».

In alcune regioni si sfiora il 50%, in qualche città si va persino oltre, in tutto il Sud i grillini hanno fatto cappotto, conquistando tutti i collegi disponibili. Negli ultimi anni il mezzogiorno ha subito un saccheggio sfrenato, in dieci anni lo Stato italiano ha sottratto al Meridione 850 miliardi di euro (130-140 ponti sullo Stretto). Ogni anno i governi centrali assegnano al Sud 6 miliardi e mezzo in meno di investimenti. Ogni anno vanno via almeno 50mila giovani, un impoverimento di uomini e valori che rimanda all’emigrazione di fine Ottocento.

Se vogliamo però essere precisi, il saccheggio delle risorse meridionali è partito dal 17 marzo 1861, e da allora non è cambiato nulla. Per esempio i finanziamenti per la manutenzione stradale delle città, non vengono calcolati in base ai chilometri, ma in base al numero dei dipendenti di aziende private sul territorio, e così Napoli, che ha il doppio delle strade rispetto a Milano, riceve la metà dei fondi. E i finanziamenti per gli asili nido vengono garantiti in base al numero degli asili già presenti, così si aiuta chi ha già le strutture, ma non chi ha più bambini.

Quando nel 1720 il Piemonte acquisì la Sardegna grazie ad alcuni trattati internazionali, l’isola venne colonizzata e spogliata di tutto, i sardi non avevano neppure il diritto di occupare posti nella pubblica amministrazione. Quando nel 1860 i piemontesi arrivarono al Sud, applicarono la stessa strategia, terre private di porti, strade e infrastrutture. È un disegno politico che ha un secolo e mezzo di storia, il voto di domenica lo ha reso solo più visibile.

«Negli ultimi 20 anni abbiamo visto fondi europei rastrellati dai governi di centrodestra e portati al Nord» dice sempre Pino Aprile nell’intervista. «Un miliardo destinato alla ricerca finito a finanziare le compagnie di navigazione del lago di Garda, l’illuminazione del Veneto e le industrie d’armi del bresciano. Le multe per i truffatori delle quote latte, nel Nord, sono state pagate con i soldi destinati al Sud. Si parla di almeno 4 miliardi. Poi è arrivato il centrosinistra e sono riusciti a fare anche peggio. I famosi ottanta euro di Matteo Renzi sono una follia. Li hanno stanziati per aiutare le famiglie in difficoltà, ma li prende solo chi ha già uno stipendio medio basso. Chi non ce l’ha muore di fame. Così i sottopagati e i disoccupati del Meridione sono stati esclusi e gli ottanta euro sono finiti tutti al Nord.»

«Fino ad oggi il reddito di cittadinanza lo hanno preso solo le ricche industrie del Nord, che sono assistite da sempre con i soldi pubblici. Nel 2015 solo l’Expo di Milano è stato finanziato con una quindicina di miliardi, ed è stato uno dei più grandi flop di sempre. Ci sono voluti nove anni per la realizzazione, e quando è stato inaugurato non erano ancora ultimati il 40 per cento dei padiglioni. Bene, esattamente un secolo prima veniva progettato dall’ingegner Camillo Rosalba l’acquedotto pugliese, il più lungo del mondo. Anche allora ci vollero nove anni per la costruzione. Ma nel 1915 l’acqua del fiume Sele già zampillava nella fontana di piazza Umberto a Bari. Ecco, queste sono le differenze. E non parliamo del Mose di Venezia, uno dei principali scandali italiani. Oppure del Tav in Piemonte: nella tratta italiana la realizzazione di ogni chilometro ci costa 10-13 volte in più di quanto avviene in Francia. Chi sa il perché? Un governo tra Cinque Stelle e Lega non sarebbe un tradimento delle istanze meridionaliste. Sarebbe semplicemente un suicidio. Conosco bene qualche bravo psichiatra: se i grillini vogliono stringere un’intesa con Salvini posso aiutarli.»

 

Rosanna Spadini

www.comedonchisciotte.org

11.03.2018

 

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