Patrick J. Buchanan – Antiwar.com – 25 febbraio 2022
Quando il presidente russo Vladimir Putin ha chiesto agli Stati Uniti di rifiutare l’Ucraina come futuro membro dell’alleanza della NATO, questi hanno risposto in modo arrogante: la politica della NATO prevede porte aperte. Qualsiasi nazione, compresa l’Ucraina, può fare domanda di adesione ed essere ammessa. Non la cambieremo.
Nella dichiarazione di Bucarest del 2008, l’Ucraina e la Georgia, ancora più a est nel Caucaso, erano state messe sulla strada dell’adesione alla NATO e della copertura ai sensi dell’articolo 5 del trattato, che stabilisce che un attacco contro un membro qualsiasi equivale a un attacco contro tutti.
Incapace di ottenere una risposta soddisfacente alla sua richiesta, Putin invase e risolse la questione. Né l’Ucraina né la Georgia diventeranno membri della NATO. Per impedirlo, la Russia entrerà in guerra, come ha fatto ieri sera.
Putin ha fatto esattamente quello che aveva avvertito che avrebbe fatto.
Quale che sia il carattere del presidente russo, ora oggetto di un acceso dibattito qui negli Stati Uniti, ha stabilito la sua credibilità.
Quando Putin avverte che farà qualcosa, la farà.
A trentasei ore da questa guerra Russia-Ucraina, potenzialmente la peggiore in Europa dal 1945, due domande richiedono una risposta:
Come si è arrivati a questo punto? E dove andremo?
Come siamo arrivati al punto in cui la Russia – ritenendosi con le spalle al muro e gli Stati Uniti, spostando la NATO sempre più vicino, ce l’hanno messa – è arrivata a scegliere la guerra con l’Ucraina piuttosto che accettare il destino e il futuro che ritiene che l’Occidente abbia in serbo per la Madre Russia?
Riflettiamo. Tra il 1989 e il 1991, Mikhail Gorbaciov lasciò abbattere il muro di Berlino, riunire la Germania e liberare tutte le “nazioni prigioniere” dell’Europa orientale.
Avendo fatto crollare l’impero sovietico, Gorbaciov permise che l’Unione Sovietica si dissolvesse in 15 nazioni indipendenti. Il comunismo fu lasciato scomparire come ideologia dominante in Russia, la terra dove il leninismo e il bolscevismo avevano messo radici nel 1917.
Gorbaciov pose fine alla guerra fredda in Europa eliminando tutte le cause da parte di Mosca della storica divisione.
Putin, un ex colonnello del KGB, salì al potere nel 1999 dopo il disastroso governo decennale di Boris Eltsin, che aveva portato la Russia alla rovina.
In quell’anno, il 1999, Putin vide l’America condurre una campagna di bombardamenti di 78 giorni sulla Serbia, la nazione balcanica che era stata storicamente un protettorato della Madre Russia.
Quell’anno, inoltre, tre ex nazioni del Patto di Varsavia, la Repubblica Ceca, l’Ungheria e la Polonia, furono ammesse nella NATO.
Ci si chiese, giustamente, contro chi questi paesi dovevano essere protetti dalle armi degli Stati Uniti e dall’alleanza della NATO.
Alla domanda sembrava essere stata data una risposta completa nel 2004, quando Slovenia, Slovacchia, Lituania, Lettonia, Estonia, Romania e Bulgaria furono ammesse nella NATO, un raggruppamento che includeva tre ex repubbliche della stessa URSS, così come altre tre ex nazioni del Patto di Varsavia.
Poi, nel 2008, arrivò la dichiarazione di Bucarest, che avviò la Georgia e l’Ucraina, entrambe confinanti con la Russia, su un percorso di adesione alla NATO.
La Georgia, lo stesso anno, attaccò la provincia secessionista dell’Ossezia del Sud, dove le truppe russe stavano agendo come forze di pace, causando diverse vittime.
Il fatto scatenò un contrattacco di Putin attraverso il Tunnel di Roki nell’Ossezia del Nord, che liberò l’Ossezia del Sud e si spostò in Georgia fino a Gori, il luogo di nascita di Stalin. George W. Bush, che aveva promesso di “porre fine alla tirannia nel nostro mondo”, non fece nulla. Dopo aver occupato brevemente parte della Georgia, i russi se ne andarono ma rimasero come protettori degli osseti del sud.
L’establishment statunitense dichiarò che si trattava di una guerra di aggressione russa, ma un’indagine dell’UE incolpò il presidente georgiano Mikheil Saakashvili di esserne il responsabile.
Nel 2014, un presidente filorusso democraticamente eletto in Ucraina, Viktor Yanukovych, fu deposto a Kiev e sostituito da un regime filo-occidentale. Piuttosto che perdere Sebastopoli, la storica base navale russa in Crimea, Putin prese la penisola e la dichiarò territorio russo.
Teddy Roosevelt rubò Panama con altrettanto rimorso.
Il che ci riporta ai giorni nostri.
Indipendentemente da ciò che possiamo pensare di Putin, non è Stalin. Non ha ucciso milioni di persone o creato un arcipelago gulag.
Né è “irrazionale”, come sostengono alcuni esperti. Non vuole una guerra con noi, che sarebbe peggio che rovinosa per entrambi.
Putin è un nazionalista russo, patriota, tradizionalista e un realista freddo e spietato che cerca di preservare la Russia come la grande e rispettata potenza che era una volta e che crede di poter essere ancora.
Ma non può esserlo se l’espansione della NATO non si ferma o se il lo stato fratello dell’Ucraina diventa parte di un’alleanza militare il cui vanto più grande è di aver vinto la guerra fredda contro la nazione che Putin ha servito per tutta la vita.
Il presidente Joe Biden promette quasi ogni ora: “Non andremo in guerra in Ucraina”. Perché allora non dovrebbe prontamente escludere l’adesione alla NATO per l’Ucraina, che ci richiederebbe di fare qualcosa che lo stesso Biden dice che noi americani, per la nostra stessa sopravvivenza, non dovremmo mai fare: andare in guerra con la Russia?
Fonte: https://original.antiwar.com/buchanan/2022/02/24/did-we-provoke-putins-war-in-ukraine/
Traduzione di Cinthia Nardelli per ComeDonChisciotte