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La Redazione

 

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WASHINGTON PIANIFICA UN’OCCUPAZIONE PROLUNGATA DI UNA PARTE DELLA LIBIA

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A cura di supervice
Il 21 Agosto 2011
45 Views

DI THIERRY MEYSSAN
Reseau Voltaire

Mentre le televisioni atlantiste annunciano

la caduta imminente di Mouammar Gheddafi, Thierry Meyssan è

oramai intossicato. Secondo lui la guerra è sia psicologica che

militare. Le menzogne della propaganda vogliono provocare l’implosione

dello stato libico, l’obiettivo finale che non è più di governare

paese, ma contrariamente ad installare un “caos costruttore”

a scapito della popolazione civile, per poter installare il “rimodellamento

dell’Africa settentrionale”.

Si è potuto osservare nel corso

degli ultimi giorni un cambiamento tattico importante della NATO. In

parecchie zone leali al governo, l’alleanza ha bombardato dei posti

di blocco, creando confusione, per poi sganciare poco più lontano armi

alle cellule ribelli dormienti o ai commandos di forze speciali

infiltrate.Queste operazioni sono fallite e le armi – all’avanguardia – sono state recuperate dall’esercito libico. Ma non dubitate, la NATO perfezionerà il suo metodo e proverà di nuovo
a metterlo in opera.

Questa innovazione tattica mostra che non si tratta più di favorire un sollevamento popolare contro “il regime di Gheddafi”, ma fomentare una guerra civile.

Non credete una parola di quello che vi dicono i canali satellitari della Coalizione. Ad esempio, nel momento in cui scrivo queste righe [nel pomeriggio di sabato 20 agosto], hanno appena annunciato che un’unità dell’esercito si è ammutinata e ha preso il controllo dell’aeroporto; che si batte nella capitale e che ha schierato i carri armati. È una pura invenzione. Utilizzate invece come fonte di informazione i canali satellitari delle nazioni che non partecipano al conflitto: la catena latino-americano TeleSur o la catena iraniana PressTV che, dopo la partenza di Russia Today, sono le uniche sul posto a riportare con obbiettività gli avvenimenti.

La propaganda atlantista ci assicura, nel corso della giornata, che i ribelli fanno progressi, che hanno preso questo o l’altro villaggio “strategico” e che “i giorni di Gheddafi sono contati”. Quante volte ci hanno annunciato che Gheddafi era fuggito in Venezuela o che si era suicidato?

Ultimo avatar di questa guerra psicologica, l’annuncio fatto dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) sulla necessità di evacuare al più presto 600.000 lavoratori stranieri prima dell’inevitabile bagno di sangue; una dichiarazione senza fondamento, destinata a seminare il panico. L’OIM non fa parte delle agenzie delle Nazioni Unite. È diretta dall’ambasciatore statunitense William Lacy Swing, tristemente noto ad Haiti.

In realtà, la NATO ha preso atto di essere impantanata e non ha più l’obbiettivo della soluzione militare classica. La sua tattica è ormai concepita per appoggiare
un’azione politica sotterranea che mira a provocare una divisione dello stato.

Il concetto è che i libici pronti a sostenere il CNT (Consiglio nazionaledi transizione) si contano in decine o in centinaia di migliaia, mentre quelli che sostengono il governo si contano a milioni. Per questo
è illusorio pensare che i “ribelli” siano in grado di controllare il paese a breve o medio termine.

Contrariamente a quanto molti ritengono, non sono i ribelli che si battono contro l’esercito libico e i suoi riservisti, ma è la NATO. Lo schema è oramai ben rodato:
gli elicotteri Apache attaccano una località bersagliando tutto quello che si muove. La popolazione fugge e l’esercito si ritira. I “ribelli” entrano allora nel villaggio. Issano la bandiera monarchica davanti
alle cineprese della CNN e consorti. Si fanno fotografare facendo la V di vittoria, poi saccheggiano le case abbandonate. Quando la NATO si ritira, l’esercito libico ritorna e i “ribelli” fuggono, lasciando dietro di sé una città devastata. Ogni giorno il CNT (Consiglio nazionaledi transizione) proclama di avere conquistato una località che perde il giorno dopo. Nel momento in cui scrivo queste righe, l’esercito libico ha ripreso il controllo di Zwaya e della sua raffineria, di Brega e della sua raffineria, e soprattutto di quasi tutta la città di Misurata. La sola località importante in mano ai “ribelli” è Benghazi. Quindi, ci sono stati se non di passaggio, con la loro coorte di giornalisti al seguito. Con l’aiuto della NATO, i ribelli possono penetrare ovunque, ma senza
l’aiuto della popolazione non riescono a fermarsi da nessuna parte.

Dopo una riunione tenuta il 25 luglio a Washington al Center for Strategic & Internazionale Studies (CSIS), i migliori esperti statunitensi sono arrivati alla conclusione che non c’è modo di prendere Tripoli, in ogni caso non prima di due o tre anni. È invece possibile, come anticipato da Daniele Serwer in una nota del Council of Foreign Relations (CFR), provocare un’implosione del regime. Ne consegue che le zone rurali, dove l’organizzazione sociale è di tipo tribale, affonderebbero istantaneamente in un caos più vicino a caso somalo che a quello iracheno. Alcune zone urbane, principalmente Tripoli che ospita un quarto della popolazione libica di cui l’organizzazione sociale è più familiare e individuale, resterebbero invece leali al governo
e stabili.

Fin da ora è stato deciso che il pietoso Consiglio Nazionale di Transizione sarà tenuto in vita formalmente, ma privato delle sue prerogative che comunque non ha mai esercitato. L’ambasciatore Gene A. Cretz sarà nominato “governatore della Libia libera” (sic), come il generale Jay Gardner lo fu dell’Iraq. Cretz ha formato la sua squadra e si tiene pronto ad atterrare in qualsiasi momento.

Dopo avere tentato un colpo di stato in ottobre, inventato un alibi umanitario per conquistare il paese in febbraio, aver preso in considerazione la spartizione della Libia sul modello kossovaro a giugno ed essersi lanciata all’inizio di agosto in una campagna per fare soffrire la popolazione tanto da farla sollevare, la NATO si è spostata gradualmente verso il “caos costruttore”,
tanto caro agli Straussiani [1] che hanno voluto precisamente questa guerra per estendere all’Africa settentrionale “il rimodellamento” già iniziato nel Vicino Oriente. In tal caso, la permanenza di Mouammar Gheddafi a Tripoli sarebbe una fortuna per istigare un conflitto regionale generalizzato tra arabi e “autoctoni” (Berberi, eccetera).

In effetti, a differenza del Vicino Oriente, l’Africa settentrionale non si presta a un conflitto settario tra sunniti e sciiti.

Il caos libico verrebbe esteso progressivamente alla totalità dell’Africa settentrionale, salvo l’Egitto, installando il terrore di Al Qaida nel Magreb islamico.

Va da sé che il caos in Libia avrebbe delle conseguenze catastrofiche per tutti i paesi del Mediterraneo, e in primo luogo per l’Italia e la Francia che si vedrebbero profondamente e a lungo destabilizzate. L’Europa sarebbe privata delle importazioni
di gas e di petrolio e dovrebbe simultaneamente far fronte a un massiccio afflusso di profughi. In questa prospettiva, il CFR raccomanda di considerare un’occupazione militare duratura, l’unica soluzione per poter stabilizzare il paese. Tuttavia, è poco probabile che l’amministrazione Obama – in piena campagna elettorale – possa finanziare un vasto spiegamento di truppe sul terreno, visto che l’opinione pubblica interna esige dei risparmi di spesa. Il CFR raccomanda dunque che Washington questo peso alle Nazioni Unite e all’Unione Europea.

Se si segue questa logica, Washington e gli altri non mancheranno di invocare le responsabilità post-conflitto sancite dalla Convenzione di Ginevra per imporre questo fardello alla coppia franco-britannica che ha preso la leadership mediatica della guerra.

A sua volta l’emiro Hamad bin Khalifa Al Thani ha mandato un emissario in Tunisia per tentare un’OPA. L’ex-primo ministro francese, ormai un dipendente del Qatar, Maître Dominique de Villepin, era incaricato di ottenere il tradimento dei Gheddafi. Non ha avuto il successo che si era aspettato. Diversamente da una concezione diffusa a Doha e a Parigi, certe persone non si fanno comprare.

Comunque sia, il seguito degli avvenimenti probabilmente ci farà assistere a una mossa sporca: l’emiro del Qatar sta facendo costruire a Doha degli scenari di cartapesta che rappresentano Bab el-Azizia, il posto dove si trovava il vecchio palazzo di Mouammar Gheddafi, e la Piazza Verde, il luogo simbolo di Tripoli dove la “Guida” pronuncia i suoi discorsi. E non c’è da dubitare che le prossime immagini esclusive di Al-Jazeera non mancheranno di creare una
realtà virtuale che farà, a modo suo, parte della Storia.

*****************************************

Fonte: http://www.voltairenet.org/Washington-planifie-une-occupation

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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