VITA E MORTE DEI DRONI AMERICANI

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DI NICK TURSE
Asia Times

Il drone era rimasto in volo per circa cinque ore prima che il controllo della missione notasse che qualcosa stava andando storto. La temperatura dell’olio nel turbocompressore dell’aeroplano era arrivato al livello “di attenzione“. Un’ora dopo, era ancora peggio e continuava a salire minuto dopo minuto. Mentre il personale controllava disperato la lista di controllo del “”surriscaldamento del motore”, tentando di trovare il problema, anche la temperatura dell’olio del motore stava iniziando a salire rapidamente.

Un documento che riporta un’indagine della caduta di quel Predator da parte delle Forze Aeree degli USA, esaminato da TomDispatch, getta luce sul ciclo vita e sui difetti dei
droni, su tutto quello che può andare storto nelle operazioni aeree senza equipaggio, e sulla fosca rete di basi e unità disseminate in tutto il pianeta che mantiene costantemente in volo questi apparecchi, mentre gli Stati Uniti diventano sempre più dipendenti dalla guerra telecomandata a distanza.
A quel punto, avevano davanti a sé una situazione di assoluta emergenza in volo. “Ancora abbiamo il controllo del motore, ma la sua rottura è imminente“, annunciò il pilota per la radio. Quasi due ore dopo i primi segnali di pericolo, il motore andò in avaria. Volando a 217 metri al minuto, il drone ha abbattuto un recinto prima di precipitare a terra.

Il paese dei droni perduti

In questi giorni sembra che i cieli siano pieni di droni che cadono. La caduta più reclamizzata è giunta sulle prime pagine dei giornali quando l’Iran ha annunciato che i suoi militari avevano preso possesso di un velivolo spia all’avanguardia guidato da un telecomando a distanza, un RQ-170 Sentinel.

Ancora abbondano le domande su come gli iraniani siano riusciti a catturare uno degli armamenti più sofisticati delle forze armate statunitensi. L’Iran ha affermato in un primo tempo che i suoi militari avevano abbattuto il drone dopo che questo “aveva violato” per un breve tratto lo spazio aereo orientale del paese vicino alla frontiera afghana. Più tardi, la Repubblica Islamica ha affermato che il velivolo senza equipaggio era penetrato per 241 chilometri prima di essere abbattuto da un sofisticato attacco cibernetico. Solo alcuni giorni fa un ingegnere iraniano ha presentato una spiegazione più dettagliata, ma ancora non corroborata, di come un attacco informatico è riuscito a sequestrare l’aeroplano.

Per parte loro, gli Stati Uniti hanno prima asserito che le sue forze armate avevano perso il drone mentre era in missione nell’Afghanistan occidentale. Più avanti, alcuni
funzionari anonimi hanno ammesso che la Central Intelligence Agency (CIA) stava realizzando un’operazione clandestina di spionaggio in Iran.

La caduta del drone del’inizio di questo articolo ha avuto luogo in Afghanistan – a Kandahar, per essere precisi – nel maggio di questo anno. In quel periodo la notizia non
fu riportata e non si trattò di un raffinato RQ-170 Sentinel, ma di un vecchio e tozzo, anche se più famoso, MQ-1 Predator, uno strumento instancabilmente omicida della guerra afgana e della campagna di assassini mirati della CIA nelle aree tribali confinanti del Pakistan.

Questa relazione e i nuovi e impressionanti dati ottenute dei militari aiutano a comprendere meglio i difetti sinora poco analizzati della tecnologia dei droni. Ciò mette in risalto anche che il fatto che i giornalisti si muovono con molta soggezione quando si tratta di guerra di alta tecnologia e delle ultime sbalorditive armi degli Stati Uniti, una curiosa incapacità di esaminare le forti limitazioni del rapporto uomo-macchina che possono permettere anche alla tecnologia militare più avanzata di finire a terra.

Gioco di numeri

Secondo i dati forniti a TomDispatch dalle Forze Aeree, i Predator hanno fatto la parte del leone nelle guerre dei droni condotte dagli USA. Fino al 1° ottobre, i MQ-1 avevano trascorso più di un milione di ore in volo, di cui 965.000 in “combattimento” da quando sono entrati in servizio alle forze armate. Il più nuovo, il più armato, l’MQ-9 Reaper, ha volato 215.000 ore, di cui 180.000 in combattimento. (La Forza Aerea si rifiuta di rivelare le informazioni sul carico di lavoro del R-170 Sentinel.) E questi numeri continuano ad aumentare. Solo durante questo anno i Predator hanno registrato 228.000 ore di volo contro le 190.000 del 2010.

Un’analisi di dati ufficiali della Forza Aerea realizzata da TomDispatch indica che i suoi droni sono precipitati fragorosamente in non meno di tredici occasioni nel 2011, compresa la caduta del 5 di maggio a Kandahar.

Circa la metà di questi incidenti – che in tutti i casi hanno comportato la il perdita del velivolo o un danno superiore ai due milioni di dollari – è avvenuta in Afghanistan o nella piccola nazione africana di Gibuti che serve da base per i droni coinvolti nelle guerre segrete degli USA in Somalia e Yemen. Tutti questi incidenti, tranne due, hanno avuto a che fare col modello MQ-1 e quattro si sono verificati a maggio.

Nel 2010 ci sono stati sette grossi contrattempi, tutti, meno uno, relativi ai Predator; nel 2009 furono undici. In altre parole, ci sono state trentuno perdite di droni in tre anni e apparentemente nessuno è stato abbattuto. Tutti sono precipitati per problemi meccanici o per un errore umano.

Altre cadute molto pubblicizzate – come nel caso di un elicottero della Marina telecomandato a distanza caduta a giugno in Libia, di un velivolo senza equipaggio la cui telecamera si suppone sia stata recuperata dagli insorti afgani dopo esser caduto in agosto, la perdita il 4 dicembre del RQ-180 in Iran e una caduta ancora più recente di un MQ-9 nelle Seychelles – non sono incluse nelle statistiche dei maggiori incidenti dell’aviazione di quest’anno.

Iniziative di gruppo

Gli Stati Uniti stanno combattendo le sue guerre con i droni da più di sessanta basi diffuse in tutto il globo. Vanno da luoghi come il sud-ovest degli USA con schiere di autoarticolati da cui i piloti dei droni “guidano” i velivoli utilizzando un computer, ad altri molto più prossimi al campo di battaglia dove altri piloti – seduti di fronte a strumenti simili, che includono monitor multipli, tastiere, joystick, acceleratori, mouse e vari interruttori, lanciano e fanno atterrare questi velivoli. In altre basi, i candidati piloti vengono addestrati sui simulatori e gli stessi aeroplani vengono
testati prima di essere inviati sui remoti campi di battaglia.

L’incidente del Predator del 5 di maggio a quasi mezzo miglio di distanza da una pista di atterraggio dell’Aeroporto di Kandahar ci ricorda fino a che punto le operazioni dei droni siano diventate complesse, con varie unità e basi che svolgono ruoli differenti all’interno di una stessa missione.

Questo drone Predator, ad esempio, dipendeva dal Terzo Squadrone delle Operazioni Speciali, che opera dalla Base Cannon della Forza Aerea in New Messico e che ultimamente fa parte del Comando di Operazioni Speciali della Forza Aerea di Hurlburt Field,
Florida. Al momento dello schianto era guidato da un pilota sul posto del 62nd Expeditionary Squadron nell’Aeroporto Kandahar la cui unità sovrintendente, il 18 Squadrone di Riconoscimento, ha la sua sede nella Base Creech della Forza Aerea in Nevada, epicento delle operazioni dei droni militari. L’operatore che maneggiava i sensori era membro della Guardia Nazionale Aerea del Texas con base a Ellington Field.

La fase finale di questa missione destinata al fallimento – in supporto alle forze di élite per le operazioni speciali – doveva essere realizzata da un pilota che stava operando sui Predator da dieci mesi e che aveva pilotato droni per 51 ore nei 90 giorni anteriori. Con meno di 400 ore di esperienza in totale, era considerato “inesperto” secondo gli standard della Forza Aerea e, durante il suo addestramento nel decollo e nel recupero dei droni, aveva fallito in due sessioni di simulazione e in un esercizio di volo. Tuttavia, era eccellente nella parte teorica, aveva passato gli esami ed era considerato un pilota qualificato di MQ-1 e abilitato per voli senza supervisione.

Il suo operatore ai sensori era stato abilitato dalla Forza Aerea da quasi due anni, con valutazioni di rendimento nella media o sopra la media. Dopo avere “volato” un totale di 677 ore – quasi 50 nei 90 giorni precedenti all’’incidente – era considerato “esperto”.

Il fatto che il duo stesse controllando un drone per le operazioni speciali sottolinea la relazione sempre più simbiotica tra le due forme di guerra in questo momento più in auge condotte dagli USA: le incursioni di piccole squadre delle truppe scelte e attacchi di robot telecomandati a distanza.

Vita e morte dei droni statunitensi

Durante l’indagine successiva all’incidente, fu stabilito che il personale di terra in Afghanistan stava utilizzando con regolarità un metodo non autorizzato per il drenaggio del liquido di refrigerazione del motore, anche se non è chiaro se ciò abbia contribuito
all’incidente. I documenti dell’indagine indicano inoltre che il motore del drone aveva 851 ore di volo e che pertanto si stava avvicinando alla sua fine. (La vita operativa del motore di un drone Predator si
suppone che sia di circa 1.080 ore.)

Dopo l’incidente il motore fu inviato all’impianto di testaggio della California, dove i tecnici di General Atomics, il fabbricante del Predator, hanno realizzato una perizia.
Si è così scoperto che un surriscaldamento significativo aveva curvato e deformato il macchinario.

Alla fine la Forza Aerea ha dichiarato che un cattivo funzionamento del sistema di raffreddamento aveva portato alla rottura del motore. Un’indagine dell’incidente ha poi stabilito che il pilota non aveva seguito le procedure corrette dopo i problemi al motore, facendo sì che il velivolo si schiantasse poco prima della pista di atterraggio, danneggiando leggermente il perimetro della Base aerea di Kandahar e distruggendo il drone.

La conclusione chiara alla quale sono giunti gli investigatori in questo incidente contrasta pesantemente con la mancanza di chiarezza su quello che è avvenuto col drone più sviluppato che ora è nelle mani degli iraniani.

Che questo ultimo si sia schiantato a causa di cattivo funzionamento, che sia stato abbattuto, che sia stato fatto atterrare con un cyber-attacco o che sia finito a terra per un motivo completamente differente, la sua perdita e quella del drone per le operazioni speciali ci ricordano fino a che punto i militari degli Stati Uniti siano arrivati a dipendere dai robot volanti ad alta tecnologia, i cui incidenti in questo momento superano quelli degli aeroplani
ad ala fissa molto più costosi. (Nel 2011 ci sono stati dieci grandi incidenti aerei con simili aeroplani della Forza Aerea.)

Guerra di robot nel 2012 e nel futuro

Il non essere riusciti a ottenere una vittoria in Iraq e Afghanistan – unito al successo apparente nella guerra libica, combattuta in modo significativo dalle forze aeree droni inclusi – ha convinto molti nelle forze armate a non abbandonare le guerre all’estero, ma di cambiare approccio. Le occupazioni a lungo termine con la partecipazione di migliaia di soldati e l’uso di tattiche di
controinsurrezione verranno trasformate in operazioni condotte dai droni e dalle forze speciali.

Gli aeroplani pilotati con telecomando a distanza vengono regolarmente pubblicizzati, dalla stampa e dai i militari come armi miracolose, così come non troppo tempo fa le tattiche di controinsurrezione venivano considerate una panacea contro i fallimenti
militari. Come già l’aeroplano, il carro armato e le armi nucleari, il drone è ora considerato un elemento decisivo, destinato a cambiare l’essenza stessa la guerra.

Invece, come gli altri, ha dimostrato sempre più di non essere un’arma determinante, con le solite vulnerabilità. La sua tecnologia è fallibile e spesso, negli ultimi anni, le sue iniziative sono state controproducenti. Ad esempio, l’incapacità dei piloti che fissano gli schermi dei computer dall’altro lato del pianeta di discriminare i combattenti armati dai civili innocenti è
diventata un problema persistente nelle operazioni che vedono la presenza dei droni militari, mentre il programma omicida dove la CIA fa da giudice, giuria e boia entra in conflitto col diritto internazionale e, nel caso del Pakistan, aliena le simpatie di tutta la popolazione. Il drone ogni volta somiglia sempre meno a un’arma vincente, quanto piuttosto a una macchina generatrice di opposizione e nemici.

Inoltre, mentre le ore di volo aumentano ogni anno, le vulnerabilità delle missioni telecomandate a distanza vengono regolarmente alla luce. Queste comprendono l’hackeraggio dei feed video dei droni da parte degli insorti iracheni, un dannoso virus informatico che ha colpito la flotta senza equipaggio della Forza Aerea, percentuali elevate di piloti di droni che soffrono di “alto stress operativo“, un aumento della quantità di incidenti e la possibilità di un dirottamento di un drone da parte degli iraniani.

Anche se gli errori umani e quelli meccanici sono inerenti nelle operazioni con qualsiasi tipo di strumentazione, pochi analisti hanno posto la necessaria attenzione sul quadro completo dei difetti e delle limitazioni dei droni. Durante più di un decennio i velivoli telecomandati a distanza sono stati il sostegno principale delle operazioni militari degli Stati Uniti e il ritmo di attività dei droni continua ad aumentare tutti gli anni, ma relativamente poco è stato scritto sui suoi difetti o sui limiti e pericoli delle sue operazioni.

È possibile che la Forza Aerea stia cominciando a preoccuparsi su come riuscire a cambiare direzione. Dopo anni in cui hanno fatto accedere regolarmente i giornalisti alle operazioni dei droni nella Base Creech della Forza Aerea e in cui hanno ricevuto un flusso continuo di pubblicità benevola, talvolta impressionante, sulle glorie e sui piloti dei droni, quest’ anno, senza spiegazione alcuna, si è chiuso l’accesso della stampa al programma e si è posta in ombra la guerra robotica.

Le recenti perdite del robot Sentinel del Pentagono in Iran, del Reaper nelle Seychelles e del Predator in Kandahar, tuttavia, aprono uno scenario in cui vedere i cieli del globo strapieni di droni potrebbe essere molto meno meraviglioso di quello che si è fatto credere gli statunitensi. È possibile che gli USA si stiano poggiando su una flotta di robot con le ali di fango

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Fonte: The life and death of American drones

22.12.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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