DI FERNANDO DORADO
Selvas.org
Il cambio sociale è impossibile per un solo Paese
La svalutazione del bolivar contro il dollaro ha portato a un interessante dibattito in Venezuela. Questa discussione dovrebbe servire per: approfondire la conoscenza della realtà economica del paese; avere una chiara prospettiva sulla direzione di tale processo di cambiamento; individuare i limiti strutturali e quelli della politica col fine di proporre iniziative volte a far progredire e consolidare tale movimento.
Nel mezzo di questo esercizio appaiono anche diverse tendenze ideologiche e politiche che sono presenti in America Latina e – dal loro punto di vista particolare – vogliono contribuire al successo della rivoluzione bolivariana e al progresso dei popoli.
In questo articolo si possono solo ripercorrere le idee principali. Speriamo di incoraggiare l’analisi e lo studio per aiutare a centrare la questione.In Venezuela esiste una quasi assoluta dipendenza dai ricavati petroliferi. Il paese ha bisogno di diversificare e potenziare il sistema produttivo. Vi è una dipendenza storica dalle risorse energetiche fossili, sia nello Stato che nella società. E’ stata anche rilevata una mentalità consumistica generalizzata diffusa nelle classi medie e superiori legata al tenore di vita e all’arrivismo.
Cuba dipendeva interamente dall’unica esportazione, quella dello zucchero, e del conseguente latifondismo mono-produttivo. Si tratta di un retaggio lasciato dal modello imperialista; nel caso del Venezuela dalle multinazionali petrolifere, che si traduce in una debole struttura dell’economia e una maggiore vulnerabilità della società venezuelana. Bisogna tenere conto e partire da tutto ciò.
Alla domanda… perché in 11 anni di rivoluzione non si è risolto questo problema? La risposta è logica. Non si può risolvere nulla di così profondamente solido in così breve tempo. Quanti anni furono necessari a Cuba – che ebbe a suo favore il potere politico e il totale controllo dell’economia –per poter esportare insegnanti, medici, medicinali e biotecnologie? Quanti anni furono necessari alla socialdemocrazia europea per costruire lo Stato di benessere sociale che il neoliberismo ha finito per distruggere?
Chavez ha avuto soltanto dal 2004 un margine reale di vero potere economico. Nel periodo precedente gli sforzi sono stati diretti alla riorganizzazione dell’OPEP, le riforme giuridiche, la strutturazione delle forze del cambiamento, le lotte politiche, la sconfitta della destra radicata nel macchinario statale e di governo, che si opponeva ai cambiamenti. Il contro-colpo di stato nel 2002 e nel 2003 iniziarono a liberare la strada.
Ci sono errori che possono essere stati commessi, frutto della inesperienza e del tempo necessario a prendere il controllo della macchina dello Stato, che non coincide con i tempi elettorali. Urge la sistematizzazione e la socializzazione di questo percorso di apprendistato per mantenere ed alimentare con maggiore forza e conoscenza le manovre politiche necessarie per muoversi con maggiore solidità.
L’attuale dirigenza venezuelana ha individuato il problema. E’chiaro. Hanno cercato di “seminare il petrolio” ma, data la complessità del problema, sembra che nessuno abbia la formula esatta. Quindi, quando si parla di socialismo, la leadership del movimento nazionalista sa che per sviluppare la produzione interna, diversificata e in continuo sviluppo, dovrebbe incoraggiare i vari settori sociali per costruire gruppi produttivi.
Questi possono essere privati, solidali, cooperative, autogestiti, misti a seconda delle diverse dinamiche regionali e sociali. Devono rientrare nel contesto di un modello di produzione regolamentato e controllato dallo Stato, assolutamente anti-neoliberista. Non è qualcosa che possa essere costruito o “trasfuso” solo dallo Stato. La creatività e le dinamiche sociali devono essere il suo motore.
E’ chiaro che la parziale sovranità politica raggiunta in questa fase, deve essere sostenuta dalla volontà democratica del popolo venezuelano, che si esprime principalmente andando alle elezioni. Un totale potere popolare deve essere in grado di avere una propria produttività, che è parte fondamentale della nuova egemonia sociale. Si tratta di un processo e di un obiettivo strategico.
Per ora, dobbiamo convivere con il “nemico” (multinazionali, trust “nazionali” della borghesia acquisitrice), in costante tensione-negoziazione di controllo. Dobbiamo neutralizzare e/o fare nostri gli imprenditori medi incoraggiandoli a fare “ Patria Grande” insieme a noi.
È essenziale stimolare l’organizzazione produttiva – a tutti i livelli e in tutte le forme – degli operai, dei contadini, delle piccole e medie imprese e dei micro-imprenditori, aiutandoli a carico dello Stato, per rafforzare ciò che già esiste, sviluppare le imprese di diverso carattere, prendere coscienza totale, associandosi e integrandosi completamente nelle catene di produzione che sono i nuovi scenari di democrazia partecipativa sul terreno.
Cioè, essa richiede una fase di sviluppo produttivo, dove abbia luogo l’inserimento dei vari tipi di incentivi e sostegno, volti a generare la capacità di elaborare e produrre molti prodotti che sostituiscano quelli attualmente importati. Questa produzione deve essere competitiva sociale, economica ed ecologica per poter garantire una sana, trasparente ed efficiente gestione.
E’ assodato che lo Stato – anche volendo – non può generare questa economia con un decreto legge o per mezzo del volontariato. Nemmeno nazionalizzando tutte le attività che creano produzione – nemmeno per un lungo periodo di tempo- sarebbero in grado di poter fare a meno dalla potente dipendenza dal mercato estero.
Il governo venezuelano sta cercando di sviluppare questo processo nel contesto di una integrazione latino-americana. Tuttavia, dati i problemi, i ritardi, le urgenze, gli squilibri e le esigenze degli altri paesi, lo sforzo non è facile ne continuativo. Si deve, però, mantenere questa linea. I movimenti sociali possono contribuire a fare reali questi sforzi.
E’ ‘importante notare che questo processo viene colpito e ostacolato dalle contingenze del movimento; la lotta di classe sociale e settaria, le pressioni dei grandi capitali imperialisti; il groviglio di interessi nel contesto della ”duplicità di poteri”. Si ha a che fare con le forze di opposizione che giocano al logorio. Ci sia dato ricordare che in Venezuela si accorre alle urne ogni due anni, si pensi allora che i risultati ottenuti sono una vera prodezza. Ciò che manca non deve essere sottovalutato né disprezzato.
Se fossimo riusciti a convincere il governo per mezzo di una insurrezione popolare, il margine di gioco sarebbe molto più ampio. Ma la realtà è diversa. Siamo costretti a elaborare strategie per mantenere la fiducia dei cittadini in modo permanente per garantire un sostegno elettorale.
Sono stati organizzati e attuati programmi di assistenza e di investimento sociale che hanno costi elevati, con l’intenzione di godere del maggior appoggio popolare possibile. Alcuni di questi programmi non sempre hanno prodotto i frutti previsti o quantomeno nel tempo desiderato. Sia per errori di applicazione (paternalismo burocratico eredità delle pratiche politiche del vecchio clientelismo politico) o altre circostanze impreviste.
Queste esperienze devono essere presentate apertamente, senza paura né pregiudizi. Devono essere corrette a testa alta e collettivamente in modo che tutti possiamo imparare. Sicuramente vi è un grande cumulo di errori e lacune in questo terreno che richiedono grandi mutamenti e cambi di direzione.
Alcune di queste correzioni dovrebbero essere già state applicate, a garanzia che le risorse che lo Stato e il governo otterrà con questa svalutazione, saranno rinvestite con maggiore efficienza, maggior controllo cittadino popolare e in assoluta trasparenza. Occorre urgenza nell’affrontare la burocrazia e la corruzione.
Solo allora potremo andare avanti, creare nuove istituzioni sociali e popolari che creino fiducia e rafforzino i cambiamenti in atto. Chiedere appoggio al popolo è essenziale per conquistare nuovi traguardi.
Il saldo positivo del Venezuela comprende la redistribuzione del reddito nazionale e l’inizio di uno Stato che ha “seminato petrolio” sotto forma di istruzione, nella sanità, nelle pensioni e in investimenti sociali di vario genere.
Ciò è stato possibile svincolandosi dagli Stati Uniti. In precedenza tutte le esportazioni finivano là e tutte le importazioni provenivano dagli Stati Uniti. La sovranità e l’autonomia in costruzione hanno messo il Venezuela nel quadro d’integrazione regionale, che ha fortemente incoraggiato la regione non solo con la politica, ma anche con iniziative specifiche (Banca del Sud, Petrocaribe, Telesud, Unasud, ecc..).
Inizia ora la fase di vera sovranità ipotizzando la realizzazione di una diversificazione economica. Così facendo saremo in grado di superare quest’altra dipendenza basilare.
Titolo originale: “Venezuela:DE LA SOBERANÍA POLITICA HACIA LA AUTONOMÍA ECONÓMICA”
Fonte: http://selvasorg.blogspot.com
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12.01.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MARISA CRUZCA