DI NIQUE LA POLICE
Senza Soste
“La resistenza è sempre possibile.
Ma dobbiamo impegnarci nella resistenza sviluppando prima di tutto l’idea
di una cultura tecnologica. Nonostante tutto, ai nostri giorni, quest’idea
è enormemente sottosviluppata. Per esempio abbiamo sviluppato una cultura
artistica e letteraria. Ma gli ideali di una cultura tecnologica rimangono
sottosviluppati e, per questo motivo, al
di fuori della cultura popolare e degli ideali pratici di democrazia.
Ecco perché la società come insieme non ha controllo sugli sviluppi
tecnologici. E questo rappresenta una delle più gravi minacce alla
democrazia nel prossimo futuro”. Paul Virilio (Intervistato da John
Armitage in “The Kosovo War Took Place in Orbital Space” in C Theory,
18, 2000)
1.
Parlare delle Valsusa citando un passaggio
di questa intervista a Virilio di John Armitage, che ha fa parte di
una lunga serie di colloqui tra i due autori praticamente sconosciuta
in Italia, può sembrare un giochetto estetico quanto il curioso titolo
preso da questo colloquio del 2000. Che rifletteva l’idea che uno
dei più sanguinosi conflitti etnici in Europa dalla fine della guerra
fredda, quello del Kosovo, trovasse un piano strategico di espressione
nello spazio orbitale della comunicazione via satellite delle televisioni
generaliste e non solo. Alla fine, nonostante il ‘900 avesse già
dato ampiamente notizia del fenomeno, in anni più recenti, dall’inizio
del secolo, ci si è giocoforza attestati sulla convinzione che i
conflitti si vincono, e si perdono, su due piani solidamente intrecciati:
il terreno fisico di conflitto e lo spazio digitale comunicativo.
Non solo, quest’ultimo spazio è decisivo, dal punto di vista politico,
per ampliare o ridurre la portata delle vittorie come delle sconfitte.
Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Grecia, le stesse rivolte inglesi sono
lezioni che ruotano attorno a questo insegnamento. Se infatti vogliamo
applicare queste lezioni non alla guerra ma ai conflitti sociali la
vicenda della disconnessione del risultato dei referendum del 2011 dallo
spazio mediale ufficiale è paradigmatica. L’esito di una battaglia,
per quanto sia senza morti e feriti, se disconnesso velocemente dallo
spazio mediale ufficiale può prendere direzioni di significato persino
opposte rispetto al suo risultato originario. L’effetto giuridico
e politico, che questo risultato originario aveva prodotto sul campo,
finirà quindi prima per ridursi poi per dissolversi.
E qui Paul Virilio, che ha dedicato una vita al tema del rapporto tra
accelerazione dei conflitti e sviluppo tecnologico, non a caso non parla
tanto di dimensione mediale ma di necessità, per salvaguardare la democrazia,
di saldatura tra cultura tecnologica e cultura popolare. Perché ai
movimenti, per governare l’intreccio indissolubile tra terreno fisico
e spazio digitale di comunicazione che genera l’esito dei conflitti,
non basta l’alfabetizzazione di massa ma necessitano altri passaggi.
Necessari quanto l’alfabetizzazione lo era per le prime organizzazioni
operaie dell’ottocento e del primo novecento che infatti si auto-organizzarono
per spingersi ad un livello di acculturazione che la scuola liberale
non rendeva possibile. Oggi i movimenti che non fondono consapevolmente,
e con il senso della strategia politica, cultura tecnologica e cultura
popolare non vanno lontano. Intendiamoci: nessuno dice a nessun
altro di fare quello che fa già (twitter, clouds, youtube, blog, list
etc.) ma è auspicabile, oltre che a creare un perimetro di comunicazione
e sapere nel proprio campo di connessione, saper neutralizzare le armi
pesanti usate nel campo avversario.
2.
A questo punto della vicenda TAV, prima
di tutto è necessario rendersi conto che c’è in atto una
consapevole guerra di propaganda che si è sovrapposta al conflitto
sul territorio della Valsusa. È condotta dal mainstream
e può determinare il corso di questo conflitto e persino rovesciare
le sconfitte sul campo in vittorie di fatto.
Su quanto sta avvenendo sul territorio davvero poco da eccepire. Il
movimento della Val di Susa ha saputo evitare il feticcio della violenza
come quello della non violenza saldando territorio a solidarietà antagonista.
Immaginario valligiano e immaginario metropolitano. La stessa produzione
scientifica spontanea, quella che sposta il giudizio collettivo su un’opera
complessa, ha letteralmente azzerato quella a favore sulla tav. A parte
chi è direttamente pagato per sostenere la TAV (giornalisti, consulenti,
ceto politico) è praticamente impossibile trovare in rete un sostegno
spontaneo, certificato dal basso alle ragioni di questa grande opera.
E’ stato operato così un preziosissimo, quanto strategico, lavoro
di confutazione scientifica delle ragioni ufficiali di un progetto che
dimostra quanto l’intelligenza collettiva, che si produce in rete
e nei nodi fisici di connessione sociale, operi in modo decisivo, quanto
troppo spesso sottovalutato, per la dinamicità e l’efficacia dei
movimenti.
Anche la controinformazione ha lavorato bene, connettendo sia socialmente
che sul piano della produzione di argomentazioni etiche spendibili su
tutti i piani del conflitto.
Il punto nodale sta nel modo con il quale si riproduce lo spazio digitale
comunicativo delle istituzioni e del mainstream. Quello, situazione
sul terreno a parte, è l’elemento di forza sul quale la democrazia
coloniale delle grandi opere e del project financing punta per
arrivare ad imporre un inutile mostro tecnologico ad una intera popolazione
che non ne vuole giustamente sapere. E, di conseguenza, per ribadire
il primato della democrazia del cemento e delle operazioni ad alta complessità
finanziaria per un paese che ha bisogno di un modello di sviluppo radicalmente
opposto. Se sul terreno il consenso non c’è le istituzioni evocano
il consenso generale, anzi de “la Nazione” come scrive la ministro
Cancellieri, per costruire il campo di forza comunicativo per operare
poi militarmente.
E qui, quali sono i punti di debolezza di questo spazio comunicativo
digitale delle istituzioni?
Per capirlo non ci si deve lasciar prendere dalle emozioni. Copertine
come quelle del Giornale o dichiarazioni come quelle della Finocchiaro
del PD, con la calorosa lode ai carabinieri, lasciano il tempo che trovano.
Perché convincono la fascia di opinione pubblica minoritaria che è
già convinta. Quella per cui chi protesta è un disperato oppure che,
se si muovono i carabinieri, l’Arma ha sempre ragione.
Per portare fino in fondo l’operazione TAV lo spazio comunicativo
digitale delle istituzioni ha quindi bisogno connettere una porzione
di società più ampia. Già, ma come funziona lo spazio comunicativo
digitale delle istituzioni?
Le istituzioni, ancor più delle imprese, sono infatti dispositivi che
funzionano in modo autoreferenziale. Nelle società neoliberali si sono
sganciate da interessi collettivi che non siano quelli dell’impresa.
In poche parole, le istituzioni funzionano perché hanno blindato gli
interessi che emergono dal basso, che non sarebbero in grado di soddisfare,
e hanno imparato a specializzarsi in questo modo di funzionamento completamente
autoreferenziale lungo tutto il ventennio neoliberista. Si sono sganciate
dal governo dei territori tanto che partiti, sindacati, associazionismo
paraistituzionale si sono praticamente dissolti o comunque ridisposti
in modo da rendere inutile l‘espressione “governo diretto del territorio“.
Siccome governano su una società hanno però bisogno di un dispositivo
che dia loro comunque l’impressione di governarla. Che sia indice
di un governo effettivo, o comunque efficace, della connessione sociale.
Il mainstream generalista (tv, stampa, siti di entrambi gli old media),
in forte ristrutturazione tecnologica, è questo dispositivo. Se le
istituzioni hanno l’impressione che questo dispositivo funziona, crea
consenso, vanno avanti su qualsiasi tema come carri armati. Perché
è il dispositivo sovrano di governo degli ultimi trent’anni: crea
consenso a favore delle istituzioni oppure getta nella spirale del silenzio
chi è contrario spezzando la sua capacità relazionale, rendendolo
minoritario. Si tratta di un piano di rappresentazione mediale che mostra
tutta la sua concreta efficacia politica.
3.
Come dicevamo, per capire il punto
sensibile dello spazio comunicativo digitale delle istituzioni sulla
Val di Susa è inutile soffermarsi sul Giornale o sulla Finocchiaro,
uniti in un livello di disperazione esistenziale perfettamente bipartisan.
Il punto, nello spazio comunicativo digitale delle istituzioni, su
cui il conflitto si vince o si perde è quello dell’opinione pubblica
di centrosinistra. Perché è il terreno più mobile, dove il settore
di opinione pubblica decisivo, per completare la rappresentazione della
legittimazione istituzionale, può ritirare il consenso all’operazione
oppure far emergere la propria protesta. E se quel terreno non tiene
(non dimentichiamo che per i partiti l’opinione pubblica si misura
in voti e per i media in audience e fatturato pubblicitario, tutta roba
concreta) le istituzioni non sono in grado di attivare quel dispositivo
autoreferenziale, che genera l’impressione del consenso, che permette
loro di funzionare come carri armati. Invece che rappresentare i no
TAV come spaccati le istituzioni finirebbero per rappresentare, e in
modo spettacolare, le proprie spaccature. Cessando di funzionare come
dispositivo istituzionale, paralizzandosi nella capacità di azione.
Per dare a sé stessi l’impressione di controllo dell’opinione pubblica
di centrosinistra le istituzioni devono operare quindi su due distinte,
e correlate, operazioni di propaganda. La prima è dimostrare la correttezza
di procedure dell’operazione TAV, oltre alla necessità economica,
la seconda è di far emergere dagli anti-TAV quante più figure spaventose
possibili.
Nella suo romanticismo culturale il movimento pacifista del passato
il problema l’aveva intuito. Ma risolvendolo dalla parte sbagliata.
Ovvero facendosi quanto meno spaventoso possibile e quanto più compatibile
con i desideri dei media. Ma quando questo accade è il momento in cui
non solo sei governabile ma anche quello in cui la tua visibilità è
decisa dalle redazioni. Non puoi essere altro, perché temi i media,
e così quando sei rappresentabile secondo i loro canoni sono i media
che decidono quando e se vai in onda. Un processo di metabolizzazione
visto con i pacifisti degli anni ’80 e ’90, con i no global,
con i “rappresentanti” dell’Onda che vanno da Napolitano, e in
miriadi di altri esempi.
Con l’attuale scontro sul terreno, ma anche grazie alla delegittimazione
scientifica dal basso della TAV, è quindi chiaro che il mainstream
ha una sola carta in mano. Quella di produrre quante figure, e storie,
più spaventose e disperate possibili dal movimento No TAV.
Una guerra di propaganda è una guerra di narrazioni, non dimentichiamolo. Per
cui, qualsiasi cosa accada, scatta la costruzione della mitologia negativa
fatta per delegittimare l‘avversario e renderlo isolato e quindi silenzioso.
Per cui qualsiasi evento accada, anche di segno opposto, secondo il
mainstream non può che fare il gioco dei “duri”, delle “frange
estreme” di un movimento rappresentato sempre in procinto di “spaccarsi”.
Si vuol creare un effetto scenografico tale, in questa guerra di propaganda,
per cui l’opinione pubblica di centrosinistra si ritrae inorridita
perché non vede una valle compatta, desiderosa di vivere, contro un
mostro tecnologico ma un volteggiare di “falchi”, di “duri”,
di “frange estreme”. Siccome questa è l’unica vera carta in mano
che il mainstream possiede, reiterare questa rappresentazione per dare
l’impressione a sé stesso che sta funzionando, la si gioca qualsiasi
cosa succeda.
La drammatica vicenda di Abbà è paradigmatica di questa paranoia,
risultato dell’autoreferenzialità insistita, nel rappresentare la
questione Val di Susa facendo uscire, come da un film dell’orrore
per adolescenti frequentatori di multisale, sempre personaggi e comportamenti
rappresentati in modo ansiogeno come “falchi”, “frange estreme”
e “duri”.
Abbà non solo non ha aggredito nessuno, al contrario, ma è vittima
del comportamento delle forze dell’ordine. Eppure, per coprire il
rilievo della vicenda, nel mainstream si è scatenata un’ondata di
opinioni e commenti sul “questa vicenda può favorire i duri”, “le
frange estreme ne trarranno giovamento” arrivando ad rovesciamento
della realtà, quasi come Abbà avesse aggredito qualcuno, in un dispiegamento
di media corale e degno di altro genere di regimi. E si era all’indomani
di una grande manifestazione pacifica di una intera valle. E’ evidente
che le istituzioni più tengono questo piano di rappresentazione più
sentono, o credono, di governare la situazione. Perché rappresentano
quell’astrazione chiamata opinione pubblica di centrosinistra come
sotto controllo, inorridita dai “falchi” come un adolescente al
cinema che si inquieta di fronte agli effetti speciali di un horror
per bassa fascia d‘ètà. E se tiene questa rappresentazione, a parte
la situazione sul campo, la TAV passa. Non a caso infatti la ministro
degli interni, dopo la vicenda Abbà, prova a costruire la rappresentazione
della superiorità morale delle istituzioni offrendo il simulacro di
un dialogo. Rappresentando il volteggiare dei falchi nel campo avverso
assieme all’offerta di dialogo cerca di completare la costruzione,
dopo quella della mitologia negativa, della superiorità morale delle
istituzioni. Ed è questa tutta la dimensione da decostruire, come è
stato fatto dal basso per la legittimazione scientifica del progetto
TAV.
4.
Ma che qualcosa non funzioni affatto
in questo campo di forza dello spazio comunicativo digitale istituzionale
ce lo mostrano le stesse parole di Ezio Mauro, direttore di Repubblica.
Ezio Mauro chiede che i partiti entrino in campo nel processo di rilegittimazione
della TAV E’ evidente che, con i sensori che ha (studio dell’audience)
ha capito che questa strategia della costruzione di una mitologia negativa
sulla TAV ha grossi difetti. E chiede a supporto la messa in campo di
eserciti, i partiti, che non esistono più.
Questo fatto è un grosso elemento di debolezza sul punto più sensibile,
dare a sé stessi l’impressione di governare l’opinione pubblica
di centrosinistra sulla TAV, per tenere unito il campo di forza comunicativo
che legittima quest’operazione di democrazia del cemento e del project
financing.
Come dicevamo, sia sul terreno che nella delegittimazione scientifica
dal basso della TAV il movimento ha lavorato bene. Per chiudere la partita
a favore non solo di una valle ma delle stesse democrazia e libertà
in questo paese, nonché di un vero e sano modello di sviluppo, si tratta
di quindi unire il terreno fisico di conflitto a quello dello spazio
digitale della comunicazione. Allora puoi combattere ad armi pari e
persino vincere. Come si capisce non è solo problema di controinformazione
in rete, che è un processo maturo da anni. Ma proprio di saper agire,
su tutti i piani di realtà nessuno escluso, in modo da rendere non
rappresentabile il tipo di spettacolo che, secondo le istituzioni e
il mainstream, rende legittima e praticabile l’operazione TAV.
Perché quando Ezio Mauro confezionerà un giornale che saprà che perderà
lettori e credibilità (nonché vendite e pubblicità) grazie alla posizione
pro Tav la democrazia coloniale neoliberista avrà perso. Quando il
tg3 piemontese e nazionale si sentiranno in difficoltà, e vedranno
l’audience calare (e la pubblicità), perché sulla TAV fanno solo
ridere le istituzioni neoliberiste, del cemento e delle operazioni finanziarie
avranno perso.
Quando la Stampa sentirà che avrà perso terreno, lettori e credibilità,
Passera se ne accorgerà. Perché c’è un piano, molto discreto, in
cui le redazioni dei grandi media e il ceto politico istituzionale si
parlano. E’ lì che avviene la misurazione, discreta e poco filtrata
all’esterno, del successo o meno di campagne di costruzione del consenso.
Fondamentali per il funzionamento autoreferenziale delle istituzioni.
Se la dimensione del terreno fisico saprà quindi saldarsi in questo
modo con lo spazio della comunicazione digitale, allora la vicenda TAV
si concluderà positivamente. Fissando uno spartiacque storico non solo
per la vita di una valle ma anche per la democrazia reale di questo
paese e per la costruzione di un modello di sviluppo che rompa con cemento,
grandi opere e primato delle corporation. E anche per saldatura tra
cultura tecnologica e cultura popolare, essenziale per il funzionamento
delle democrazie reali del XXI quanto l’alfabetizzazione è stata
necessaria, a partire dall’Ottocento, per l’imporsi del movimento
operaio e dei diritti fondamentali di libertà e cittadinanza.
Link: Sky
smentisce il Tg3. “Nessuna aggressione fisica ai giornalisti”
29.02.2012