VALSUSA: DOVE E PERCH ROMPERE LA COSTRUZIONE DELLA MITOLOGIA NEGATIVA DEI “DURI” E DELLE “FRANGE ESTREME”

DONA A COMEDONCHISCIOTTE.ORG PER SOSTENERE UN'INFORMAZIONE LIBERA E INDIPENDENTE:
PAYPAL: Clicca qui

STRIPE: Clicca qui

In alternativa, è possibile effettuare un bonifico bancario (SEPA) utilizzando il nostro conto
Titolare del conto: Come Don Chisciotte
IBAN: BE41 9674 3446 7410
BIC: TRWIBEB1XXX
Causale: Raccolta fondi

DI NIQUE LA POLICE
Senza Soste

“La resistenza è sempre possibile.

Ma dobbiamo impegnarci nella resistenza sviluppando prima di tutto l’idea

di una cultura tecnologica. Nonostante tutto, ai nostri giorni, quest’idea

è enormemente sottosviluppata. Per esempio abbiamo sviluppato una cultura

artistica e letteraria. Ma gli ideali di una cultura tecnologica rimangono

sottosviluppati e, per questo motivo, al

di fuori della cultura popolare e degli ideali pratici di democrazia.

Ecco perché la società come insieme non ha controllo sugli sviluppi

tecnologici. E questo rappresenta una delle più gravi minacce alla

democrazia nel prossimo futuro”. Paul Virilio (Intervistato da John

Armitage in “The Kosovo War Took Place in Orbital Space” in C Theory,

18, 2000)

1.

Parlare delle Valsusa citando un passaggio

di questa intervista a Virilio di John Armitage, che ha fa parte di

una lunga serie di colloqui tra i due autori praticamente sconosciuta

in Italia, può sembrare un giochetto estetico quanto il curioso titolo

preso da questo colloquio del 2000. Che rifletteva l’idea che uno

dei più sanguinosi conflitti etnici in Europa dalla fine della guerra

fredda, quello del Kosovo, trovasse un piano strategico di espressione

nello spazio orbitale della comunicazione via satellite delle televisioni

generaliste e non solo. Alla fine, nonostante il ‘900 avesse già

dato ampiamente notizia del fenomeno, in anni più recenti, dall’inizio

del secolo, ci si è giocoforza attestati sulla convinzione che i

conflitti si vincono, e si perdono, su due piani solidamente intrecciati:

il terreno fisico di conflitto e lo spazio digitale comunicativo.

Non solo, quest’ultimo spazio è decisivo, dal punto di vista politico,

per ampliare o ridurre la portata delle vittorie come delle sconfitte.

Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Grecia, le stesse rivolte inglesi sono

lezioni che ruotano attorno a questo insegnamento. Se infatti vogliamo

applicare queste lezioni non alla guerra ma ai conflitti sociali la

vicenda della disconnessione del risultato dei referendum del 2011 dallo

spazio mediale ufficiale è paradigmatica. L’esito di una battaglia,

per quanto sia senza morti e feriti, se disconnesso velocemente dallo

spazio mediale ufficiale può prendere direzioni di significato persino

opposte rispetto al suo risultato originario. L’effetto giuridico

e politico, che questo risultato originario aveva prodotto sul campo,

finirà quindi prima per ridursi poi per dissolversi.

E qui Paul Virilio, che ha dedicato una vita al tema del rapporto tra

accelerazione dei conflitti e sviluppo tecnologico, non a caso non parla

tanto di dimensione mediale ma di necessità, per salvaguardare la democrazia,

di saldatura tra cultura tecnologica e cultura popolare. Perché ai

movimenti, per governare l’intreccio indissolubile tra terreno fisico

e spazio digitale di comunicazione che genera l’esito dei conflitti,

non basta l’alfabetizzazione di massa ma necessitano altri passaggi.

Necessari quanto l’alfabetizzazione lo era per le prime organizzazioni

operaie dell’ottocento e del primo novecento che infatti si auto-organizzarono

per spingersi ad un livello di acculturazione che la scuola liberale

non rendeva possibile. Oggi i movimenti che non fondono consapevolmente,

e con il senso della strategia politica, cultura tecnologica e cultura

popolare non vanno lontano. Intendiamoci: nessuno dice a nessun

altro di fare quello che fa già (twitter, clouds, youtube, blog, list

etc.) ma è auspicabile, oltre che a creare un perimetro di comunicazione

e sapere nel proprio campo di connessione, saper neutralizzare le armi

pesanti usate nel campo avversario.

2.

A questo punto della vicenda TAV, prima

di tutto è necessario rendersi conto che c’è in atto una

consapevole guerra di propaganda che si è sovrapposta al conflitto

sul territorio della Valsusa. È condotta dal mainstream

e può determinare il corso di questo conflitto e persino rovesciare

le sconfitte sul campo in vittorie di fatto.

Su quanto sta avvenendo sul territorio davvero poco da eccepire. Il

movimento della Val di Susa ha saputo evitare il feticcio della violenza

come quello della non violenza saldando territorio a solidarietà antagonista.

Immaginario valligiano e immaginario metropolitano. La stessa produzione

scientifica spontanea, quella che sposta il giudizio collettivo su un’opera

complessa, ha letteralmente azzerato quella a favore sulla tav. A parte

chi è direttamente pagato per sostenere la TAV (giornalisti, consulenti,

ceto politico) è praticamente impossibile trovare in rete un sostegno

spontaneo, certificato dal basso alle ragioni di questa grande opera.

E’ stato operato così un preziosissimo, quanto strategico, lavoro

di confutazione scientifica delle ragioni ufficiali di un progetto che

dimostra quanto l’intelligenza collettiva, che si produce in rete

e nei nodi fisici di connessione sociale, operi in modo decisivo, quanto

troppo spesso sottovalutato, per la dinamicità e l’efficacia dei

movimenti.

Anche la controinformazione ha lavorato bene, connettendo sia socialmente

che sul piano della produzione di argomentazioni etiche spendibili su

tutti i piani del conflitto.

Il punto nodale sta nel modo con il quale si riproduce lo spazio digitale

comunicativo delle istituzioni e del mainstream. Quello, situazione

sul terreno a parte, è l’elemento di forza sul quale la democrazia

coloniale delle grandi opere e del project financing punta per

arrivare ad imporre un inutile mostro tecnologico ad una intera popolazione

che non ne vuole giustamente sapere. E, di conseguenza, per ribadire

il primato della democrazia del cemento e delle operazioni ad alta complessità

finanziaria per un paese che ha bisogno di un modello di sviluppo radicalmente

opposto. Se sul terreno il consenso non c’è le istituzioni evocano

il consenso generale, anzi de “la Nazione” come scrive la ministro

Cancellieri, per costruire il campo di forza comunicativo per operare

poi militarmente.

E qui, quali sono i punti di debolezza di questo spazio comunicativo

digitale delle istituzioni?

Per capirlo non ci si deve lasciar prendere dalle emozioni. Copertine

come quelle del Giornale o dichiarazioni come quelle della Finocchiaro

del PD, con la calorosa lode ai carabinieri, lasciano il tempo che trovano.

Perché convincono la fascia di opinione pubblica minoritaria che è

già convinta. Quella per cui chi protesta è un disperato oppure che,

se si muovono i carabinieri, l’Arma ha sempre ragione.

Per portare fino in fondo l’operazione TAV lo spazio comunicativo

digitale delle istituzioni ha quindi bisogno connettere una porzione

di società più ampia. Già, ma come funziona lo spazio comunicativo

digitale delle istituzioni?

Le istituzioni, ancor più delle imprese, sono infatti dispositivi che

funzionano in modo autoreferenziale. Nelle società neoliberali si sono

sganciate da interessi collettivi che non siano quelli dell’impresa.

In poche parole, le istituzioni funzionano perché hanno blindato gli

interessi che emergono dal basso, che non sarebbero in grado di soddisfare,

e hanno imparato a specializzarsi in questo modo di funzionamento completamente

autoreferenziale lungo tutto il ventennio neoliberista. Si sono sganciate

dal governo dei territori tanto che partiti, sindacati, associazionismo

paraistituzionale si sono praticamente dissolti o comunque ridisposti

in modo da rendere inutile l‘espressione “governo diretto del territorio“.

Siccome governano su una società hanno però bisogno di un dispositivo

che dia loro comunque l’impressione di governarla. Che sia indice

di un governo effettivo, o comunque efficace, della connessione sociale.

Il mainstream generalista (tv, stampa, siti di entrambi gli old media),

in forte ristrutturazione tecnologica, è questo dispositivo. Se le

istituzioni hanno l’impressione che questo dispositivo funziona, crea

consenso, vanno avanti su qualsiasi tema come carri armati. Perché

è il dispositivo sovrano di governo degli ultimi trent’anni: crea

consenso a favore delle istituzioni oppure getta nella spirale del silenzio

chi è contrario spezzando la sua capacità relazionale, rendendolo

minoritario. Si tratta di un piano di rappresentazione mediale che mostra

tutta la sua concreta efficacia politica.

3.

Come dicevamo, per capire il punto

sensibile dello spazio comunicativo digitale delle istituzioni sulla

Val di Susa è inutile soffermarsi sul Giornale o sulla Finocchiaro,

uniti in un livello di disperazione esistenziale perfettamente bipartisan.

Il punto, nello spazio comunicativo digitale delle istituzioni, su

cui il conflitto si vince o si perde è quello dell’opinione pubblica

di centrosinistra. Perché è il terreno più mobile, dove il settore

di opinione pubblica decisivo, per completare la rappresentazione della

legittimazione istituzionale, può ritirare il consenso all’operazione

oppure far emergere la propria protesta. E se quel terreno non tiene

(non dimentichiamo che per i partiti l’opinione pubblica si misura

in voti e per i media in audience e fatturato pubblicitario, tutta roba

concreta) le istituzioni non sono in grado di attivare quel dispositivo

autoreferenziale, che genera l’impressione del consenso, che permette

loro di funzionare come carri armati. Invece che rappresentare i no

TAV come spaccati le istituzioni finirebbero per rappresentare, e in

modo spettacolare, le proprie spaccature. Cessando di funzionare come

dispositivo istituzionale, paralizzandosi nella capacità di azione.

Per dare a sé stessi l’impressione di controllo dell’opinione pubblica

di centrosinistra le istituzioni devono operare quindi su due distinte,

e correlate, operazioni di propaganda. La prima è dimostrare la correttezza

di procedure dell’operazione TAV, oltre alla necessità economica,

la seconda è di far emergere dagli anti-TAV quante più figure spaventose

possibili.

Nella suo romanticismo culturale il movimento pacifista del passato

il problema l’aveva intuito. Ma risolvendolo dalla parte sbagliata.

Ovvero facendosi quanto meno spaventoso possibile e quanto più compatibile

con i desideri dei media. Ma quando questo accade è il momento in cui

non solo sei governabile ma anche quello in cui la tua visibilità è

decisa dalle redazioni. Non puoi essere altro, perché temi i media,

e così quando sei rappresentabile secondo i loro canoni sono i media

che decidono quando e se vai in onda. Un processo di metabolizzazione

visto con i pacifisti degli anni ’80 e ’90, con i no global,

con i “rappresentanti” dell’Onda che vanno da Napolitano, e in

miriadi di altri esempi.

Con l’attuale scontro sul terreno, ma anche grazie alla delegittimazione

scientifica dal basso della TAV, è quindi chiaro che il mainstream

ha una sola carta in mano. Quella di produrre quante figure, e storie,

più spaventose e disperate possibili dal movimento No TAV.

Una guerra di propaganda è una guerra di narrazioni, non dimentichiamolo. Per

cui, qualsiasi cosa accada, scatta la costruzione della mitologia negativa

fatta per delegittimare l‘avversario e renderlo isolato e quindi silenzioso.

Per cui qualsiasi evento accada, anche di segno opposto, secondo il

mainstream non può che fare il gioco dei “duri”, delle “frange

estreme” di un movimento rappresentato sempre in procinto di “spaccarsi”.

Si vuol creare un effetto scenografico tale, in questa guerra di propaganda,

per cui l’opinione pubblica di centrosinistra si ritrae inorridita

perché non vede una valle compatta, desiderosa di vivere, contro un

mostro tecnologico ma un volteggiare di “falchi”, di “duri”,

di “frange estreme”. Siccome questa è l’unica vera carta in mano

che il mainstream possiede, reiterare questa rappresentazione per dare

l’impressione a sé stesso che sta funzionando, la si gioca qualsiasi

cosa succeda.

La drammatica vicenda di Abbà è paradigmatica di questa paranoia,

risultato dell’autoreferenzialità insistita, nel rappresentare la

questione Val di Susa facendo uscire, come da un film dell’orrore

per adolescenti frequentatori di multisale, sempre personaggi e comportamenti

rappresentati in modo ansiogeno come “falchi”, “frange estreme”

e “duri”.

Abbà non solo non ha aggredito nessuno, al contrario, ma è vittima

del comportamento delle forze dell’ordine. Eppure, per coprire il

rilievo della vicenda, nel mainstream si è scatenata un’ondata di

opinioni e commenti sul “questa vicenda può favorire i duri”, “le

frange estreme ne trarranno giovamento” arrivando ad rovesciamento

della realtà, quasi come Abbà avesse aggredito qualcuno, in un dispiegamento

di media corale e degno di altro genere di regimi. E si era all’indomani

di una grande manifestazione pacifica di una intera valle. E’ evidente

che le istituzioni più tengono questo piano di rappresentazione più

sentono, o credono, di governare la situazione. Perché rappresentano

quell’astrazione chiamata opinione pubblica di centrosinistra come

sotto controllo, inorridita dai “falchi” come un adolescente al

cinema che si inquieta di fronte agli effetti speciali di un horror

per bassa fascia d‘ètà. E se tiene questa rappresentazione, a parte

la situazione sul campo, la TAV passa. Non a caso infatti la ministro

degli interni, dopo la vicenda Abbà, prova a costruire la rappresentazione

della superiorità morale delle istituzioni offrendo il simulacro di

un dialogo. Rappresentando il volteggiare dei falchi nel campo avverso

assieme all’offerta di dialogo cerca di completare la costruzione,

dopo quella della mitologia negativa, della superiorità morale delle

istituzioni. Ed è questa tutta la dimensione da decostruire, come è

stato fatto dal basso per la legittimazione scientifica del progetto

TAV.

4.

Ma che qualcosa non funzioni affatto

in questo campo di forza dello spazio comunicativo digitale istituzionale

ce lo mostrano le stesse parole di Ezio Mauro, direttore di Repubblica.

Ezio Mauro chiede che i partiti entrino in campo nel processo di rilegittimazione

della TAV E’ evidente che, con i sensori che ha (studio dell’audience)

ha capito che questa strategia della costruzione di una mitologia negativa

sulla TAV ha grossi difetti. E chiede a supporto la messa in campo di

eserciti, i partiti, che non esistono più.

Questo fatto è un grosso elemento di debolezza sul punto più sensibile,

dare a sé stessi l’impressione di governare l’opinione pubblica

di centrosinistra sulla TAV, per tenere unito il campo di forza comunicativo

che legittima quest’operazione di democrazia del cemento e del project

financing.

Come dicevamo, sia sul terreno che nella delegittimazione scientifica

dal basso della TAV il movimento ha lavorato bene. Per chiudere la partita

a favore non solo di una valle ma delle stesse democrazia e libertà

in questo paese, nonché di un vero e sano modello di sviluppo, si tratta

di quindi unire il terreno fisico di conflitto a quello dello spazio

digitale della comunicazione. Allora puoi combattere ad armi pari e

persino vincere. Come si capisce non è solo problema di controinformazione

in rete, che è un processo maturo da anni. Ma proprio di saper agire,

su tutti i piani di realtà nessuno escluso, in modo da rendere non

rappresentabile il tipo di spettacolo che, secondo le istituzioni e

il mainstream, rende legittima e praticabile l’operazione TAV.

Perché quando Ezio Mauro confezionerà un giornale che saprà che perderà

lettori e credibilità (nonché vendite e pubblicità) grazie alla posizione

pro Tav la democrazia coloniale neoliberista avrà perso. Quando il

tg3 piemontese e nazionale si sentiranno in difficoltà, e vedranno

l’audience calare (e la pubblicità), perché sulla TAV fanno solo

ridere le istituzioni neoliberiste, del cemento e delle operazioni finanziarie

avranno perso.

Quando la Stampa sentirà che avrà perso terreno, lettori e credibilità,

Passera se ne accorgerà. Perché c’è un piano, molto discreto, in

cui le redazioni dei grandi media e il ceto politico istituzionale si

parlano. E’ lì che avviene la misurazione, discreta e poco filtrata

all’esterno, del successo o meno di campagne di costruzione del consenso.

Fondamentali per il funzionamento autoreferenziale delle istituzioni.

Se la dimensione del terreno fisico saprà quindi saldarsi in questo

modo con lo spazio della comunicazione digitale, allora la vicenda TAV

si concluderà positivamente. Fissando uno spartiacque storico non solo

per la vita di una valle ma anche per la democrazia reale di questo

paese e per la costruzione di un modello di sviluppo che rompa con cemento,

grandi opere e primato delle corporation. E anche per saldatura tra

cultura tecnologica e cultura popolare, essenziale per il funzionamento

delle democrazie reali del XXI quanto l’alfabetizzazione è stata

necessaria, a partire dall’Ottocento, per l’imporsi del movimento

operaio e dei diritti fondamentali di libertà e cittadinanza.

Link: Sky

smentisce il Tg3. “Nessuna aggressione fisica ai giornalisti”

**********************************************

Fonte: Valsusa: dove e perché rompere la costruzione della mitologia negativa dei “duri” e delle “frange estreme”

29.02.2012

ISCRIVETEVI AI NOSTRI CANALI
CANALE YOUTUBE: https://www.youtube.com/@ComeDonChisciotte2003
CANALE RUMBLE: https://rumble.com/user/comedonchisciotte
CANALE ODYSEE: https://odysee.com/@ComeDonChisciotte2003

CANALI UFFICIALI TELEGRAM:
Principale - https://t.me/comedonchisciotteorg
Notizie - https://t.me/comedonchisciotte_notizie
Salute - https://t.me/CDCPiuSalute
Video - https://t.me/comedonchisciotte_video

CANALE UFFICIALE WHATSAPP:
Principale - ComeDonChisciotte.org

Potrebbe piacerti anche
Notifica di
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments
0
È il momento di condividere le tue opinionix