Un’apoteosi della dissonanza cognitiva

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La kermesse canora sanremese, da sempre usata dal potere di turno come megafono per veicolare agende e produrre  stati d’animo collettivi,  ha superato quest’anno le vette di ignominia del passato, trasformandosi in un’apoteosi della dissonanza cognitiva che difficilmente verrà eguagliata. Ancor prima di cominciare, la RAI ci ha tenuto a precisare che, per rispetto della  privacy, a nessun cantante sarebbe stato chiesto lo stato vaccinale, ma ci si sarebbe limitati ad  “applicare la legge” richiedendo ai lavoratori (e dunque anche ai musicisti) il Green Pass “base” ottenibile anche col canonico tampone, mentre il pubblico sarebbe stato tenuto a mostrare quello “rafforzato”. Con queste premesse, la prima serata prometteva bene e infatti non ha deluso, fra la volgare propaganda di un giullare di Stato pagato profumatamente per ridicolizzare la sola idea che i sieri possano produrre i famigerati effetti avversi e la trasformazione del teatro Ariston in una discoteca (mentre le discoteche “vere” restano chiuse) durante l’esibizione di un gruppo “dance”. Al peggio, tuttavia, non c’è mai fine: il regime ha mostrato ieri un’altra delle sue faccine, l’attrice Lorena Cesarini, una ragazza mulatta figlia di un italiano e di una senegalese, facendole recitare un monologo (che si è ovviamente chiuso con il suo pianto) tratto dall’opera “Il razzismo spiegato a mia figlia” dello scrittore francese di origine marocchina Tahar Ben Jelloun. Tutte le parole del testo avrebbero potuto trovare riscontri nella realtà odierna e nell’odiosa discriminazione contro i “no vax”, ma ben pochi avranno fatto il collegamento. Una perla su tutte, la definizione di razzismo: “Consiste nel manifestare diffidenza e poi disprezzo per le persone che hanno caratteristiche fisiche e culturali diverse dalle nostre”. Inutile negarlo: se possono permettersi l’ostentazione di queste dissonanze davanti a decine di milioni di teledipendenti, hanno vinto su tutta la linea.

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