UNA VOLTA I PAESI RICCHI USAVANO LE CANNONIERE PER IMPADRONIRSI DEL CIBO

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OGGI USANO GLI ACCORDI COMMERCIALI

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DI GEORGE MONBIOT
The Guardian

Con un vecchio colonialismo che sta tornando a regolare le relazioni tra nazioni ricche e nazioni povere, i più affamati del mondo restano i perdenti.

Nel suo libro “Late Victorian Holocausts” [Olocausti tardovittoriani, ndt], Mike Davis racconta la storia delle carestie che hanno dissanguato l’India negli anni ’70 del XIX secolo. Tutto iniziò con la siccità causata da El Nino, che distrusse i raccolti sull’altopiano del Deccan. Mentre la fame iniziava a mordere, il vicerè Lord Lytton supervisionò l’esportazione di grano in Inghilterra portandola alla cifra record di 320.000 tonnellate. Così mentre Lytton viveva tra i fasti imperiali e commissionava, tra le altre stravaganze, “il pasto più colossale e costoso nella storia del pianeta”, tra i 12 e i 29 milioni di persone morirono. Solo Stalin era arrivato a causare una tale carestia.

Oggi un nuovo Lord Lytton sta cercando di architettare un’ altra razzia di cibo. Come cortigiano preferito di Tony Blair, Peter Mandelson ha spesso dato l’impressione di essere pronto a tutto pur di compiacere il suo maestro. Ora è commissario europeo al commercio. Dai suoi magnifici uffici di Bruxelles e Strasburgo, egli spera di imporre un trattato che permetta all‘ Europa di togliere il pane di bocca ad alcune delle persone più povere del mondo.Il settanta per cento delle proteine consumate dai Senegalesi viene dal pesce. Tradizionalmente più economico di altri prodotti animali, il pesce sostiene una popolazione che si colloca fra le ultime nell’indice di sviluppo umano. Una persona su sei in età da lavoro è impiegata nell’industria del pesce; circa i due terzi sono donne. Nelle ultime tre decadi, i loro mezzi di sussistenza hanno iniziato a ridursi poiché altre nazioni hanno saccheggiato le riserve senegalesi.

La UE ha due grossi problemi con la pesca. Uno è che, in parte come risultato del suo fallimento nella loro gestione, le sue stesse riserve di pesca non sono più in grado di rispondere alla domanda Europea . L’ altro è che i suoi governi non si vogliono confrontare con le lobby della pesca e dismettere i pescherecci in surplus. La UE ha tentato di risolvere entrambi i problemi mandando i suoi pescatori nell’Africa occidentale. Sin dal 1979 ha strappato accordi al governo del Senegal che garantissero alle nostre flotte di accedere alle sue acque. Come risultato, l’ ecosistema marino del Senegal ha iniziato a prendere la stessa strada del nostro. Tra il 1994 e il 2005, la quantità di pesce pescato in acque nazionali è crollata da 95.000 a 45.000 tonnellate . Penetrate a viva forza dai pescherecci europei, le riserve di pesca locali stanno tracollando: dal 1997 il numero di imbarcazioni mantenute all’opera dalla popolazione locale è sceso del 48% .

In un recente rapporto su questo saccheggio, ActionAid mostra come le famiglie di pescatori che un tempo disponevano di tre pasti al giorno ora mangiano solo una o due volte. Aumentando il prezzo del pesce, anche i suoi acquirenti soffrono la fame. La stessa cosa è accaduta in tutti i paesi dell’Africa occidentale con i quali la UE ha tenuto accordi di pesca. In cambio di miserabili quantità di valuta estera la loro fonte primaria di proteine è stata depredata.

Il governo del Senegal lo sa, e nel 2006 si è rifiutato di rinnovare i suoi contratti commerciali con la UE. Ma i pescatori europei – per lo più Spagnoli e Francesi – hanno trovato il modo di aggirare il divieto. Hanno iniziato a registrare le loro imbarcazioni come Senegalesi, a comprare grossi quantitativi di quote dai pescatori locali e a trasferire in mare il pescato su imbarcazioni locali. Attraverso queste pratiche essi possono continuare a prendere il pesce della regione senza l’obbligo di sbarcarlo in Senegal. I loro guadagni sono tenuti sotto ghiaccio finche il pescato non giunge in Europa.

L’ufficio di Mendelson è impegnato a negoziare accordi di partnership economica con alcune nazioni africane. Questi avrebbero dovuto essere conclusi entro la fine dell’anno scorso, ma diverse nazioni, Senegal incluso, si sono rifiutate di firmarli. Gli accordi insistevano perché alle compagnie europee venisse accordato sia il diritto di stabilirsi liberamente sul suolo africano, sia di ricevere lo stesso trattamento delle compagnie nazionali. Ciò significa che al paese ospitante non è concesso di fare differenza tra i suoi stessi interessi e quelli delle compagnie europee. Al Senegal sarebbe proibito assicurarsi che il suo pesce venisse usato per sostenere la sua propria industria e per sfamare la sua propria popolazione. I trucchi utilizzati dai pescherecci europei verrebbero legalizzati.

La Commissione Economica per l’Africa dell’ONU ha descritto le negoziazioni del EU come “non sufficientemente inclusive”. Esse soffrono di una “mancanza di trasparenza” e di una mancanza di capacità da parte delle nazioni africane di districarsi nella loro complessità legale. ActionAid mostra che l’ufficio di Mendelson ha ignorato questi problemi, aumentato la pressione sulle nazioni riluttanti e “tirato dritto ad un passo molto più veloce di quello che [le nazioni africane] potessero sostenere”. Se questi accordi saranno imposti nell‘Africa occidentale, Lord Mendelson sarà responsabile di un’ altra carestia imperiale.

E’ questo un caso di colonialismo alimentare che sta tornando a regolare le relazioni tra paesi ricchi e poveri. Mentre le provviste globali di cibo si assottigliano, i consumatori ricchi sono spinti a competere con quelli poveri . La settimana scorsa il gruppo ambientalista WWF ha pubblicato un rapporto sul consumo indiretto di acqua da parte del Regno Unito, sotto forma di cibo. Noi acquistiamo buona parte del nostro riso e del nostro cotone, per esempio, dalla valle dell’ Indo che comprende la gran parte della migliore terra coltivabile del Pakistan. Per far fronte alla domanda di esportazione le falde acquifere sotterranee vengono spremute più velocemente di quanto possano ricaricarsi. Nel contempo pioggia e neve nelle riserve d’acqua himalayane sono diminuite come probabile conseguenza del cambiamento climatico. In alcuni punti il sale e altri veleni provenienti dalle colture vanno ad infiltrarsi nella falda idrica già in riduzione, deteriorando per sempre il terreno agricolo. I raccolti che compriamo sono, per la maggior parte, importati liberamente, ma i costi non calcolabili sono tutti a carico del Pakistan.

Ora apprendiamo che paesi del medio oriente, Arabia Saudita in testa, si stanno assicurando le loro future scorte alimentari tentando di acquistare terre nei paesi più poveri. Il Financial Times riporta che l’Arabia Saudita vuole impiantare una serie di aziende agricole all’estero, ognuna delle quali potrebbe superare i 100.000 ettari. La loro rendita non sarebbe commerciata ma spedita direttamente ai proprietari. Il Financial Times che normalmente si agita in favore della vendita di qualunque cosa, si irrita per lo “scenario da incubo di raccolti che vengono trasportati fuori da fattorie fortificate mentre l’affamata gente del posto sta a guardare”. Attraverso “segreti accordi bilaterali”, riporta ancora, “gli investitori sperano di poter bypassare qualunque possibile restrizione commerciale il paese ospitante volesse imporre durante una crisi”.

Sia l’Etiopia che il Sudan hanno offerto alle nazioni petrolifere centinaia di migliaia di ettari. Facile per i corrotti governi di questi stati: in Etiopia lo stato rivendica il possesso di quasi tutto il territorio; in Sudan una bustarella sulla scrivania giusta trasforma magicamente l’altrui proprietà in merce di scambio estero. Ma 5,6 milioni di Sudanesi e 10 milioni di Etiopi hanno attualmente bisogno di aiuti alimentari. Gli accordi proposti dai loro governi non possono far altro che esacerbarne la fame.

Nessuno che suggerisca che le nazioni povere non dovrebbero vendere cibo ai ricchi. Per salvarsi dalla fame, le nazioni devono accrescere il loro potere d’acquisto. Ciò spesso significa vendere prodotti agricoli, e aumentarne il valore lavorandoli a livello locale. Non c’è niente di giusto negli accordi commerciali che ho descritto. Se un tempo usavano cannoniere e sepoy [soldati indigeni dell’esercito anglo-indiano, ndt], oggi le nazioni ricche usano i libretti degli assegni e gli avvocati per razziare cibo agli affamati. La battaglia per le risorse è iniziata, ma – a breve termine, in ogni caso – ce ne accorgeremo a mala pena. I governanti del mondo ricco si difenderanno dal prezzo politico della penuria, a costo di far morire gli altri di fame.

Titolo originale: “Rich countries once used gunboats to seize food. Now they use trade deals”

Fonte: http://www.commondreams.org/
Link
26.08.2008

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MAURIZIO BRUNELLI

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