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La Redazione

 

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UNA LEZIONE DI EBRAICO
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A cura di Olimpia
Il 8 Gennaio 2006
94 Views

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DI GILAD ATZMON

Pace
non è Shalom e Shalom non è Sharon

Negli ultimi giorni abbiamo letto alcuni articoli che elogiavano le ultime
mosse politiche di Sharon, che ha intrapreso nei suoi nuovi panni appena
indossati di amante della pace. Sharon, un famigerato criminale di guerra, un uomo che è
riuscito costantemente a dimostrare che manca completamente di qualsiasi remora
morale o etica, è riuscito a convincere i media occidentali di essere la ‘voce
della responsabilità’ israeliana. A scanso di equivoci, Sharon e il popolo
israeliano sono davvero devoti amanti della ‘pace’, però è piuttosto
fondamentale fare presente che il concetto israeliano di pace è assolutamente
lontano da qualsiasi nozione di pace conosciuta dal resto dell’umanità. Se si pensa alla parola
ebraica che significa pace di solito si fa riferimento alla parola ‘shalom’. Ma è
evidente che shalom e pace non sono sinonimi, perché in realtà sono due parole molto
diverse. Se shalom si riferisce all’assenza di conflitti nel raggiungimento un
senso generale di sicurezza, pace ha un significato molto più ampio. Pace è una
soluzione reale. Pace è la ricerca di armonia fra i popoli. Pace è fondamentalmente riconciliazione.

È molto triste ammettere che nella mentalità ebraica manca totalmente l’accezione
più ampia del concetto di pace in termini di armonia e riconciliazione.

Per gli israeliani shalom significa applicare una strategia che possa
garantire un rifugio personale e nazionale al popolo ebraico. Per gli
israeliani shalom vuol dire vivere in pace, né più né meno di questo. Come si possa
raggiungere o mantenere lo shalom non preoccupa particolarmente gli israeliani.
E nemmeno il fatto che milioni di palestinesi siano soggetti al terrorismo di
stato sotto forma di gravi crimini di guerra condotti dalle Forze di Difesa
Israeliane, lo considerano un vero e proprio problema. Praticamente, piuttosto
che armonia e riconciliazione, shalom è una serie di manovre politiche e
militari per reprimere il nemico del popolo ebraico.

E questa stessa filosofia dello ‘shalom’ è proprio nel fulcro della scuola
sionista di sinistra. È questa stessa percezione che porta la sinistra
israeliana a credere che l’opzione ‘due stati per due popoli’ sia attuabile. Chiaramente
la soluzione dei due stati promette shalom: garantisce sicurezza personale e
rifugio al popolo ebraico. L’anno scorso, nei giorni precedenti il ritiro
unilaterale da Gaza, Sharon ha dichiarato: “noi (gli israeliani) vogliamo lo shalom
ma vogliamo definirne i termini e le condizioni”. L’idea di Sharon non è tanto
lontana dal programma di Shalom Now (‘Shalom Now’ è un movimento di sinistra
israeliano per lo shalom, ed è stato erroneamente tradotto in “Peace Now”). La
comprensione di Sharon del termine shalom non è molto diversa dalla filosofia
di Peres e, in termini categorici, non è tanto distante dalla percezione di Uri
Avnery del movimento Gush Shalom. Gli israeliani che inseguono la pace vogliono
sempre ‘definire i termini e le condizioni’. È vero, i ‘termini e le
condizioni’ di Avnery, Peres e di Sharon sono diversi, ma tutti credono nella
divisione tra i popoli. Credono tutti in due stati per i due popoli. Possono discutere sui
confini, ma aspirano tutti a risolvere la questione ebraica in termini sia
personali che nazionali. L’intero movimento shalom si occupa, con metodi
diversi, della divisione tra gli ebrei e i gentili, e questo è il reale
significato della parola israeliana shalom. È abbastanza triste che questa
strana visione egocentrica del mondo politico sia il nucleo centrale del
pensiero della sinistra israeliana, proprio come la separazione è l’obiettivo
centrale del sionismo. Questa è la logica che sta dietro l’abbandono collettivo
della causa palestinese, p.es. “il diritto di ritornare” da parte del movimento
shalom israeliano. Ci si potrebbe chiedere come sia possibile che la sinistra
israeliana ignori la causa dei loro nemici, il popolo con il quale vorebbero
fare shalom.

Come potranno mai gli israeliani instaurare un rapporto armonioso con i loro
vicini? La risposta è semplice: la sinistra israeliana non è interessata alla
riconciliazione e all’armonia. A loro interessa shalom e shalom non è pace.

Sei mesi fa Bush ha definito Sharon un ‘uomo di pace’. Francamente Bush non si
sbagliava del tutto, si era solo perso nella traduzione. Sharon non è un uomo
di pace, è un uomo di shalom. Dal momento che è un ebreo nazionalista militante
e una persona abile ed esperta, Sharon è riuscito ad afferrare il maggior
paradosso all’interno del pensiero politico sionista. Nel discorso sionista è
la sinistra che si sta dirigendo verso uno stato invasato nazionalista e
razzista. I falchi, dall’altra parte, spingono verso una realtà multinazionale
di un ‘unico stato’. Per quanto ad alcuni possa sembrare strano sono i coloni
ebrei che si stanno impegnando nella creazione di una realtà sociale
indivisibile di uno stato, benché a larga maggioranza palestinese. Sono i
coloni che stanno rovesciando lo stato nazionale ebraico. Sharon, lui stesso
mentore storico del movimento dei coloni, è riuscito a diagnosticare questa
frattura all’interno della filosofia colonica. Il vecchio ora si è reso conto
che la conservazione dello stato ebraico e la sua salvezza dalla catastrofe
demografica dipendono completamente dall’immediata separazione dalla
popolazione palestinese. Sharon e tutti i fautori dello shalom vogliono uno
stato ebraico solido con una chiara maggioranza ebraica. Questa consapevolezza
si è recentemente evoluta nel ritiro da Gaza, e significherebbe anche l’allontanamento
dalla Cisgiordania nel prossimo futuro. È vero che Sharon si è unito al
movimento shalom ma non vuo dire che è diventato un amante della pace. Sembra
proprio che il vero significato della parola pace non si possa tradurre in
ebraico moderno.

Il significato di pace non è traducibile nella realtà israeliana.

Inoltre non solo pace non si traduce con shalom, ma la sincera aspirazione
israeliana alla pace non garantisce altro che la continuazione della guerra. Se
il risultato dello shalom è in realtà la divisione tra i due popoli del paese,
non potrà mai portare armonia e riconciliazione alla regione e questo per ovvie
ragioni. Shalom non potrà mai rivolgersi sia alla causa sionista che a quella
palestinese: non si occupa minimamente del diritto dei palestinesi, dettato
dalla morale, di ritornare. Ma trascura anche l’oltraggiosa pretesa nazionalista
ebraica di stabilirsi sull’intero territorio della grande Israele a spese degli
indigeni palestinesi. Per cui shalom è la continuazione della guerra. Certamente
Sharon vuole lo shalom, probabilmente è questa la ragione per la quale Blair e
Bush sono così entusiasti di lui. Con Sharon al potere, e sembra che ci rimarrà,
continuerà a prevalere lo shalom. Si imporrà ai palestinesi uno shalom
unilaterale. Uno shalom che permetterebbe il bombardamento infinito e spietato
dei palestinesi che insistono per tornare nella loro patria. Quello che rimarrà
della Terra Santa è un crudele shalom che uccide chiunque decide di vivere in
pace.

Gilad Atzmon

Fonte: http://www.gilad.co.uk/

Link: http://www.gilad.co.uk/html files/hebrewlesson.html

Novembre 2005

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di OLIMPIA BERTOLDINI

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