di Ivana Suerra, ComeDonChisciotte.org
Con un solo voto contrario alla Camera e nessuno al Senato, il Parlamento, in seconda deliberazione, ha approvato la proposta di Legge di modifica degli articoli 9 e 41 della Costituzione italiana.
Forte di questa maggioranza bulgara, per la prima volta, il Legislatore ha messo mano ai principi fondamentali della Costituzione, incidendo su uno dei primi dodici articoli della Carta.
Art. 9 vecchia formulazione | Art. 9 nuova formulazione |
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. | La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali” |
Nell’articolo dedicato alla protezione del patrimonio paesistico, storico e culturale della Nazione entra, pertanto, il concetto di ambiente, affiancato dalla réclame della tutela delle generazioni future.
La terminologia impiegata è certamente di tendenza e porta con sé un valore molto più simbolico che giuridico.
Gli addetti ai lavori sanno bene che, nella Giurisprudenza, la protezione dell’ambiente trova da tempo uno spazio di protezione non affatto marginale e che questo nuovo terzo comma si riduce a poco più che un orpello stilistico.
Da un punto di vista ‘tecnico’, di fronte alla scarsa rilevanza della modifica costituzionale, ai giuristi è consentito di non scomporsi. Allo stesso tempo, da un punto di vista metodologico, la tendenza modaiola del Legislatore è meritevole di biasimo: ormai, nemmeno più il nocciolo duro dell’impianto costituzionale è indenne da interventi contingenti, superficiali e propagandistici.
Anche il legiferare diviene, così come ogni altra attività istituzionale, un modo come un altro per fare proseliti. Ecco, allora, che la politica di oggi finge di farsi carico dei problemi della gioventù millantando una vittoria epocale di fronte agli studentelli inconsapevoli dei ‘green fridays’.
In realtà, basterebbe porre attenzione all’uso del lessico per rendersi conto che, anche questa volta, si mette in atto l’ennesima campagna pubblicitaria condita di rivoluzioni verdi, trasformazioni digitali e inglesismi molesti. Tutto questo con l’obiettivo, sullo sfondo, di inculcare nella Next GenerationEU quello spirito di ‘resilienza’ indispensabile per affrontare un imminente futuro di crisi sanitarie, climatiche, energetiche…
A regnare sovrana, dunque, un’efficientissima logica promozionale, che è ben lontana dal contesto in cui quello stesso articolo 9 prese forma. La disposizione, nata su impulso di Concetto Marchesi, venne formulata con l’intento di rimarcare, innanzitutto, l’aspetto identitario del patrimonio storico e artistico della Nazione e, conseguentemente, di tutelare un tratto culturale che poteva connotare il territorio e lo spirito della Repubblica. Concezione, questa, che originava da tesi Crociane e che, non a caso, stava alla base della prima Legge italiana sulla tutela del paesaggio: paesaggio inteso, dunque, non come natura indistinta, bensì come frutto del sedimentarsi della storia culturale di un Paese.
Simile concezione, connotata da una valenza commerciale molto ridotta e non riducibile a mero prodotto, dava rilevanza alle vedute paesaggistiche di pregio, gratuitamente fruibili e spesso soggette a vincoli incompatibili con logica del mercato su larga scala.
Ecco, dunque, spiegata la necessità impellente di inserire in Costituzione un riferimento all’ambientalismo in chiave moderna, quello – per intenderci – sponsorizzato dalle bottigliette ecologiche colorate.
A tutto ciò si aggiunga che, all’ombra dell’ostentata modifica dell’art.9, il Legislatore ha voluto incidere anche sul Titolo III della prima parte della Costituzione, dedicato ai rapporti economici.
Art. 41 vecchia formulazione | Art. 41 nuova formulazione |
L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. | L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali. |
È qui che, probabilmente, i giuristi dovrebbero prestare maggiore attenzione.
Come è noto, l’art. 41 della Costituzione provocò, in Assemblea Costituente, grande dibattito. Proprio sul concetto di iniziativa economica si accesero, infatti, gli animi discordanti delle due componenti ideologiche presenti in Assemblea: quella di matrice liberale e quella di stampo socialista. La necessità di trovare un compromesso diede origine, infine, ad una formulazione normativa non esente da critiche, poiché, all’affermazione di principio che proclamava la libertà nell’iniziativa economica privata si contrapponeva, immediatamente, il vincolo statalista dell’utilità sociale. A fronte di tali divergenze, nel corso dei lavori preparatori i Costituenti si dovettero sforzare per definire il concetto di “finalità sociale” di cui la Legge dovrebbe tener conto nell’indirizzare l’iniziativa economica privata.
Le discussioni che contrapponevano, in allora, gli Einaudi ai Ruini e che si spingevano a ragionare in termini di teoria generale del diritto sulla concezione di Monopolio Statale non sono di certo immaginabili nel contesto della politica così come si presenta oggi, pervasa da improvvisati teatranti.
Ciò nonostante, non può che essere allarmante il fatto che, dinnanzi alla modifica di un articolo così delicato della Costituzione, non vi sia stato dibattito alcuno.
Nella Relazione al progetto di Legge presentata al Senato si sottolinea che si “auspica il recepimento di questi indirizzi per la promozione di una nuova cultura della sostenibilità in linea con le esigenze della contemporaneità che domandano risposte anche normative sempre più concrete e non procrastinabili”.
Ebbene, è evidente che nemmeno la Relazione accompagnatoria chiarisce:
– cosa si intenda con il concetto di sostenibilità;
– quali siano le esigenze della contemporaneità;
– che risposte normative non procrastinabili debbano essere messe in campo.
Ancora una volta, si attua un intervento legislativo che si esplica per mezzo di spot pubblicitari, senza dare una connotazione precisa a quello stesso ambiente che si pretende di tutelare.
Così facendo, la portata di questi incisi viene lasciata nella più assoluta genericità, consentendo alla Legge di prostrarsi all’esigenza del momento, di piegarsi a qualunque nuova crisi che appaia di natura ambientale. È indispensabile, pertanto, fermarsi a riflettere sulle implicazioni della novella e su cosa si intenda quando si afferma che l’attività economica non deve recare “danni all’ambiente”.
In prima battuta, la finalità di tutela degli ecosostemi non può che essere condivisibile, ma non si può prescindere dal ragionare in ordine all’astrattezza di simile accezione e, di conseguenza, dal chiedersi se, per esempio, anche una crisi di approvvigionamento delle risorse energetiche possa considerarsi una problematica di natura ambientale.
A pensar male spesso ci si azzecca?
Perché, a pensar male, bisognerebbe iniziare a formulare qualche ipotesi sull’utilità di certi incisi in caso di emergenze climatiche, proprio quelle che vengono paventate come imminenti ormai da diversi anni.
E, allora, in che modo l’attività economica potrà essere limitata a fini ambientali?
A pensar male, qualcuno potrebbe fare dei paragoni con le decisioni assunte di recente dal Governo al fine di tutelare la salute collettiva (anch’essa, guarda caso, aggiunta come limite all’esercizio dell’iniziativa economica nello stesso articolo 41).
E, allora, è prematuro iniziare a parlare di ‘confinamenti climatici’?
D’altra parte, con i recenti sviluppi sul fronte Ucraino, le sanzioni comminate alla Russia e la sospensione della procedura di certificazione del Gasdotto Nord Stream 2, l’aumento dei prezzi per le forniture e le difficoltà di approvvigionamento energetico in Europa si palesano ormai come un epilogo scontato. Come al solito, sono illuminanti le recentissime dichiarazioni del Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani: “Le possibili misure del piano di emergenza includono una maggiore flessibilità dei consumi di gas, come interrompibilità al settore industriale e regole sui consumi di gas nel settore termoelettrico (…) sono in corso consultazioni rapide della Commissione europea che dovrà annunciare, dicono, misure contingenti per questo periodo”. La situazione, aggiunge il Ministro, “è stata aggravata dalla rapida evoluzione geopolitica e questo ha accelerato la necessità di ulteriori interventi strutturali (…) Nei fatti siamo totalmente dipendenti dall’importo del gas (…) Dalla Russia prendiamo circa il 43-45% di gas a seconda dei periodi. (…) Temo che il prezzo del gas rimarrà abbastanza alto. È difficile fare previsioni ma difficilmente potrà tornare ai valori di un anno fa”.
Ecco che, se i presupposti per una nuova emergenza ci sono tutti, c’è da chiedersi se gli strumenti per fronteggiarla saranno calibrati sulla base delle recenti modifiche dell’art.41 della Costituzione Italiana.
Ma, in effetti, i giuristi non sono soliti pensar male e, nella peggiore delle ipotesi, saranno certamente propensi a confidare nella promettente rivoluzione delle energie rinnovabili!
di Ivana Suerra, ComeDonChisciotte.org