DI DAMIEN MILLET E ÉRIC TOUSSAINT
Réseau Voltaire
Coloro che dal G20 si aspettavano misure concrete per risolvere la crisi economica mondiale possono stare freschi. Non si è trattato, in effetti, che di parlare di finanza e di stabilire quali nuovi mezzi fornire al FMI (Fondo Monetario internazionale) e alla Banca Mondiale perché possano portare avanti la loro politica di sfruttamento del terzo mondo. Rompendo tutte le possibili resistenze, la crisi offre un’occasione insperata ai padroni del capitalismo per accellerare la globalizzazione del sistema. Damien Millet e Éric Toussaint fanno il loro bilancio del summit.
Gli effetti d’annuncio non mancano attorno al summit dei 20 paesi industrializzati e emergenti (G20) riuniti a Londra l’1 e il 2 aprile per trovare soluzioni alla crisi. Le conclusioni erano note ben prima che il summit si concludesse: si sapeva che il G20 non sarebbe stato all’altezza della sfida.
Al di là della pubblicazione sui media specializzati di un progetto di comunicato stampa finale che lasciava molto a desiderare, la ragione è semplice: il summit G20 non è stato organizzato per trovare soluzioni reali, è stato convocato in fretta e furia una prima volta il novembre scorso per tirar fuori dai guai i potenti e colmare le crepe di un capitalismo in piena crisi.Impossibile, dal momento che ha portato i popoli del mondo intero verso delle alternative sufficientemente radicali da invertire la tendenza. Iniziato da coloro che approfittano del rapporto di forze attuali, il summit G20 è strutturalmente incapace di scegliere dei sentieri che modifichino radicalmente questo rapporto di forze.
Quando un capo di stato o un direttore di un’istituzione internazionale è arrivato alla sua posizione grazie ai grandi creditori e alle multinazionali, non cercherà mai di infragilire il potere dei suoi preziosi sostenitori.
Data l’insostenibilità della situazione per via della crisi finanziaria internazionale, il G20 ha cercato di limitare la ferocia di questo sistema predatore, ma senza metterlo nelle condizioni di non poter più nuocere. L’opinione pubblica, dal canto suo, è pregata di consolarsi guardando nelle due direzioni che dovrebbero servire a cristallizzare l’esasperazione: i paradisi fiscali e le remunerazioni dei dirigenti delle grandi aziende.
[Cena di gala dei capi di stato e dei governi del G20, riuniti per risolvere la crisi finanziaria globale (Londra, 1-2 aprile 2009)]
Va da sé quanto sia necessario abolire i paradisi fiscali. Sarebbe facile deciderlo. Basterebbe vietare alle aziende e ai residenti di avere attività o di intrattenere relazioni con partners situati in paradisi fiscali, di fatto facilmente identificabili. I paesi dell’Unione Europea che funzionano da paradisi fiscali (Austria, Belgio, Gran Bretagna, Lussemburgo…) e la Svizzera, firmataria dell’accordo di Schengen, devono togliere il segreto bancario e mettere fine una volta per tutte alle loro pratiche scandalose. Purtroppo il G20 non si è mosso in questa direzione: sono stati sanzionati pochi casi emblematici, misure irrilevanti sono state imposte ai paesi coinvolti e una lista nera, accuratamente epurata, dei territori “non-cooperativi” (la City di Londra, il Lussemburgo e l’Austria hanno ottenuto l’esonero) è stata redatta. D’altronde una lista simile esisteva già, ma col passare del tempo, la quasi-totalità dei paesi era stata depennata. Ragion per cui c’era bisogno di riprendere gli stessi e di ricominciare daccapo.
D’altro canto, le remunerazioni dei dirigenti delle grandi aziende, inclusi paracaduti dorati e i bonus più vari, sono meramente scandalose. In periodo di crescita, il padronato affermava che era necessario ricompensare coloro che si accollavano i rischi e che contribuivano in tal modo al profitto della società (non parliamo ovviamente dei lavoratori, come avrete dedotto!) perché non si indirizzassero altrove. Adesso che la crisi è palese e che le imprese si scavano le loro perdite, continuano comunque a giustificare dei redditi esorbitanti. Il G20 “controlla” queste remunerazioni per una durata limitata (fino alla fine del 2010 in Francia). La logica stessa non è assolutamente messa in causa, ne vengono solamente smussati gli aspetti più insostenibili per farla durare più a lungo.
Al di là della questione dei paradisi fiscali e dei super-bonus dei padroni, per i quali nessuna eventuale sanzione è stata mai specificata, i paesi del G20 cercano continuamente di risollevare le banche, ma senza prenderne il controllo, per cercare di imporre orientamenti diversi da quelli che, da decenni, si sono rivelati un fallimento e che hanno portato alla crisi attuale. Il G20 non ha mancato di ricordare quanto si lotterà contro il protezionismo, quanto sia inammissibile di voler proteggere i settori vitali della sua economia. Il libero mercato e la deregulation forsennata hanno condotto a un fiasco clamoroso e il G20 ne trae conclusioni che i popoli non possono accettare: l’obiettivo è cercare di salvaguardare costi quel che costi il libero mercato, prerogativa esclusiva dei potenti che non intendono lasciare nulla del loro dominio ai più deboli.
Poco importa al G20 se il FMI è stato un attore protagonista nell’imporre tutte le politiche di aggiustamento strutturale sin dagli anni ’80; al contrario il G20 lo ringrazia di essere stato il grande coordinatore delle privatizzazioni a oltranza, della liberalizzazione dell’economia, dell’apertura dei mercati e della riduzione drastica dei budgets sociali. Il FMI, seppur discreditato e delegittimato a livello mondiale, è stato rimesso al centro del gioco politico-economico grazie a un nuovo apporto di fondi da qui al 2010.
Una bella mano di vernice su un mondo in rovina, ecco cosa è stato il G20. Solo una grande mobilitazione popolare potrà permettere di porre solide fondamenta per la costruzione di un mondo nel quale la finanza sia al servizio dell’umanità, e non l’inverso. Le manifestazioni del 28 marzo sono state rilevanti: 40 000 persone a Londra, decine di migliaia a Vienna, Berlino, Stoccarda….tutti uniti dallo slogan “che i ricchi paghino la crisi!”. La settimana mondiale di azione convocata dai movimenti sociali del mondo intero all’occasione del Forum Sociale Mondiale (FSM) di Belem in gennaio, ha dunque avuto un’eco di prim’ordine. Coloro che avevano annunciato la fine del movimento no-global han preso un granchio e quest’ultimo ha invece dimostrato di essere in grado di sollevare grandi mobilitazioni. In Francia, il 29 gennaio e il 19 marzo scorsi, i lavoratori dipendenti, i disoccupati e i giovani hanno affermato con forza di volere altre soluzioni alla crisi, che non consistano nel salvare i banchieri, costringendo i poveretti che stanno sotto a stringere la cinghia.
In contrappunto al G20, il presidente dell’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Miguel d’Escoto ha convocato una riunione generale dei capi di stato per il mese di giugno e ha chiesto al premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz di presiedere una commissione incaricata di fare proposte che sappiano dare risposte concrete alla crisi globale. Secondo certi documenti preparatori, le soluzioni proposte sono inappropriate, ma ciò nonostante avranno il merito di essere sottoposte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Perché la stampa risulta così silenziosa a proposito di queste pratiche? Perché il quotidiano Le Monde partecipa a una campagna di discredito internazionale contro Miguel d’Escoto che ha avuto il coraggio di riconoscere l’importanza del FSM di Belem e che ha preso attivamente parte per la difesa del popolo palestinese e che si è pronunciato contrario a qualunque tipo di attacco nei confronti dell’Iran col pretesto della minaccia nucleare? Porsi la domanda è di per sé rispondervi.
Al sud ci si prepara ad una nuova crisi del debito, conseguente all’esplosione della bolla del debito privato al nord. La crisi che oggi tocca l’economia reale di tutti i paesi del nord ha provocato una caduta dei prezzi delle materie prime, che si traduce in una riduzione della valuta con cui i governi dei paesi del sud rimborsavano il loro debito pubblico esterno. Inoltre il credit crunch ha provocato un aumento dei costi dei prestiti dei paesi del sud. Questi due fattori hanno già provocato la sospensione dei rimborsi del debito da parte dei governi dei paesi più esposti alla crisi (a cominciare dall’Ecuador). E questo è niente.
La situazione è assurda: i paesi del sud sono prestatori netti del nord, a cominciare dagli Stati Uniti, che hanno un debito esterno totale cha ammonta a più di 6000 miliardi di dollari (il doppio del debito esterno dei paesi del sud). Le banche centrali dei paesi del sud comprano i buoni del Tesoro degli Stati Uniti, mentre dovrebbero, al contrario, formare un’unione democratica delle banche del sud per finanziare progetti di sviluppo. Dovrebbero lasciare la Banca Mondiale e il FMI che sono strumenti di dominio. Dovrebbero sviluppare relazioni di solidarietà sud-sud, come fanno ad esempio i paesi facenti parte dell’ALBA (Venezuela, Cuba, Bolivia, Nicaragua, Honduras, Repubblica Dominicana) [1]. Dovrebbero realizzare una revisione del debito che viene loro reclamato, per mettere fine ai pagamenti illeggittimi.
Il G20 ha pensato a vegliare sulla preservazione della logica neoliberista, determinato a ristabilire la sacrosanta crescita, sul cui significato intrinseco è meglio non indagare, e a resistere al demone del protezionismo. I principi erronei sono affermati ancora una volta: il G20 si riconferma radicato a “un’economia mondiale aperta basata sui principi del mercato”, dunque il suo sostegno al dio mercato non è discutibile. Il resto non è che un’illusione.
[1] L’Alternativa Bolivariana per le Americhe (ALBA) (in spagnolo: Alternativa Bolivariana para América Latina y el Caribe) è un progetto di cooperazione politica, sociale ed economica tra i paesi dell’America Latina ed i paesi caraibici, promossa dal Venezuela e da Cuba in alternativa (da cui il nome) all’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA) voluta dagli Stati Uniti. L’aggettivo “bolivariana” si riferisce al generale Simon Bolivar, l’eroe della liberazione di diversi paesi sudamericani dal colonialismo spagnolo. (Dalla relativa pagina di Wikipedia). N.d.r.
Damien Millet è segretario generale del CADTM Francia (Comitato per l’Annullazione del Debito del Terzo Mondo). Ultimo libro pubblicato: “Dette odieuse” (con Frédédric Chauvreau), CADTM/Syllepse, 2006.
Éric Toussaint è il presidente del CADTM Belgio (Comitato per l’Annullazione del Debito del Terzo Mondo). Ultimo libro pubblicato: “Banque du Sud et nouvelle crise internationale”, CADTM/Syllepse, 2008.
Titolo originale: “Un G20 pour rien”
Fonte: http://www.voltairenet.org
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09.04.2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di RAMONA RUGGERI