Un’intervista sulla crisi finanziaria all’ex Ministro dell’Economia ecuadoriano e membro della Commissione Stiglitz, Pedro Pàez.
DI ROLF-HENNING HINTZE
NachDenkSeiten.de
Hintze: Recentemente Lei ha sostenuto […] che non sarebbe in
atto soltanto una crisi finanziaria, ma che questa crisi minaccerebbe
la nostra intera civiltà. Che cosa intende?
Pedro Pàez: Quello che stiamo vivendo, in realtà, non è soltanto
una crisi finanziaria ma il fallimento del rimedio a una crisi strutturale.
Abbiamo un problema che riguarda la vita stessa: il rapporto tra l’essere
umano e la natura è in pericolo. L’unico modo per uscire da questa
crisi è fare un salto di qualità tecnologico, soprattutto in termini
di energia. Il tempo in cui avevamo a disposizione energia a basso costo
è finito. Abbiamo bisogno di grandi investimenti in questo settore,
ma per il capitale questo investimento non è sufficientemente redditizio
rispetto alle possibilità di speculazione o di finanziamento delle
guerre. In questo momento ci troviamo in una situazione nella quale
dobbiamo avviare nuove soluzioni tecnologiche e rispondere ai bisogni
primari delle persone offrendo un nuovo tipo di normalità in una società
che decresca, anche dal punto di vista etnico.
H: Lei crede che aumenteranno le guerre?
PP: Se non agiamo insieme, se la società non difende i suoi
principi, saremo sempre più coinvolti da questa rete oligarchica di
speculatori in un numero sempre maggiore di guerre e di speculazioni.
Si è creata una situazione in cui i meccanismi dell’economia sono stati
distorti. E di questo ne abbamo mille esempi, riguardo alla formazione
dei prezzi a livello internazionale. Da tempo non ha più a che fare
con l’aumento dei costi di produzione, né con la scarsità stagionale,
perché tutto è divenuto oggetto di speculazione, compresi i generi
alimentari. Anche con i raccolti abbondanti si assiste ad un aumento
dei prezzi. Tutti gli attori di questa catena appoggiano questa strategia,
e si dicono, perché dovrei vendere oggi, se domani i prezzi potrebbero
aumentare? Questo ha portato ad un innalzamento dei prezzi dovuto ad
una scarsità creata ad arte. Questo comporta una grave distorsione
che colpisce le decisioni di investimento a lungo termine. E questo
può valere per le regioni, per gli Stati e per interi continenti.
H:Cosa accadrebbe se in Occidente si rimanesse fermi su queste politiche?
PP: è in atto un insensato tentativo suicida che sta portando
l’Europa e gli USA a sudamericanizzarsi e l’America latina ad africanizzarsi
e questa è una degradazione della civiltà.
H: Cosa intende con l’africanizzazione dell’America latina?
PP: Gli stati africani sono stati devastati dopo la decolonizzazione
dal crollo delle istituzioni e delle strutture sociali e democratiche
che ha permesso alle multinazionali lo sfruttamento sistematico delle
materie prime nazionali a condizioni molto agevoli. Questo include i
salari bassissimi – in alcune aree addirittura la schiavitù -, nessuna
tassazione e pochissimi vincoli ambientali. Questo è anche lo scopo
degli accordi di libero scambio che l’Europa sta cercando di concludere
con diversi Paesi dell’America latina, mascherati dalla retorica della
cooperazione. E cercano di applicare una politica di questo genere anche
nel loro stessi Paesi: questo significa che invece che attuare come
facevano all’inizio una separazione tra la madrepatria e le colonie,
ora stanno colonizzando i loro stessi Paesi. Fin dall’inizio del Neoliberalismo
si può osservare l’erosione progressiva dello stato sociale. In questo
momento sono sul punto di iniziare un rapido processo di regolamentazione
e di applicazione di misure di austerità e questo porterà ad un deficit
di bilancio cronico. Le misure di austerità conducono ad una spirale
che ha una sorta di vita propria, e tutte le conquiste civili delle
nazioni europee sono in pericolo. Tutte le conquiste del Dopoguerra
a partire dalla vittoria sul Fascismo si trovano adesso in pericolo,
a partire dalle capacità produttive e tecnologiche. Questo è quello
che sta accadendo in questo momento in America latina.
H: Lei ritiene che gli sviluppi di quello che sta accadendo in
Grecia possano arrivare a investire anche la Germania?
PP: Sarebbe un’illusione credere che lo zoccolo duro dell’Europa,
la Francia, la Germania e il nord Europa possa rimanere intatto se i
loro principali mercati sono danneggiati. Chi dovrebbe comprare le esportazioni
dell’Europa se nel sud dell’Europa si è entrati in una spirale di recessione?
Come si può commerciare se non c’è più reddito, se non ci sono mercati?
Questo è un errore di progettazione, che porterà ad una depressione
già programmata e i mercati nazionali saranno strangolati dalle discussioni
su quali tetti mettere al debito e su quali misure di risparmio adottare,
sia in USA che in Europa. Chi dovrebbe comprare i beni? Sarebbe necessaria
la creazione di una dinamica di mercato sotenibile e locale, altrimenti
ci sarà un peggioramento nella crisi da sovrapproduzione e aumenterà
il rischio di speculazioni e il pericolo di nuove guerre.
H: Lei sostiene che il capitalismo attuale sia la causa dell’emarginazione
delle persone, della polarizzazione sociale e dell’espulsione dalle
terre ancestrali. Pensa che sarebbe possibile addomesticare il capitalismo
oppure queste caratteristiche sono troppo intrinseche?
PP: Questa domanda deve essere suddivisa. Da un lato abbiamo
bisogno di una produzione capitalistica con l’impresa, che è da tempo
parte del processo di svilupo. Qualcosa di molto diverso è il capitalismo
come regolatore sistemico, come asse dell’organizzazione dell’intera
società. Questo tipo di capitalismo oggi è in crisi. È impossibile
mantenere questa forma attuale di capitalismo, cioè quella che mette
la finanza a guida del mercato, la quale porta al capitalismo della
speculazione e alla dittatura della speculazione, anche nelle grandi
imprese. Anche le grandi imprese sono state schivizzate dalla logica
della speculazione. Dobbiamo, al contrario, liberare tutte le forme
di creatività. Dobbiamo aprire nuovi spazi per le imprese, anche per
le piccole e medie imprese, per le cooperative, per le iniziative di
auto-aiuto e per le comunità etniche, dobbiamo creare delle fonti di
energie sociali. Il sistema che abbiamo ora è da tempo che non sviluppa
più l’iniziativa, ma ci deruba dell’iniziativa.
H: Una domanda su un problema più specifico, l’accordo commerciale
dell’UE con 78 delle ex colonie europee. Al congresso di Friburgo lei
ha detto che questo accordo non dovrebbe chiamarsi “accordo di
partneriato europeo” (European Partenrship Agreements/ EPA) perché
in realtà si tratterebbe di un accordo di sfruttamento.
PP: Esattamente. Se la gente in Europa conoscesse i testi che
la Commissione europea ha negoziato oggi, sarebbero indignati, indipendentemente
dalla loro apprtenenza politica. Prediamo l’esempio degli appalti pubblici
(government procurement), che prevedono l’appalto delle città, dei
comuni e delle regioni. Nel caso dell’America latina questo significa
che con quegli appalti pubblici si avrà la sottomissione incondizionata
alle multinazionali.
H: Concretamente questo significa che il Ministro della Pubblica
istruzione dell’Ecuador, se volesse dotarsi di scuole o di università,
non dovrebbe comprare le attrezzature in Ecuador o in Brasile ma sarebbe
costretto a richiederle all’Europa?
PP: Si dovrebbero coinvolgere le multinazionali. Le faccio un
esempio che riguarda il latte: la produzione di latte in Europa è finanziata
con enormi sussidi. Ogni mucca in Europa riceve sovvenzioni più ricche
del reddito che guadagnano la maggioranza delle popolazioni del sud
del mondo. E ora l’Europa ci impone di aprire le nostre frontiere al
latte in polvere e con questo di distruggere la produzione di latte
dei nostri Paesi! Gli agricoltori e le comunità etniche saranno ridotte
alla fame.
L’intervista è a cura di Rolf-Henning Hintze (ex-redattore del “Frankfurter
Rundschau”, dell’NDR, dell’IPS e della Deutsche Welle, ora giornalista
freelance in Namibia.)
Pedro Páez: dal 2007 al 2008 è stato Ministro per il coordinamento
della politica economica e attualmente è presidente della commissione
ecuadoriana per una nuova architettura finanziaria regionale con lo
scopo di creare una “Banca del sud” (Banco del Sur) come alternativa
regionale al Fondo monetario internazionale (FMI). Páez è stato membro
della commissione Stiglitz alla Conferenza dell’ONU per il commercio
e lo sviluppo nel 2009. È economista e autore di diversi libri.
Fonte: „Alle Errungenschaften
der Nachkriegszeit stehen zur Disposition“
22.08.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di EULALIA