TRIPOLI LIBERA, MA NON MENZIONATE I CADAVERI

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DI LIZZIE PHELAN
english.pravda.ru

La guerra in Libia non è stata

solo una guerra che ha discolpato la pretesa della NATO di essere la

maggiore potenza militare del pianeta, capace di imporre la propria

volontà con un’aggressione diretta ovunque sia possibile, ma

è stata anche un conflitto che ha riasserito la potenza dei media

mainstream occidentali, non solo nel falsificare gli eventi, ma

anche nel crearli.

La prima vittoria dei media

è avvenuta con la denuncia che il governo di Gheddafi stesse attaccando

i propri cittadini a Tripoli dallo spazio aereo, una denuncia che ha

fatto parte del pretesto della NATO per l’intervento e che è anche

servita per seminare il panico e la rabbia tra i residenti della città.

Nessuno è stato ritenuto responsabile quando i satelliti dell’intelligence

russa e le visite degli osservatori indipendenti nelle zone che si pensava

fossero state colpite non hanno rinvenuto prove che gli attacchi fossero

realmente avvenuti.

Nella foto:la giornalista indipendente inglese Lizzie Phelan
Una delle menzogne più potenti

è stata sfornata addirittura dal Segretario agli Esteri britannico

William Hague che disse nei primi giorni della crisi che Gheddafi era

fuggito in Venezuela. Il governo libico ha ripetutamente fatto presente

che i propri mezzi di comunicazione erano totalmente incompetenti e

incapaci di fornire un’informazione alternativa e il risultato ha

fatto sì che il popolo libico, come quello di tutto il mondo, ha creduto

alle denunce che erano state prodotte. In questo ambito, l’esito sperato

era quello di creare una percezione tra i suoi sostenitori tradizionali

di un abbandono e di un tradimento. Naturalmente il signor Hague non

si è scusato per queste affermazioni irresponsabili quando, poco dopo,

Gheddafi ha mostrato la faccia nelle strade di Tripoli.

Più di recente, anche la BBC

ha elaborato qualcosa di cui scusarsi per aver sfacciatamente trasmesso

un filmato fasullo di una dimostrazione in India, volendo far credere

che fosse della Piazza Verde di Tripoli, per provare che la città fosse

stata conquistata.

Fabbricazioni simili sono proseguite

per sei mesi, quando i media hanno riportato che alcune zone

erano state “catturate” dai ribelli, quando, in realtà, queste

aree avevano subito un blitz dall’aria e dal mare con i razzi

NATO che avevano l’unico obbiettivo di distruggere ogni minaccia di

resistenza schierata contro i propri alleati, i ribelli.

Quando l’alleanza ha bombardato la

strada dei ribelli verso Tripoli, massacrando sul percorso almeno 85

civili nella città di Majer, i dirigenti delle centinaia di tribù,

comprese le più grandi – Wafalla, Tarhouna, Washafana e Zlitan -, hanno

riasserito la loro determinazione per difendere le loro zone e di calare

verso Tripoli se si fossero sentiti minacciati.

Nel frattempo, masse di uomini e donne

di Tripoli, che si erano riuniti nelle manifestazioni contro i ribelli,

erano sicuri che, se i ribelli si fossero fatti vivi in città, sarebbero

stati in grado di sconfiggerli con le armi che il governo di Gheddafi

aveva distribuito loro dall’inizio della crisi.

Poi molte di queste persone sono state

massacrate, sono fuggite o si sono nascoste. Potrebbero, o forse no,

aver sottostimato le possibilità senza ritegno della NATO, ma il racconto

dei media che Tripoli è caduta senza resistenza è contestato

dal fatto che è stato necessario un massacro di migliaia di persone

e almeno cinque giorni per stabilire un controllo instabile del CNT

sulla capitale, oltre che dai racconti dei testimoni oculari che hanno

descritto cosa è successo in quei cinque giorni e nei successivi.

Dall’inizio dei combattimenti a Tripoli

il 20 agosto, da quando io e altri 35 giornalisti siamo stati intrappolati

nell’hotel Rixos, è stato praticamente impossibile farsi un’idea

di quello che stava avvenendo nelle strade. In tutto quel periodo, il

suono delle bombe, delle sparatorie e degli altri armamenti pesanti

era praticamente ininterrotto, con le schegge e i proiettili che di

tanto in tanto si facevano strada nell’albergo. Come il resto del

mondo, l’unica informazione che avevamo, a parte i saltuari momenti

di comunicazione con i nostri contatti in città, veniva dai media

mainstream internazionali.

Fino dal giorno del mio rilascio, ho

iniziato a raccogliere informazioni dai residenti nella capitale mancando

le fonti che erano riconosciute internazionalmente come “indipendenti”.

Il resoconto segue si basa su questi racconti e l’identità delle

fonti deve essere mantenuta segreta per via dell’individuazione sistematica

di chiunque manifesta slealtà nei confronti dei ribelli, come ho potuto

verificare, anche solo sfidando la loro versione dei fatti con i

media.

Nel primo giorno successivo, i ribelli

delle cellule dormienti presenti a Tripoli sono usciti e hanno iniziato

ad attaccare i posti di blocco in mano alle forze speciali libiche.

Come al solito nella loro avanzata verso la capitale, hanno dovuto subire

una sconfitta iniziale. Ma con le prime immagini dei ribelli all’interno

di Tripoli che affioravano in tutto il mondo, la NATO si è assicurata

di far durare la cosa. L’organizzazione incaricata di “proteggere

i civili” si è rapidamente mossa per bombardare tutti i posti

di blocco di questa città densamente abitata. La vasta maggioranza

era controllata da volontari, gente comune che era stata armata con

i kalashnikov dall’inizio della crisi, per permettere ai ribelli di

entrare facilmente in città dal mare e via terra. (Vedi le immagini

allegate di una madre e della figlia diciassettenne, entrambe volontarie

per presenziare un posto di blocco a Tripoli.)

Dopo di che masse di giovani e di altri

residenti della capitale che sono usciti nelle strade per difendere

la loro città come avevano giurato di fare nel corso delle adunate

di massa sopra menzionate.

Il giorno seguente, la NATO ha risposto

con un attacco intensificato. I testimoni oculari riportano che durante

il giorno la stazione emittente di Tripoli è stata bombardata, uccidendo

decine di persone. Poco dopo i ribelli hanno affermato di avere il controllo

della TV libica e i media internazionali hanno doverosamente

ripetuto, bloccando ogni accenno a come la presa era stata realizzata.

In aggiunta alla campagna mediatica

per fomentare il caos, le notizie sui figli di Gheddafi che erano stati

catturati e che Gheddafi con gli altri membri della famiglia era fuggito

dal paese sono continuate a sgorgare dalle televisioni di tutto il mondo.

Essendosi abituate a questo tipo di

operazioni psicologiche progettate per indebolire il sostegno della

gente per il governo facendogli credere che li avesse traditi, le masse

non hanno creduto a queste affermazioni e hanno marciato verso la Piazza

Verde. Dall’interno del Rixos, nei brevi periodi in cui la linea telefonica

si ravvivava, i miei contatti nella città che in quel momento erano

in Piazza Verde, mi hanno informato che Muammar Gheddafi era stato visto

in città con la sua mimetica sollecitando la gente a rimanere saldi

e a non essere imbrogliati dall’infaticabile propaganda occidentale.

Questo era già stato riportato da ulteriori contatti di altri residenti

che erano presenti nell’occasione.

Dopo i bombardamenti senza sosta le

masse sono state spinte verso il compound di Gheddafi a Bab al-Azizia

dove hanno resistito all’avanzata dei ribelli per altre 24 ore. È

in questi momenti che Saif al-Islam – sin da questo momento i media

e la Corte Penale Internazionale hanno insistito per la sua cattura

e il suo arresto – è comparso al Rixos hotel dove eravamo intrappolati.

Calmo e fiducioso, ha portato un gruppo di giornalisti verso Bab al-Azizia

dove, al ritorno, questi hanno confermato di aver visto migliaia di

persone dentro e fuori la struttura sventolare la bandiera verde, tra

cui figuravano le tribù che si erano impegnate a farlo e gente da tutta

la nazione.

Ma come la marcia pacifica nelle montagne

occidentali che il 24 luglio fu attaccata dalla NATO e dai ribelli,

la folla a Bab al-Azizia è stata sconquassata dal bombardamento della

NATO per poter consentire un ingresso ai ribelli e gli attacchi degli

elicotteri d’assalto Apache.

Lo stesso destino è stato provato

da chi si è riunito nella Piazza Verde. Solo Bab al-Azizia è

stata bombardata 63 volte in questo periodo di tempo.

Con la Piazza Verde e Bab al-Zizia

controllate dai ribelli, la resistenza è proseguita in aree come

il quartiere più povero di Abu Saleem, che poche settimane prima

aveva assistito a una dimostrazione di massa contro l’aggressione

della NATO a supporto della Jamahiriya. La lotta contro i ribelli si

è infiammata anche a Salah Eldeen e El Hadba.

Armati di kalashnikov e di armi

portatili anticarro, i cittadini di queste zone – che hanno combattuto

contro otto tonnellate di bombe, gli elicotteri, le forze speciali statunitensi,

europee e degli Emirati Arabi Uniti e i ribelli forniti dell’armamento

sofisticato della NATO – sono diventati carne da macello e hanno formato

pile di cadaveri che venivano stati allineati ai lati delle strade.

Da allora, ogni area nota per aver

sostenuto Gheddafi è stata bombardata o è stata soggetta

a incendi e saccheggi nella case e negli appartamenti. Persino i

media mainstream sono stati incapaci di ignorare l’individuazione

sistematica e il linciaggio di chiunque avesse la pelle nera. È ben

noto che gli oppositori di Gheddafi odiavano la retorica e le politiche

a sostegno dell’Africa nera.

Quando Sirte, Sabha e Beni Walid erano

le ultime zone che ancora combattevano con la bandiera verde innalzata,

i ribelli dicono di aver dato una scadenza prima di avviare una “risposta

militare”, implicando che, nel frattempo, sarebbe stata perseguita

una soluzione non militare. E ancora i media non sono riusciti

a sottolineare l’ipocrisia dell’alleata dei ribelli, la NATO, che

stava bombardando diffusamente queste zone.

Gli stessi media hanno fatto

propria senza critiche la linea della NATO che gli obbiettivi erano

esclusivamente “forze di Gheddafi” di fronte all’evidenza

contraria che si manifestava davanti ai loro occhi e in assenza di una

qualsiasi indagine indipendente sulla conta dei morti provocata dalle

30.000 bombe che si stima siano state sganciate negli ultimi sei mesi.

Gli ultimi dati concreti del secondo

giorno di combattimenti ha portato la conta delle vittime nelle dodici

ore di combattimenti solo a Tripoli intorno alle 1.300 vittime con 900

feriti. Ben distanti dall’immagine di una città conquistata senza resistenza,

questi dati mostrano che Tripoli è caduta con una massa di resistenti

che sono stati massacrati.

Come accaduto a Zlitan e Zawiya, le

stesse atrocità commesse a Tripoli sono state inferte a Beni Walid

e Sirte con la complicità totale e silente dei giornalisti e degli

osservatori “indipendenti” presenti sul terreno. Questa è

la “Libia libera”, finché le migliaia di morti e la censura

che le nasconde saranno ancora silenziate.

**********************************************

Fonte: “Free Tripoli” – just don’t mention the corpses

03.09.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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