Di Federico Degg per comedonchischiotte.org
È bene ricordare che in primis, con il termine “cultura”, si fa riferimento a tutto l’insieme di usanze, costumi e tradizioni che caratterizzano la vita quotidiana un gruppo sociale o di una popolazione situata in una precisa area geografica. Cucina, vestiario, stili di vita, celebrazioni e momenti di festa, racconti orali e forme d’espressione musicale tramandate di generazione in generazione sono solo alcuni degli aspetti mediante cui è possibile guardare più da vicino alla sfera dell’esistenza di persone e popoli geograficamente lontani o straordinariamente vicini, lasciandosi stupire dal fascino e dalla peculiarità di tradizioni che ci erano ancora sconosciute.
Questo articolo, dunque, si propone di avvicinare il pubblico di lettori a due affascinanti tipologie di canto tradizionale dalle origini lontane nel tempo ma tutt’ora vivissime, uniche nella loro ancestrale peculiarità, estremamente simili fra loro per proprietà acustiche ma appartenenti al patrimonio di popoli e terre che non potrebbero sembrare più lontani: le repubbliche dell’Asia Centrale, in particolare la regione siberiana di Tuva e la Mongolia, e la nostrana, meravigliosa isola della Sardegna.
Stiamo parlando dello khöömei tuvano e del cantu a tenore sardo, due forme canore catalogabili nella categoria del canto armonico o difonico – oppure, per utilizzare la più calzante definizione inglese, “throat singing”, “canto di gola o gutturale”. Vengono identificati come “canto armonico/difonico” tutti quegli stili e tecniche vocali mediante cui è possibile emettere più note musicali in armonia fra di loro allo stesso tempo, due o tre al massimo: colui che canta, oltre a produrre e mantenere costante una nota di base (detta “fondamentale”), riesce, attraverso specifici movimenti delle labbra, della gola, della lingua e della laringe, a rendere udibili una o due ulteriori note, selezionandole dagli armonici naturali già presenti nella voce umana ma normalmente non udibili [1]. Vi sono non poche culture che praticano tradizionalmente varietà di canto armonico nel mondo – alcune tribù sudafricane, i monaci del Tibet e addirittura gli Inuit -, ciascuna con proprietà acustiche e finalità molto diverse fra loro; lo khöömei e il cantu a tenore si contraddistinguono in particolare per il loro suono ricco, profondo e gutturale, per la molteplicità e la raffinatezza delle tecniche e del repertorio associato, e per analoghe e ipotetiche origini sospese nella leggenda.
Khöömei
“Khöömei” deriva esattamente dal termine con cui si indicano la gola e la laringe in diverse lingue turche, famiglia di cui fa parte l’idioma parlato nella repubblica di Tuva. Facente parte della Federazione Russa, abitata da poco più di trecentomila persone, situata nella Siberia centro-meridionale e caratterizzata per la maggior parte da montagne, colline e steppa, Tuva vanta un insieme di tradizioni autoctone che tuttora ricoprono un ruolo di primo piano nella vita dei suoi abitanti. L’originario sciamanesimo terapeutico di matrice animista convive con il buddhismo tibetano e addirittura si integra con la medicina moderna negli ospedali; la città non ha spedito nel dimenticatoio la vita seminomade nelle yurte, e al ricco e affascinante campionario di strumenti musicali dell’area continuano ad accompagnarsi nel passaggio da una generazione all’altra i vari raffinati stili del canto gutturale, che parrebbe essere nato proprio in territorio tuvano.
Lo khöömei si declina in precise varianti, ciascuna di esse caratterizzata da uno specifico effetto acustico e dall’analogia con una o più sonorità del mondo naturale. Il kargyraa, una delle due varianti principali, prevede che sulla nota fondamentale venga eseguito il suo corrispettivo più basso di un’ottava: si ottiene così un suono ruvido, vibrante e cavernoso, per alcuni simile al verso del cammello o ai violenti venti invernali che scuotono i monti e la steppa. Più soffice e meno tenebroso è lo stile khöömei (il termine indica sia l’insieme di tecniche che una delle specifiche varianti), che richiama il sibilare del vento fra le rocce, mentre ancora più incredibile e suggestivo è il sygyt, tecnica che permette di produrre in contemporanea alla nota fondamentale un vero e proprio fischio ad alto volume volto ad evocare i canti degli uccelli, il quale sembra provenire da uno strumento a fiato piuttosto che dalla voce umana. Seguono ulteriori stili volti a imitare vocalmente il ritmo dei cavalli al galoppo, lo scroscio dell’acqua nei torrenti, oppure a unire fra di loro sonorità opposte come nel chylandyk, complesso esercizio di fusione fra sygyt e kargyraa.
Le somiglianze con i suoni della natura non sono per nulla un effetto casuale o un paragone a posteriori: secondo l’interpretazione condivisa dalla maggioranza dei tuvani, infatti, gli stili dello khöömei sono nati proprio allo scopo di aiutare il cantore ad entrare in armonia con le forze e gli spiriti che abitano il mondo naturale, imitandone con la voce le manifestazioni sonore. Idea, questa, in perfetta consonanza con il carattere fondamentalmente animista della spiritualità tuvana e siberiana in generale; ciononostante, va precisato che nessuna delle tecniche vocali sopra esposte viene impiegata all’interno dei rituali sciamanici, dettaglio che rende ancora più interessante e multiforme l’atavico animismo della popolazione di Tuva.
Oltre alla grande diffusione nel contesto popolare locale e nelle ensemble nazionali, lo khöömei è elemento principale del repertorio di diversi gruppi musicali nati a Tuva dopo la caduta dell’Unione Sovietica e diventati nel tempo conosciuti a livello internazionale grazie alla fusione di brani ed elementi del folklore con un approccio melodico più contemporaneo. I principali esponenti di questa “scena” sono gli Huun-Huur-Tu, i Chirgilchin e gli Yat-Kha – questi ultimi improntati su un maggiore sperimentalismo e sulla contaminazione fra le tecniche khöömei, il rock e la musica elettronica.
Cantu a tenore
Le varietà dello khöömei si possono riscontrare anche nelle regioni limitrofe a Tuva, soprattutto in Mongolia, dove godono di una crescente popolarità [2], e nelle repubbliche federate siberiane situate attorno ai monti Altai. Ma stupisce molto di più scoprire che due delle tecniche praticate da sempre a Tuva hanno dei precisi equivalenti in termini acustici a migliaia di chilometri di distanza, nell’altrettanto ricco e affascinante mondo canoro della Sardegna.
Nell’incontaminata e montuosa zona centro-nord-orientale della grande isola, in numerosi centri abitati della Barbagia, della Baronia, dell’Alta Ogliastra e della provincia di Sassari, sopravvive e anzi fiorisce tutt’oggi il cantu a tenore, una forma di canto corale praticata da quattro persone, i cosiddetti tenores (che nulla in realtà hanno a che vedere con il “tenore” dell’opera lirica): collocati l’uno attorno all’altro in una sorta di cerchio, ognuno di loro esegue una determinata “voce” caratterizzata da precise e differenti connotazioni tecniche e sonore.
Queste quattro voci, ordinate in termini decrescenti di altezza, si chiamano su boche, su mesu boche, sa contra e su bassu: alla prima, la voce solista, spetta il compito di intonare la melodia vera e propria del brano e di cantarne il testo, un componimento poetico in lingua sarda che può abbracciare svariati registri e tematiche; le altre tre voci non cantano alcuna parola, bensì seguono su boche intonando un accompagnamento ritmico costante fatto di onomatopee e sillabe, molto articolato e incalzante, che grazie alle armonie di sa contra e su bassu si arricchisce di uno spessore vibrante e di una profondità sonora inusuali e affascinanti. Sono proprio queste ultime due voci, le più basse, ad utilizzare le tecniche di canto difonico già vista a Tuva: l’effetto sonoro di sa contra ricalca pari pari lo stile khöömei, mentre il tenore che impersona su bassu produce un equivalente del ruvido e cavernoso kargyraa.
Una somiglianza stupefacente, se si pensa a quanto distanti fra loro siano queste culture e all’improbabilità di un loro contatto nel corso della storia. A risolvere l’incredulità e a dare coerenza alle somiglianze vi è l’origine che entrambe le società attribuiscono alla loro tradizione canora. In Sardegna, essa ha radici nel mondo pastorale, nella storica e ancora attuale convivenza fra il popolo sardo, gli animali e una natura tanto aspra quanto sublime. Secondo una leggenda, ciascuna delle voci ritmiche del coro deriva infatti da determinati suoni dell’ambiente e della vita pastorale: sa mesu boche nasce dal sibilo del vento e dal campanaccio delle pecore, sa contra ricalca il belato della pecora e su bassu imita invece i versi delle mucche. Stesso concetto alla base degli stili tuvani, cambia solo il contesto storico-culturale alla base delle due società: ad essere centrale in Sardegna è il carattere agreste, mentre a Tuva ricopre maggiore importanza la spiritualità animista [3].
Le sottigliezze tecniche delle voci del cantu a tenore variano addirittura da comune a comune [4] e la provenienza di ciascuna ensemble resta un fattore centrale – nella denominazione di ciascun quartetto, prima del nome ufficiale, non manca mai l’indicazione geografica (es. Tenores di Bitti “Mialinu Pira”, Tenores di Orosei, Tenores Supramonte e via dicendo). Lo stile vanta inoltre un vasto repertorio, declinato a seconda dell’occasione: i tenores possono trovarsi ad armonizzare brani destinati al ballo in un contesto paesano, serenate d’amore dedicate ai novelli sposi (specialmente a Orgosolo) o canti liturgici; esistono addirittura particolari “gare” informali di improvvisazione poetica, sempre sul tappeto sonoro delle tre voci del cantu [5]. Anche il repertorio testuale, ovviamente, varia, includendo sia componimenti d’autore appartenenti al patrimonio poetico in lingua sarda che motivi di vario genere della tradizione popolare.
Non vi è allora miglior modo di concludere questa panoramica sui due patrimoni culturali immateriali (riconosciuti come tali anche dall’UNESCO) dello khöömei e del cantu a tenore con il filmato dell’esibizione che segue: un incontro musicale fra i cantori di entrambe le tradizioni. Dalle montagne e steppe asiatiche ai massicci selvaggi della Sardegna si innalza un unico tappeto sonoro di voci in coro per incarnare, celebrare e riavvicinarsi alle genuine e ataviche armonie della natura.
Di Federico Degg per comedonchischiotte.org
NOTE E FONTI
[1] In parole povere, ogni qual volta ci mettiamo a cantare intonando una determinata nota, nella nostra emissione vocale sono insite ma non udibili tutte le altre note della scala musicale in armonia con la fondamentale che stiamo intonando. Mediante l’esercizio delle tecniche di canto difonico è possibile rendere udibili queste “note nascoste”, così da ottenere l’incredibile sensazione sonora di star udendo intonare dalla stessa voce e dallo stesso cantante più di una nota musicale allo stesso tempo.
[2] Grazie al potere di diffusione di YouTube e di Internet in generale, negli ultimi dieci anni diverse band e artisti della Mongolia hanno popolarizzato in tutto il mondo la pratica del throat singing, contribuendo ad associarla nell’immaginario occidentale con la cultura storica e guerriera mongola più che con quella spirituale e pastorale tuvana.
[3] Va precisato che nell’attuale patrimonio folkloristico sardo non mancano affatto elementi rituali strettamente connessi al mondo agreste: un esempio sono le famose rappresentazioni dei Mamuthones a Mamoiada e dei Bòes e Merdùles a Ottana nel periodo del Carnevale, maschere dall’aspetto quasi tribale derivanti da divinità precristiane della civiltà nuragica (Maimone, la divinità della pioggia) e da antichi riti propiziatori. Ma questo è un solo altro capitolo delle affascinanti tradizioni dell’isola.
[4] Per approfondire nel dettaglio: https://www.youtube.com/watch?v=-h2IbeGdGd0&list=WL&index=4&t=264s
[5] Per chi volesse saperne di più, vi è una serie documentaristica a puntate dedicata all’approfondimento del cantu a tenore in tutte le sue declinazioni, realizzata interamente in lingua sarda: https://www.youtube.com/watch?v=nTUp6ZE_kso&list=PLHyrnFGe2F06aT1yl8N8f1aZ1pBDjwoK1