DI F. WILLIAM ENGDAHL
Global Research
Nel mondo della globalizzazione sta emergendo progressivamente un punto di divisione che assumerà un significato profondo nelle nazioni del G7, nella loro economia e stabilità politica.
Tale punto di divisione trova luogo tra le nazioni che sono ancora inserite nel sistema del dollaro, inclusa l’Eurozona, e le economie emergenti – in particolare il BRIC, ovvero Brasile, Russia, India, Cina –, dove nuovi mercati economici e regioni stanno rimpiazzando rapidamente la loro eccessiva dipendenza dagli Stati Uniti come mercato primario di esportazione e fonte per il finanziamento degli investimenti. La conseguenza di lungo termine sarà l’aggravarsi della tendenza degli Stati Uniti ad essere oramai una superpotenza politica ed economica in declino, mentre sorgeranno nuove e dinamiche zone economiche, seppur inizialmente con importanza regionale.
Il primo grande asset differenziale che nazioni come Cina, Indonesia, India e Brasile posseggono è uno dei piú significativi deficit o difetti del vecchio mondo industrializzato, quindi di Stati Uniti, Regno Unito, Germania ed Europa in generale: il vantaggio demografico.
Ad eccezione della Russia, tutte le economie in crescita hanno una popolazione giovane e dinamica crescente. È interessante ricordare che la storia nascosta del “miracolo economico” tedesco pre 1914 era basata su un “segreto” simile – popolazione giovane e dinamica in rapida crescita, mentre quella di Gran Bretagna e Francia, dopo la Grande Depressione Inglese del 1873, era stagnante o in declino, con conseguente emigrazione di massa negli Stati Uniti.Non è accidentale che le principali élite politiche del G7 sostengano che la maggiore minaccia a livello mondiale sia l’alto tasso tasso di natalità negli stati in rapido sviluppo. Non eufemizzando, intendono realmente che la maggiore minaccia al loro continuo dominio sugli affari del pianeta sia l’espansione della popolazione nelle economie emergenti, con conseguente crescita di nuovi rivali.
Nuove regioni in crescita si affermano
Quasi con naturalezza negli ultimi 18 mesi, una volta che l’iniziale shock della peggiore crisi finanziaria ed economica dagli anni 30 ha iniziato ad attutirsi, la Cina ed i suoi partner commerciali piú prossimi insieme con le altre economie ad alto tasso di crescita hanno iniziato a cercare alternative al sistema morente del dollaro.
La presente crisi non è un epifenomeno destinato ad esaurirsi in breve tempo, come Ben Bernanke, il Segretario al Tesoro Tim Geithner e Barack Obama desiderano farci credere. È il riflesso di piú di 65 anni di una politica economica lacunosa da parte degli Stati Uniti, che ha assunto proporzioni epidemiche dopo la decisone di abbandonare il Gold Standard nel 1971. Per essere chiari, il Gold Standard alla pari dei suoi predecessori non era una magica panacea per l’economia. Ma lo strappo di Nixon nell’Agosto 1971 ha di fatto permesso a Washington di imbarcarsi in una politica finanziaria imperialistica che nella sue devastazioni degli ultimi 8 anni ha rovinato gran parte dell’economia mondiale.
Ad oggi il contrasto tra il declino del G7 e le economie emergenti con alto tasso di crescita della popolazione non potrebbe essere piú chiaro. Le nazioni del G7, dagli Stati Uniti alla Germania, cosí come l’Italia, stanno soffocando nel debito pubblico: 80% del PIL negli Stati Uniti, ben oltre il 100% in Italia, un instabile 199% in Giappone. Solo lo Zimbabwe con il 218% li supera. La percentuale tedesca è del 77%.
In contrasto, tra i paesi ad alto tasso di crescita solamente l’India ha un debito pubblico significativo, lascito dell’era coloniale britannica, attestato al 58% del PIL. Il Brasile, nonostante una grave crisi del debito negli anni ’80, ha oggi un indebitamento pubblico molto gestibile del 45%, mentre l’Indonesia, una delle economie a maggior tasso di crescita, del 34%. La Corea del Sud, grazie anche ad una radicata cultura del risparmio, ha un misero tasso d’indebitamento del 28% del PIL, la Cina del 18%. La Russia, che ha utilizzato i recenti proventi dell’esplosione del prezzo di gas e petrolio per ripianare i suoi debiti verso l’estero e nei confronti del FMI, ma che soffre al contempo una forte crisi demografica, ha nei dati del 2008 un debito pubblico del 6% del PIL. Nel frattempo, dopo la crisi dell’anno passato ha anche rinvigorito le proprie riserve in valuta estera portandole ad un livello di 404 miliardi di dollari nell’ultimo mese, occupando in questi termini la terza posizione a livello mondiale.
Quindi, mentre le economie di Stati Uniti ed Unione Europea sono strette nella morsa a forbice di due crisi gemelle, ovvero aumento del debito pubblico e decrescita del tasso di espansione demografica, all’opposto le economie emergenti di Asia ed Eurasia, cosí come il Brasile in Sud America, stanno esplodendo esattamente perché possono godersi i benefici di un basso indebitamento sul PIL combinato ad un alto tasso di crescita della popolazione.
In Cina, India, Indonesia e Brasile la crescita economica continua imperterrita. I governi non sono seppelliti da una montagna di debiti ed i cittadini possono continuare ad essere ottimisti sul proprio futuro. Questa divergenza, tra quelli che erano una volta ricchi e quelli che erano una volta poveri, sarà marcata come il fulcro di un cambiamento geopolitico nella storia del mondo quando sarà rivisitata dai futuri storici dell’economia.
Presi nella morsa di due crisi gemelle
L’aspetto piú rimarcabile della crisi è l’accurato screditamento della stessa da parte degli economisti occidentali, incluso ogni singolo vincitore del Nobel per l’economia. Le loro grandiose teorie a giustificazione del modello di globalizzazione imperniato sul “lassez faire” e sul “libero mercato” sono provatamente sbagliate, rivelandosi in effetti come un semplice stratagemma promozionale a supporto di una globalizzazione unilaterale. Si sono esposti ed ora, per usare un termine caro al narratore preferito della mia infanzia, il danese H.C. Andersen, il Re è nudo.
Il sitema del dollaro sul quale il loro mondo era strutturato da Bretton Woods, 1944, vive una incontrovertibile agonia. Ogni misura ad oggi proposta dalle due amministrazioni statunitensi – Bush ed adesso Obama – allo stesso modo di quelle del G7 si sono risolte nel dare dosi sempre piú pesanti di chemioterapia finanziaria ad un malato terminale. I sempre piú consistenti salvataggi a spese dei contribuenti per mantenere artificialmente in vita un sistema finanziario e bancario fallito stanno ancor piú peggiorando la salute dell’economia statunitense.
Gli aiuti record statunitensi promossi dal Settembre 2008, quindi in un periodo di soli 10 mesi, hanno portato il debito federale da un ammontare del 60% del PIL ad un enorme 80%. Il debito privato dei possessori di casa è adesso superiore al 100% del PIL, significativamente peggiore dell’anno di recessione 1974, quando si attestava ad un mero 40%.
Ancora piú allarmante, a discapito di ogni prospettiva di uscita dalla flessione economica statunitense, il tanto atteso fenomeno demografico ha lentamente iniziato ad avere effetto. Nei prossimi 1-3 anni l’impatto del numero record di pensionati della “Baby Boom Generation” colpirà. Saranno costretti, per vivere in pensione, a racimolare denaro dalla Previdenza Sociale ed al contempo vendere i propri 401k o similari investimenti in azioni e bond. In termini economici ciò significherà un ulteriore drenaggio senza controparte delle finanze pubbliche statunitensi in quanto la crescente disoccupazione tra i lavoratori giovani, le tasse dei quali sono necessarie per sostenere la Previdenza Sociale, aggraverà il debito pubblico nei prossimi anni portandolo ai livelli dell’Italia, o addirittura di Giappone e Zimbabwe. I disoccupati non pagano tasse. Attingono bensí dalle risorse pubbliche.
In Aprile, la vendita di auto in India è stata del 4,2% superiore di quella dell’anno precedente. Le vendite al dettaglio in Cina sono aumentate del 15% nel primo trimestre del 2009. La Cina crescerà intorno al 7-8% quest’anno, l’India al 6% e l’Indonesia al 4%.
Al contrario, utilizzando dati ufficiali largamente arrotondati per difetto, l’economia statunitense si è contratta nell’ultimo trimestre ad un tasso del 6,1% su base annua, quella europea ad un tasso del 9,6%, quella giapponese ad uno spaventoso tasso del 15%, qualcosa che somiglia molto al periodo del 1930.
In occidente, includendo il Giappone membro del G7, le banche sono overleveraged [hanno cioè un eccessivo rapporto di indebitamento. N.d.r.] e di conseguenza disfunzionali, i governi paralizzati dal debito, mentre i consumatori privati stanno a loro volta cercando di ridurre i loro pesanti carichi debitori. Gli Stati Uniti stanno avendo difficoltà a vendere il proprio debito a prezzi appetibili. Le ultime tre aste di buoni del tesoro sono andate male. Lo stato più importante, la California, si sta vvicinando ad un collasso fiscale totale. Il budget per il deficit fiscale annuale statunitense è destinato a sorpassare la quota del 13% del PIL, livello visto per l’ultima volta durante la Seconda Guerra Mondiale.
In contrasto a tutto ciò le banche dei paesi emergenti sono in gran parte sane e profittevoli. Ogni banca indiana, governativa e privata, ha dichiarato profitti nell’ultimo trimestre del 2008. I governi sfoggiano una buona forma dal punto di vista fiscale. La Cina ha le più consistenti riserve in valuta estera, 2 trilioni di dollari, ed un budget deficit di meno del 3% del PIL. Il Brasile dichiara adesso un attivo nella bilancia dei pagamenti. L’Indonesia ha ridotto il proprio debito da quota 100% del PIL ad un odierno 34%.
Diversamente dall’occidente, dove i governi sono senza soldi e senza nuove idee e stanno pregando affinché la cura funzioni, questi stati dispongono di opzioni di scelta. Solo un anno fa, preoccupazione dei loro leader erano un’economia surriscaldata e l’inflazione. Il Brasile ha tagliato sostanzialmente il proprio tasso d’interesse portandolo al 10,25%, il che significa che se le cose peggiorano può scendere ulteriormente.
Lo stato d’animo in molti di questi paesi rimane fortemente ottimista. Le loro valute si apprezzano nei confronti del dollaro perché i mercati li vedono fiscalmente più disciplinati e con prospettive di crescita maggiori nel lungo termine rispetto agli Stati Uniti. I loro bond crescono di valore. La combinazione di questi indicatori, tutti allineati nella stessa direzione, non ha precedenti.
Gli Stati Uniti rimangono il più ricco e potente stato del mondo. Il loro potere militare si estende in tutto il mondo. Anche se i suoi leader preferiscono non chiamarlo così è l’impero informale più potente della storia. Ma come gli egemoni che lo hanno preceduto è incappato in un declino irreversibile — l’Impero Spagnolo nel XVI secolo e l’Impero Britannico nel XX — le grandi potenze naufragano nel declino una volta oppresse dai debiti ed impantanate in una crescita lenta.
Titolo originale: “A Tale of Two Diverging Economic Worlds”
Fonte: http://www.globalresearch.ca
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10.06.2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FN