DI ENRICO GALOPPINI
Europeanphoenix.com
Tutti quanti – da “Porta a Porta”
al sito internet più “alternativo”, in buona e in malafede – provano
a dire la loro sulle cause della “crisi” e sui modi per uscirne.
Chi proponendo questa o quella “manovra” o “provvedimento”;
chi una “riforma delle istituzioni” partendo dal presupposto che
la via d’uscita sta nella “procedura”; chi, per la verità sempre
più minoritario ed attaccato ad un’idea politica, o “rivoluzionaria”,
della “soluzione”, indicando questa o quell’altra ideologia o
“nuova sintesi”…Ognuno crede o spera di avere l’uovo
di Colombo in mano, o almeno un pezzo della “soluzione”. Il pacifista:
“stop alle spese militari!”; l’ambientalista-decrescentista: “basta
con le grandi opere! torniamo al baratto!”; lo sviluppista: “sviluppo,
crescita e grandi opere!”; il leghista: “via da Roma ladrona, secessione!”;
il liberista: “c’è troppo stato [con la “s” minuscola], liberalizziamo
tutto!”; il comunista: “statalizziamo tutto!”; l’“antipolitico”:
“tagliamo gli stipendi d’oro dei parlamentari!”; il coscienzioso:
“finiamola con gli sprechi!”; la/il femminista: “più donne nei
posti di comando!”; l’anticlericale: “facciamo pagare l’ICI
alla Chiesa!”; l’antiberlusconiano: “se ne vada Berlusconi!”
(ed è stato l’unico effettivamente accontentato). Fino al completamente
rincitrullito dalla propaganda, il quale è stato convinto che “bisogna
sanare il debito!” (un “debito” completamente inventato dall’esistenza
della moneta-debito di proprietà delle banche private) e perciò farsi
tassare anche l’aria che si respira.
Qualcuno, timidamente, azzarda una
soluzione che faccia intervenire la “religione”, ma la sua voce
non è né forte né chiara, troppo compromessa con l’andazzo generale
e il sistema dominante, e perciò non credibile.
Pochi ammettono invece che questa “crisi”
è epocale e coinvolge tutti gli aspetti che caratterizzano sia l’essere
umano che il suo vivere comunitario. È una “crisi di civiltà”,
solo che la maggioranza delle persone non se ne rende ancora conto.
Ma prima di affrontare questo punto
essenziale, torniamo alle “soluzioni” proposte per ‘tamponare
la falla’ e tirare ancora un po’ avanti con questo cadavere in buona
salute che è la “civiltà moderna”, fintanto che il puzzo di morte
non diventerà insopportabile. Prendiamo l’ultima delle “soluzioni”
summenzionate, quella che prevede i classici “sacrifici”, le “lacrime”
e il “sangue”.
Ma per onestà morale ed intellettuale
bisogna considerare sia chi predica i “sacrifici” sia chi i “sacrifici”
è chiamato a farli.
Sorvoliamo per un attimo sul fatto,
non di dettaglio, per carità, che questa “crisi” è cercata, voluta,
consustanziale ad un sistema che si regge sul dominio del denaro, allo
scopo di facilitare il raggiungimento di determinati scopi nient’affatto
politici ed economici… Ma la regola numero uno che informa l’esistenza
sia di chi chiede i “sacrifici” ed ha il potere per imporli, sia
di chi questi “sacrifici” dovrà farli perché non ha via di scampo,
la regola numero uno è l’egoismo (predominio dell’illusione del
cosiddetto “io”) e la mancanza di “amore” verso il prossimo
(che genera l’egoismo). Si tratta, perciò, di temi sempre attuali,
che però i momenti di “crisi” esaltano particolarmente, perché
quando ci s’illude che “tutto va bene” è più faticoso fare i
conti con quello che è in realtà l’uomo nella sua “vita ordinaria”.
Da un lato, quello di chi chiede i
“sacrifici”, non si capisce infatti come possano dei ricconi sfondati,
dei privilegiati, dei personaggi che dal punto di vista materiale dalla
vita hanno avuto tutto (ma loro, sempre più “americanizzati”, si
diranno: “Mi sono fatto da solo! E tu, che vuoi da me?”), continuare
a guardarsi allo specchio senza provare un minimo di vergogna mentre
chiedono di “tirare la cinghia” a chi fa una vita che non sopporterebbero
nemmeno per mezza giornata. Li vorrei vedere, infatti, a stare alla
presse, ai turni di notte, nei cantieri al caldo e al freddo, ad asfaltare
le strade, in miniera fino a 65, ma no, a 67, magari facciamo a 70 anni…
E le loro mogli, con la domestica tutti i giorni e magari anche la donna
che viene a stirare (più la “tata” e la “dog-sitter”), a fare
la vita di poveracce che per 800-1.000 euro devono sputare sangue mattina
e sera.
Ma non provano un po’ di vergogna
ogni tanto queste facce toste? Ma dove ce l’hanno la coscienza?
Adesso, dal cilindro, la classe dei
dominanti ha tirato fuori l’idea dei “professori”, per la verità
nemmeno troppo originale perché è la stessa sfoderata ogniqualvolta
che ai “politici” non si può far fare la pessima figura di chi
ti ficca due canini nella giugulare per estrarne il prezioso e vitale
liquido.
Poi quelli, da bravi e rimpinzati “camerieri
dei banchieri”, dopo aver simulato di “farsi da parte” per “carità
di patria” ritorneranno a questuare il solito “voto”, dando la
“colpa” della “crisi”, che sarà peggiorata, a quei vampiri
mascherati da “professori”.
È ovvio che si tratta di un lurido
e meschino gioco delle parti. Di una sceneggiata degna di Totò e Peppino
che però non fa nemmeno ridere perché di mezzo c’è la vita concreta
delle persone.
Ma cosa gliene frega delle “persone”
a chi praticamente vive su “un altro pianeta”? Non so se ve ne siete
resi conto, ma questa gente che chiede “sacrifici” piagnucolando
a comando vive davvero una vita che in comune con quella della “gente
normale” ha solo il fatto di trovarsi nella medesima dimensione spazio-temporale.
Per il resto è completamente diversa, più comoda e agiata, dalla nascita
(in una lussuosa clinica privata con stanza singola, mentre la massa
viene al mondo “in batteria”) alla morte (sistemati in sfarzose
“tombe di famiglia” coi media che ci faranno “partecipare la dolore”
addirittura dopo il loro trapasso se eventualmente capiterà che la
bara venga trafugata: per la massa ormai ci sono i “funerali low cost”,
si fa per dire).
Verrebbe da pensare: ma se davvero
la “gente normale” a Lorsignori fa schifo e ribrezzo al solo pensiero,
tant’è che non ci si mescolano mai (con l’unica farsesca eccezione
della giratina pre-elettorale nei “mercati”), perché non se ne
vanno a vivere in totale separazione, il più possibile lontani, costituendosi
in “Regno dei ricconi”?
Eh no, non è possibile, perché
i loro privilegi sono fondati sullo sfruttamento del prossimo. Quindi,
in un certo senso, devono vivere “in mezzo a noi” per quel tanto
che gli basta per imporci tutto il loro sistema definito “legale”,
ma il più possibile “separato da noi” per quanto riguarda la vita
concreta (scuola, ospedali, spesa, quartieri abitativi, vacanze ecc.).
Comoda la vita in questo modo, eh?
Ci vuole davvero una bella faccia da…per
mettere una tassa sui libretti postali, quando si possiedono stipendi
e pensioni plurime, più emolumenti per consulenze varie e conti all’estero
(più partecipazioni azionarie ecc.). E non è moralmente ammissibile
che si architetti di tassare la prima ed unica casa, quando delle case
che si possiede s’è perso il conto.
Non si capisce davvero se questi personaggi
si guardano mai allo specchio, il quale, è noto, non riflette
mai l’immagine dei vampiri.
Sui privilegiati, che sono poi i più
arrivisti e scaltri, i meno empatici col prossimo, si potrebbe andare
avanti parecchio, ed è abbastanza facile criticarli perché
di spunti evidenti ne offrono parecchi.
Ma che dire di chi sta “dall’altra
parte della barricata”? Qui, apparentemente, dando retta ad una retorica
che attraversa sia ambienti “laici” che “religiosi” e che decanta
al meglio nel cosiddetto “cattocomunismo”, ci troveremmo al cospetto
di “sfruttati” ed “oppressi” (il che è senz’altro vero su
un determinato piano), di “pecorelle sbranate dai lupi”, della proverbiale
“gente onesta”. Mi riferisco naturalmente a quella massa che gira
e rigira tutta la vita nella stessa ruota, come un criceto, per “arrivare
a fine mese” (quando va bene) e magari anche qualcosa di più, ma
che sostanzialmente trascorre la vita passivamente, nell’acquiescenza
verso un sistema profondamente ingiusto perché “disumano”, con
costi esistenziali – anche a fronte di qualche “soddisfazione”
(la macchina nuova, la “bella casa”, il “viaggetto” eccetera)
– sempre più insostenibili.
Eppure, illudendosi d’aver percorso
chissà quanta “strada” nella routine, non ci si rende conto
di essere sempre fermi lì, nello stesso punto.
La “colpa” essenziale della famosa
“gente normale” (altrimenti detta “onesta” o “per bene”)
è quella di condividere in tutto e per tutto i valori, i punti di riferimento
dei dominanti. I quali, se ai piani altissimi sono a tutti gli effetti
dei dinasti (legati tra di loro con matrimoni come faceva la più classica
delle “nobiltà”), ai piani alti ed intermedi sono individui cooptati,
selezionati per le loro “qualità” da chi sta sopra di loro. Intendiamoci,
“qualità” che non sono affatto la “preparazione”, il “merito”
e – horribile dictu – il desiderio di operare per il “bene
comune”. In un certo senso, quindi, questa è una “società aperta”
per davvero, perché permette anche a chi nasce nei “piani bassi”
di accedere ai “piani alti”: sennonché il criterio di selezione
è perverso e privilegia i più arrivisti e scaltri, pronti a far la
pelle al prossimo, dimentichi addirittura delle eventuali “umili origini”
(non a caso questo sistema propone volentieri al gran pubblico gli esempi
di “gente normale” che ha “avuto successo” e s’è arricchita).
Per uno che “ce la fa”, però,
ve ne sono dieci che non ce la fanno. Ma dentro di sé condividono l’impianto
ideologico e valoriale dei dominanti, più o meno entusiasticamente,
talvolta perché non hanno sentito nessun’altra “campana” e scorto
perciò alcuna “alternativa” concreta. Ad eccezione di coloro che
non ne volevano sapere di “farcela” perché amano il quieto vivere:
solo che questo sistema alla fine non glielo permette, se intendono
mantenere un minimo decoro.
Ricapitolando: il sistema vigente si
regge su una ideologia (non è vero che le ideologie sono solo il “fascismo”,
il “comunismo”, il “socialismo”, eccetera) e una prassi fatta
di rapporti sociali, di lavoro eccetera, e l’una puntella l’altra.
Ma sopra di tutto esiste un “credo”. Eh già, vi fanno credere,
appunto, che solo i superstiziosi e “gli antichi” hanno e avevano
un “credo”. No no, questo sistema postula il credo del… “non
credere”! Che è pur sempre un credo. A parte alcune pittoresche eccezioni
buone per fare un po’ di “colore”, l’andazzo vigente, per poterlo
sopportare, presuppone – sia che si faccia parte della minoranza dei
ricconi che della maggioranza della gente che “tira la carretta”
– la condivisione di una “idea” di fondo, che costituisce il perno
di tutto il resto (economia, politica, società, cultura, eccetera).
In fondo, lo schiavo migliore è quello che non sa di esserlo, quello
che aspetta che altri vengano a liberarlo, quello che quando la casa
del padrone va a fuoco si agita e strilla più dello stesso padrone.
Il perno attorno a cui ruota tutto
quel che le varie ideologie o tendenze culturali criticano settorialmente
(ne abbiamo dato un saggio all’inizio), individuando anche puntualmente
il dettaglio ma perdendosi nell’interpretazione di sintesi, è: “Credi
solo a te stesso, tanto dopo la morte finisce tutto”.
Da questo assunto, che lentamente è
penetrato nelle coscienze, con un lavorìo di secoli a opera di ambienti
turpi e osceni di cui fan parte quelli dei “piani altissimi” (i
quali per raggiungerli han dovuto eliminare fisicamente e svalutare
nell’immaginario collettivo chi li occupava precedentemente), da questo
assunto discendono tutti i disastri, i disordini nei vari ambiti. Da
ciò deriva la “crisi” di cui si parla tanto ma a sproposito, perché
non si vuol prendere atto che essa è totale, onnipervasiva, non dando
spazio a interpretazioni di comodo e parziali, né alla ricerca di facili
e rassicuranti “soluzioni”.
Se c’è un vantaggio in questa “crisi”
questo è la possibilità di accorgersi che non ha senso passare la
vita a “far girare la ruota” come un criceto. Un giorno, il cuore
del “criceto” smette di battere, e cosa dirà alla fine il malcapitato
quando “passerà oltre”? Potrà giustificarsi dicendo che lui, poverino,
conosceva solo la “ruota” e sapeva che più correva e meglio sarebbe
stato per lui?
Sbagliato! Perché il “criceto”
ha pensato solo a sé stesso, per tanto grande, bella e divertente fosse
la “ruota”, col mangime che arrivava puntualmente. E mentre lui
correva per dare piacere al padrone, gli altri “criceti” correvano
anche loro, ciascuno nella propria “ruota”, nemmeno sfiorati dal
dubbio che tutti quanti passassero la vita allo stesso inutile modo.
E attenzione, i criceti benestanti e privilegiati, tra l’altro, hanno
gabbie bellissime, pulite e spaziose, con ruote fantastiche! Pare vi
sia addirittura chi ha inventato una ruota che funziona grazie al movimento
di tante altre piccole ruotine: davvero una furbata, così evita di
ammazzarsi di fatica, ma anche lui gira tutta la vita in una “ruota”…
Ora, può un criceto (questa volta
intendo quello vero!) avere cognizione del fatto che non è stato creato
per girare solo e sempre nella ruota per soddisfare qualcun altro? No,
ma gli uomini possono saperlo perché sono stati informati.
Ogni tanto, anche il criceto-uomo più
affannato nella corsa dentro la ruota è assalito dal dubbio che “no,
non è possibile, la vita non può
essere questa!” E quello è il momento per cominciare a smettere
di girare a vuoto, prendere un gran bel respiro e porsi alla ricerca.
Di una “via d’uscita”. Dalla
“crisi”, che in un certo senso c’è sempre stata, ma che oggi,
se solo si smette di “girare” appare in tutta la sua evidenza. Per
questo, nella “crisi”, che ciascuno interpreta parzialmente e con
intenti “riformistici”, c’è l’uscita dalla “crisi” stessa.
Se la ruota non gira più e, dopo aver
preso fiato, ci si rende conto che non è poi troppo esaltante riprendere
a “girare”, la cosa più sensata da fare è mettersi alla ricerca.
Ma attenzione, perché si verrà circuiti e abbindolati con “ruote”
sempre più attraenti, di fronte alle quali è un’impresa titanica
resistere alla voglia di fare un giretto… Non bisogna farsi tentare.
Accade infatti che in ogni epoca c’è
sempre qualcuno che è riuscito a non farsi più tentare e ha smesso
di fare il “criceto”. Quel qualcuno ha realizzato (quindi non solo
“capito”) nel suo stesso “essere” (colmando lo iato tra “il
dire e il fare”) che non siamo stati creati per girare a vuoto tutta
la vita in quella “ruota” che è il nostro ego. Ma tutti ci siamo
convinti che ciascuno deve “correre da solo”, e questa è la radice
dell’egoismo su cui si basa tutto questo sistema che poi non ci piace
in questo o quell’aspetto. Un egoismo “trasversale”, che accomuna
sia i privilegiati che la “gente normale”, sia gli “oppressi”
che gli “oppressori” della retorica ideologica.
Non ha detto forse Gesù “ama
il prossimo tuo come te stesso”? Chi è in grado, oltre che proclamare
quest’insegnamento, di realizzarlo? Solo chi, dopo un’ascesi rettamente
orientata e con l’ausilio della misericordia divina, riesce a trascendere
il proprio “io” illusorio. Ma il guaio è che oggi sono addirittura
poche le persone che “amano se stesse”, figuriamoci il “prossimo”!
Ecco che si capisce che “amare se stessi” davvero, fino in fondo,
non è affatto facile, ma è la precondizione per amare anche il “prossimo”.
Chi riesce a trascendere i limiti del
proprio “io” illusorio è propriamente detto un “santo”. Egli
non vive più secondo i propri schiribizzi e le convenzioni dell’epoca,
ma vive secondo la “legge di Dio”. E la “legge di Dio” è sempre
stata comunicata, in ogni epoca, a tutti gli uomini: ciascuno vi si
adegua come può, a seconda della propria “volontà” (qui sta il
“libero arbitrio”), ma solo pochissimi vi si conformano vivendola
integralmente.
Ma figuriamoci se nel Duemila bisogna ancora credere ai santi! I “santi”
– quando non li hanno già depennati – non sono solo sul calendario?
Tutt’al più sono sopportabili dei “guru”, dei “santoni”,
dei personaggi buoni per qualche “consiglio morale” (tra cui oggi
abbondano “intellettuali”, cantanti e attori!).
Eppure… l’essere umano, se non
esistessero alcuni, viventi, che sono stati in grado, grazie ad una
ascesi, di trascendere la propria ristretta individualità, il proprio
egoismo, l’essere umano verrebbe semplicemente a sparire, riducendosi
ad una scimmia ed in ciò inverando al contrario la “teoria dell’evoluzione”…
Questo vuol dire che tutti devono diventare
“santi”? Non è possibile letteralmente, poiché l’ambito della
spiritualità è l’unico in cui non è possibile barare. Esso è “élitario”,
“selettivo” di fatto, non perché qualcuno ha posto qualche “convenzione”
o “regola”. Però in un certo senso l’affermazione corrisponde
a realtà, poiché è possibile ricevere da essi un esempio ed una “influenza
spirituale”.
Il mondo intero può beneficiare
ormai solo dalla presenza dei santi, gli “amici di Dio”. Essi ci
ricordano che l’egoismo, l’individualismo, l’incapacità di trascendere
i propri limiti (“io sono fatto così!”) e di vedere se stessi negli
altri (“io sono il centro del mondo!”) seminano discordia, veleno,
trasformando quello che potrebbe essere un “paradiso” in un “inferno”.
Lo scopo dell’”Avversario” dell’uomo,
infatti, contro cui hanno combattuto, sconfiggendolo, proprio i santi
d’ogni epoca, e che per questo bisogna il più possibile frequentare
ed ascoltare conformandosi al loro insegnamento ed esempio, lo scopo
dell’unico vero “avversario” dell’uomo (che non sono “gli
altri”, né, alla fine, “il mondo” che non ci piace) è quello
di non farci scorgere che “Dio è bello ed ama la bellezza” e che
tutto, ma davvero tutto, risponde ad un piano ordinato “a fin di bene”,
per il nostro bene; solo che rinserrandoci nelle nostre piccole individualità,
nelle paure d’ogni tipo che questo sistema inocula come il veleno,
girando all’infinito nella ruota del criceto non ci accorgiamo della
grande irripetibile occasione che ci è stata data e di cui ci accorgeremo
solo dopo che… la ruota avrà smesso di girare perché il nostro cuore
si sarà fermato.
I santi hanno questa funzione. Stanno
a ricordarci, ad ammonirci col loro esempio e la connessione col divino,
la fonte dell’Essere, che questo mondo è solo una “palestra”,
un “trampolino di lancio”, non una ruota da criceti. Che questo
mondo non ha alcunché di “sbagliato” ma siamo noi che lo rendiamo
sempre più opaco coi veli della nostra “ignoranza” e mancanza d’amore.
Che ogni istante è un’occasione per fare dei “progressi”, per
migliorarsi e, per contagio, migliorare gli altri. Ma attenzione al
“fai da te”: come per ogni viaggio in un terreno inesplorato, serve
una “guida”.
Che cosa diremo quando saremo chiamati
a rendere conto di come abbiamo sfruttato questa “occasione” che
è la vita? Che per colpa di questo fatto o quest’altro, o di quel
tale o quell’altro, non “abbiamo avuto tempo”? Che cosa diranno
i ricconi, i privilegiati che chiedono “sacrifici” agli altri, gli
adoratori più o meno inconsapevoli (c’è sempre un certo grado di
inconsapevolezza in questo) del Demonio? Avranno una scusa i “poveracci”,
la “gente normale”, quella che “tira la carretta” quando tenteranno
di giustificarsi dicendo che non avevano alternativa al girare nella
ruota da criceto anche quando quell’unica volta nella vita, chissà
per quale combinazione irripetibile, sono stati assaliti dal dubbio
che oltre quella gabbietta ci fosse “un’altra vita”?
Nell’Islam si dice che bisogna “tenersi
saldi alla corda di Allah” (habl, da cui l’inglese cable). Che cosa
vuol dire? Vuol dire mantenere – grazie al contatto con i “santi”
(da soli non ce la si fa!)- una connessione col divino, la fonte dell’Essere,
l’unico che realmente “è” e che può dire “sii, ed essa [la
cosa] è”. Non a caso nella lingua araba non esiste il verbo “essere”:
chi può sensatamente affermare di “essere”? Tutt’al più “esiste”,
perché è stato fatto esistere. Nel mondo di oggi, tutti “sono”,
si credono “qualcuno”, identificandosi con la propria vita da criceto
che gira nella ruota.
Passata la “crisi”, o meglio la
sensazione di una “crisi”, i criceti ricominceranno a correre più
veloci di prima, quando, almeno, qualche dubbio era venuto… Non è
forse quello il momento di smettere di girare a vuoto?
Fonte: Solo un santo ci può salvare dalla “crisi”…
25.12.2011