DI GAITHER STEWART
Online Journal
“Quando è autentico, il credere è incerto come l’esistenza” —
Nicola Chiaromonte, Credere e Non Credere
La solidarietà è, tra i progressisti, una parola fondamentale che li differenzia dalla destra. La solidarietà è anche il legame fondamentale che unisce gli esseri umani in ogni tempo e in ogni luogo. Uno tsunami colpisce l’Asia e altri esseri umani si organizzano per correre in aiuto. Un uragano colpisce i popoli del Golfo e altre nazioni, solidali, corrono in loro aiuto.
L’istinto per la solidarietà è nella natura della razza umana. La solidarietà parte dall’idea che tutti gli uomini siano fratelli, di comune origine. Al livello più basilare la solidarietà è il senso di partecipazione nelle difficoltà e nelle fortune degli altri. Ad un livello politico e sociale la solidarietà esprime l’accordo di molti che aspirano ad aiutarsi l’un l’altro. In un mondo occupato dal progresso economico e scientifico al prezzo di un crescente divario tra ricchi e poveri, la sopravvivenza dell’istinto umano alla solidarietà non è mai stata tanto essenziale. Da questo punto di vista, la solidarietà non è un ideale astratto. È un dato di fatto che l’umanità sia composta per i 4/5 da persone che non hanno nulla.
La solidarietà è una pietra angolare della condotta morale. Essa riflette il desiderio ad essere una buona persona. Il solidarismo è una dottrina etico-sociale fondata sul principio che l’essere umano, sebbene rimanga un individuo, realizza se stesso in una società naturale– composta ad esempio dalla famiglia e dalla nazione e, oggi, dall’intero universo–i cui membri sono legati dalla solidarietà. Il solidarismo rivendica una base storica e giuridica dal fatto che ogni essere umano beneficia del patrimonio che gli viene trasmesso dalle generazioni passate; egli è indebitato verso il passato e dovrebbe compensare ciò aiutando i suoi contemporanei.
Eppure, dopo queste definizioni, riconosciamo che nella pratica la solidarietà sociale viene contraddetta dalla struttura classista della società e dai conflitti che ne risultano. Soprattutto l’idea di solidarietà viene annientata dall’esistenza della guerra. È inconcepibile che un governo di guerra possa richiamarsi ai principi della solidarietà sociale.
Perché parlare di solidarietà?
La società industriale ha reso il progresso scientifico un feticcio– No! Non semplicemente un feticcio, ma un dio. Le elezioni politiche mostrano che i movimenti politici di maggiore successo sono quelli che promuovono meglio il vago concetto di progresso economico. Eppure la natura del progresso è elusiva. Sebbene, in teoria, il progresso garantisca la felicità per il maggior numero possibile di persone, esso è contraddittorio perché ignora cosa sia meglio per quella minoranza, negletta nelle società avanzate, che più ha bisogno della solidarietà.
In ogni caso noi non sappiamo esattamente cosa sia la felicità e nemmeno come misurarla. Forse essa consiste semplicemente in uno stato libero da sofferenza, o in uno stato senza troppa sofferenza. Qualcosa di vicino al benessere. D’altra parte è discutibile che un tale genere di felicità sia lo scopo ultimo della vita umana, come ho suggerito nell’articolo: Comfort and Ease. Vale la pena di ricordare che la cultura protestante ha avuto inizio con il rifiuto, da parte di Martin Lutero, dell’intero concetto di felicità, espresso dalla sua tenebrosa teologia e Weltanschauung [visione del mondo n.d.t.] di ‘leiden, leiden, Kreuz, Kreuz’, cioè sofferenza e croce.
Un tempo la classe dirigente trovava vantaggioso mantenere la classe lavoratrice sulla soglia della morte per fame in modo da farla rimanere obbediente. Oggi essi sanno che è meglio dare loro abbastanza da renderli compiacenti–nelle società industriali una casa, una macchina e una televisione, ignorando la povertà di quanti rimangono. Il dio-progresso ci promette il massimo della felicità tramite il cambiamento delle condizioni materiali di vita. Eppure esso ha un effetto collaterale indesiderato: infetta la mente con una malattia contagiosa chiamata non-pensiero. Il risultato è che l’individuo non sa realmente se è felice o no. Questo il motivo per cui i leader politici al potere dedicano così tanti sforzi per assicurare al loro popolo che esso sta bene.
E questo è anche il motivo per cui abbiamo bisogno di agitatori: per dire alle persone che non sono felici. Che è davvero stupido essere felici nella loro situazione. Perché la verità è che molte persone si limitano ad esistere. Se non resisti e non ti ribelli significa che sei cieco. Perché chiunque ammetterebbe che è da stupidi accontentarsi di una vita con una casa, una macchina e una televisione.
Tutto questo per dire che il prezzo del progresso è alto per l’individuo. Inoltre–ed è qualcosa su cui riflettere–il progresso ad ogni costo non va nemmeno in accordo con la democrazia. Maggiore è l’impulso verso il progresso materiale, sembra, meno spazio rimane per la solidarietà e per la democrazia e, nel caso peggiore, più è vicino il totalitarismo.
Il paradosso è che il dio-progresso è l’unico dio universalmente accettabile che permetta alla gente di continuare ad essere fedele ai loro dei tradizionali, obbligati “dal voler credere”. Lasciamo che rimanga il vecchio dio, costruiamo altari per lui, adoriamolo con i riti dei giorni di festa tradizionale, recitiamo preghiere verso i cieli, nominiamolo nelle classi di scuola e nei discorsi alla nazione, andiamo persino in guerra per lui. Ma tutti i giorni l’adorazione e la venerazione e il riconoscimento sono riservati per il pragmatico e non democratico dio del progresso.
I filosofi ci dicono che la nostra non è un’era di fede. Che è piuttosto un’era di mala fede. Una ragione è che il dio-progresso ha poco spazio per valori reali come la solidarietà. Ciò significa che la nostra è un’era di convinzioni mantenute con la forza e il desiderio di convinzioni autentiche. La bandiera, i nostri valori, il nostro stile di vita non possono essere sufficienti.
Nelle società democratiche coesistono molte diverse opinioni tollerate e gruppi di interesse. Sebbene siano in opposizione l’uno con l’altro, i gruppi di interesse sono segnati da molteplici convergenze. Prendiamo ad esempio il partito democratico e repubblicano negli USA–sebbene ci siano delle tendenze prevalenti in ciascuno, ognuno contiene un po’ di tutto tanto che quando sono al potere sono più le convergenze che le divergenze.
Per questo gli estremisti all’interno delle società moderne amano parlare di mediocrità della democrazia. Deboli! Femminucce! Gente senza le palle di assumere una posizione! Mediocrità democratica la chiamano. Per esempio il sistema sanitario nazionale e quello del welfare sono il tipo di femminucce che non riescono a farsi strada. La vera storia di successo, predicano, è quella dell’uomo capace di sollevarsi tramite i lacci delle proprie scarpe.
Eppure la solidarietà preoccupa ogni essere umano. Solidarietà sociale e giustizia vanno mano nella mano–carità-solidarietà e un senso di giustizia uniti contro l’ingiustizia sociale. La giustizia è l’applicazione della carità-solidarietà. E la giustizia ha un autentico valore morale solo se viene compiuta a beneficio del povero e dell’oppresso.
Non ci può essere giustizia senza solidarietà. In questo senso slogan come ” l’America prima di tutto” sono non solo ingiusti, ma immorali.
Sinistra e Destra
In gioco qui vi sono i valori fondamentali che separeranno per sempre la sinistra e la destra. Come detto sopra, nella società avvengono alleanze, gruppi e movimenti si uniscono, a volte per ragioni tattiche, a volte per ragioni strategiche. Alcuni teorici, solitamente reazionari, hanno proclamato la morte delle ideologie, cioè la scomparsa di aspirazioni umanistiche. Non sono d’accordo. Concordo invece col professore di Harvard Michael Walzer che un tale discorso significherebbe “la chiusura delle possibilità di impegno pubblico intellettuale ed emotivo”. Un annuncio prematuro, scrive, “che rimane nelle nostre menti come le previsioni fastidiose”.
Dovremmo essere chiari su una cosa: sinistra e destra non potranno mai essere la stessa cosa. Molti fattori distinguono sinistra e destra: posizioni opposte sui ruoli di religione, tradizioni, razza, famiglia, nazione, libertà, democrazia, pace e guerra. Il criterio più frequentemente adottato per distinguere l’una dall’altra è la posizione sull’ideale di eguaglianza, un altro termine dichiarato morto.
Eppure l’uguaglianza riguarda un enorme numero di aspetti della vita: razza, classe, educazione, lavoro, opportunità, diritto di voto. Quando parliamo di eguaglianza bisogna rispondere ad alcune domande: eguaglianza per chi? Eguaglianza in cosa? Eguaglianza basata su quale criterio?
Gli egalitari favoriscono, in generale, qualunque cosa renda gli uomini più uguali. Cioè, l’aiutare il debole. Cioè, la solidarietà. Cioè, se necessario, Stato sociale e carità.
Dal momento che l’uomo è l’uomo e non Dio, e sebbene chiunque sia consapevole di sé stesso come di un essere umano tra altri 6 miliardi di simili, ciascuno è anche consapevole che a causa della sua mortalità egli è infine solo nell’universo. A causa della sua solitudine potreste aspettarvi che la sua naturale inclinazione sia verso la solidarietà. Ma non è così. La sua consapevolezza di sé stesso come individuo l’ha reso anche il più crudele di tutti gli esseri. Quando predomina questo lato dell’uomo, egli rifiuta la solidarietà, detesta gli altri uomini e, nella sua follia, cerca di sollevarsi al di sopra degli altri.
Qualcosa in cui credere
Potremmo porre qui la sottovalutata domanda: in cosa crediamo veramente? In realtà nessuno ha una risposta accettabile alla questione fondamentale di come vivere e in che cosa credere. È facile affermare di credere in cose in cui, in realtà, non crediamo più ma in cui continuiamo a credere di credere. Per molti non è come il dio-solo-della-domenica. Ogni individuo deve ricercare il suo proprio credo, nel realizzare che egli non saprà mai per certo in cosa crede, o in che grado ci crede.
“L’autentica convinzione,” come ha scritto il saggista italiano Nicola Chiaromonte in “Credere e Non Credere”, “è incerta come l’esistenza, e come l’esistenza è già presente prima che uno si renda conto di essa. Le convinzioni esplicite riguardano invece, generalmente, un mondo fittizio in cui convinzioni reali e autentiche vengono confuse con altre mantenute come articoli di fede, o forse di fanatismo, ma che non sono più vive. Perciò è più facile dire in cosa non si crede che formulare ciò in cui si crede veramente. E questa è anche la ragione per cui chi vede e denuncia la falsità nascosta dietro le professioni ufficiali di fede può così facilmente essere accusato di non credere in nulla”.
In un tempo in cui l’autentica convinzione è tramontata, l’idea di Eguaglianza è degna di considerazione. I cinici ridono all’idea dell’eguaglianza degli esseri umani. Non so se una maggioranza è d’accordo con una tale visione, ma certamente molti sono contenti di lasciare che l’eguaglianza giaccia quietamente indisturbata nella Costituzione. La difficoltà di raggiungere politiche redistributive per la difesa di chi è senza protezione è la conferma di quanta scarsa stima ci sia per l’eguaglianza.
Le politiche egalitarie sono quelle che, almeno, tendono a rimuovere gli ostacoli che rendono gli uomini meno uguali. Tale caratteristica distingue la sinistra politica dalla destra: la sinistra mira ad una maggiore eguaglianza; la destra a una minore. (Non riesco a considerare datati questi vecchi termini! Al contrario). Ciò può essere dedotto dalla sopravvivenza del tema utopico della rimozione di ciò che è stato considerato sin dai tempi dell’antica Grecia il maggiore ostacolo all’eguaglianza: la proprietà privata.
È facile concludere che il mondo è ciò che è e che dobbiamo viverci al meglio. Ma credo che lo possiamo immaginare migliore di quanto sia. Dal 1968 i movimenti giovanili mondiali hanno marciato sotto lo slogan che un mondo diverso è possibile. E cosa c’è di sbagliato nell’idea dell’Utopia come una guida? Come ha scritto Oscar Wilde: “non vale nemmeno la pena di dare un’occhiata a una mappa del mondo che non comprenda Utopia…” Altrimenti potremmo allo stesso modo accettare che siamo ciò a cui fummo destinati, a fare le cose miserabili che facciamo e che le nostre vite per quali sono, sono parte necessaria dell’ordine delle cose.
Gaither Stewart, scrittore [“Icy Current Compulsive Course, To Be A Stranger” e “Once In Berlin”, Wind River Press,”Asheville,” www.Wastelandrunes.com ] e giornalista, è originario di Asheville, NC. Vive con sua moglie a Roma. E-mail:
[email protected]
Titolo originale: ” Solidarity and equality, something to believe in “
Fonte: http://onlinejournal.com
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28.08.2007
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da ALCENERO
VEDI ANCHE, DELLO STESSO AUTORE: “RESISTENZA”